Dove
ho mai scritto che «i
greci sono un popolo di fannulloni»?
Dove ho mai scritto che «per
anni e anni hanno scialacquato allegramente a spese dell’Europa»?
Ho riletto gli unici due post che ho dedicato alla questione greca,
caro ***, e non ho trovato traccia di affermazioni simili, né mi
pare di aver insinuato nulla del genere: in uno mi sono limitato a
dire che la Grecia d’oggi
non c’entra
niente con la
Grecia antica,
il cui lascito è ormai da secoli patrimonio dell’intera
umanità, sicché è ridicolo pretendere che possa pareggiare o anche
soltanto alleggerire i debiti che la Grecia ha cumulato negli ultimi
decenni nei confronti di mezzo mondo; nell’altro
ho posto l’attenzione
su ciò che fa del referendum uno strumento inutile o dannoso,
cercando di dimostrare perché quello voluto da Tsipras non risolva
nulla, ed anzi possa rivelarsi addirittura pericoloso, innanzitutto
per la Grecia, ma anche per l’Europa.
In realtà, alla questione
greca ho dedicato anche un terzo post, ma si trattava solo del
copia-incolla di un’intervista concessa a Libero
da Antonio Martino: la facevo precedere da una rapida nota con la
quale dichiaravo di far mia la sua opinione
(«Se
la Grecia non può onorare i suoi debiti deve fallire, i titoli
diventano carta straccia e quelli che li hanno comprati subiscono una
perdita in conto capitale, del resto hanno lucrato sugli alti tassi
di interesse per molto tempo. Vuol dire che gli è andata male, hanno
fatto l’investimento sbagliato»).
Ecco, rileggendo quest’intervista,
trovo un’affermazione
dalla quale, forse, avrei fatto meglio a dissociarmi: «I
greci sono abituati a vivere a spese degli altri».
Ti riferisci a quest’affermazione
nell’attribuirmi
frasi che comunque non sono mai uscite dalla mia penna? Allora, sì,
ti devo una spiegazione, e ovviamente non sono autorizzato a chiarire
il senso che Antonio Martino voleva dare a quella frase, ma penso di
poter dire che anche lui, come me che ho sottoscritto quella frase,
non intendeva
generalizzare. Voglio dire che gli stereotipi sono sempre da
rigettare quando si parla di realtà complesse come un’intera
nazione, e aggiungerei che questo è tanto più sentito da un
liberale, che in una nazione non perde di vista la varietà degli
individui che la compongono, vedendoli accomunati da una storia, non
da un carattere. «I
greci sono abituati a vivere a spese degli altri»,
dunque, sarà un’affermazione
che si presta ad essere fraintesa – convengo – ma che trova
ragione nell’assunzione
di un dato inoppugnabile: i governi greci hanno amministrato la cosa
pubblica in modo irresponsabile, facendo affidamento – un folle
affidamento – sull’inesauribilità
delle risorse che derivavano dall’emissione
di titoli di stato. La Grecia, in sostanza, ha pensato di poter
vivere facendo debiti il cui pagamento potesse essere rinviato
all’infinito.
La cosa assurda è che pensa di poterlo fare ancora, rifiutandosi di
metter mano ad un riassetto del sistema che l’ha
portata al fallimento.
Un sistema, bada bene, che è la vera causa
dell’impoverimento
di tanti greci, a dispetto di chi blatera che sia Germania ad
affamarli. Mentre l’economia
greca aveva un tasso di crescita del 4% – parlo del periodo tra il
1998 e il 2007, prima che la crisi economica si abbattesse sugli
Stati Uniti e da lì all’Europa
– la spesa sociale ammontava a meno della metà di quanto
ammontasse in Germania. Certo, si tratta di un’odiosa
vulgata che i greci siano dei fannulloni, e infatti sono al primo
posto in Europa per ore
annue di lavoro pro capite, sta di fatto che si sono dati dei governi
che hanno continuato a concedere esenzioni fiscali ad armatori,
grandi
proprietari terrieri e Chiesa ortodossa. Prendi quest’ultimo
caso: la
Chiesa ortodossa è il più grande proprietario terriero del paese,
possiede catene alberghiere, centri turistici, proprietà
immobiliari, aziende nei più svariati settori, e non ha mai pagato
una dracma di tasse, né un euro, grazie ad un articolo della
Costituzione del 1975, un articolo che neppure la nuova classe
dirigente del paese riesce ad emendare, alla faccia del
marxismo-leninismo che li ispira. Si calcola che negli ultimi dieci
anni siano quasi 600 i miliardi di euro che dalla Grecia siano stati
trasferiti all’estero:
passi che i governi di destra chiudessero un occhio, ma ’sti
benedetti bolscevichi di Syriza, invece di andare col cappello in
mano a chiedere la carità in Europa, cosa aspettano a nazionalizzare
tutto?
Ok, stavo scaldandomi, ora mi calmo. Vedi, caro ***, non c’era
bisogno che la Grecia danzasse sull’orlo del default per capire che
l’Europa
non va assolutamente bene così com’è,
ma, se doveva essere la Grecia a farlo capire a chi ancora non l’ha
capito, non c’era
altro modo? I greci sono stati fottuti per l’ennesima
volta, e stavolta da un cazzaro, uno che è della stessa pasta di
Renzi, solo un poco più disperato, perché davvero ha poco da
perdere, perché tutto è ormai già perso.
Se una simile “classe dirigente” s’ispira al “marxismo-leninismo” (risate, applausi, risate alle lacrime, applausi prolungati) e si fa rappresentare da un cazzaro “della stessa pasta di Renzi” (applausi e grida dal loggione), se ha come obiettivo di far dipendere la nazione da organismi caritativi e bancari, quindi di mantenere le esenzioni fiscali dell’epoca dei colonnelli, se dunque tutto ciò è vero, credo ci racconti della fecondazione sociale che l’ha partorita. Di una classe dirigente, comunque denominata e rappresentata, che è rimasta nel tempo sempre uguale a se stessa e a difesa di consolidati interessi e privilegi di classe. Da che cos’altro dipende il “rifiuto di metter mano ad un riassetto del sistema che l’ha portata al fallimento” se non dalla difesa di tali interessi e privilegi, in cambio dei quali dispensare qualcosa al popolino (godete anche voi fin che potete)? E dunque, chiedo, la questione non andrebbe esaminata anche sotto aspetti un poco diversi da ciò che fa Martino, e cioè senza sparare nel mucchio? E ciò che vale per la Grecia non replica forse, mutatis mutandis, anche per altre realtà e per una situazione più generale?
RispondiEliminaD'accordo su tutto o quasi. Più in generale, credo che la Grecia possa arrivare ad essere una compiuta liberaldemocrazia solo dopo una trentina d'anni di dittatura del proletariato, con abolizione della proprietà privata, esproprio dei beni ecclesiastici, ecc. Peccato che pure in quel caso non sarebbero esclusi privilegi a qualcuno.
RispondiEliminad'accordo. io e te commissari del popolo per gli "affari del culto"
EliminaFosse così non esiterei a trasferirmi lì, tanto la lingua la parlo discretamente bene.
EliminaHo una grande fiducia in voi due.
Senza contare che il fatto che seguo i vostri blog potrebbe favorirmi per una brillante carriera in qualche ministero.
Ma per modificare la costituzione del 1975 e tassare la chiesa ortodossa (o gli armatori, stranamente uniti alla chiesa su questo punto, se non vado errato), non sarà necessaria una maggioranza qualificata? E Syriza a malapena dispone della maggioranza semplice (anzi, non ci arriva, ha bisogno di un paio di voti di alleati). Al massimo, potremmo accusare Tsipras di non mettere la questione sul piatto - ecco, questo sì: invece di limitarsi a dare addosso alla troika potrebbe pure tuonare contro la chiesa, gli armatori e i ricchi greci che esportano i capitali. Non leggo i giornali greci, ma ho l'impressione che di tutto questo Tsipras dica poco o nulla (o che i giornali europei non ci raccontino niente se lo fa).
RispondiEliminaAle
Prendersela con chi tanto alle elezioni non ti può votare è sempre una tattica vincente. Ci sono arrivati pure i leghisti, dalla caccia al terrone alle ruspe sugli immigrati (molti rom votano, ma sono pochissimi).
EliminaMa, fammi capire, tu stai con Dimitratos o con Pattakos?
RispondiEliminaKanellopoulos, che domande.
EliminaPer un attino ho pensato che Lei avesse come riferimento Nìkos Automàtikos, il colonnello greco con arto artificiale che arringa (in lingua madre e senza traduzione) i suoi colleghi golpisti italiani in "Vogliamo i Colonnelli" di Monicelli.
RispondiElimina:-D
Stia bene.
Ghino La Ganga
correggo: Andreas Automàtikos. Abbia pazienza, è l'età che avanza.
RispondiEliminaStia bene.
Ghino La Ganga
sono d' accordo ma credo che urga prioritariamente sciogliere un nodo teorico: l' intervento diretto ( e massiccio quando occorresse ) dello stato nell' economia è compatibile con una democrazia liberale ? Secondo me sì. Il problema dell' Europa è in fondo che a questa questione si è risposto negativamente per decenni fino a far diventare luogo comune una supposta incompatibilità. I greci, succubi, come gli italiani del resto, di questo luogo comune non avrebbero mai votato Tsipras se questi avesse dichiarato di voler attuare quello di cui ha veramente bisogno la Grecia e che è stato tratteggiato ( in maniera un po' iperbolica invero ) nel post.
RispondiEliminaSe le regole sono condivise, ferree e applicate, l'economia può fare a meno dell'intervento dello stato. Per meglio dire: lo stato è costretto all'intervento diretto nell'economia, quando non è in grado di dare al mercato delle regole che funzionino. E visto che il "nodo" è "teorico" aggiungerei che per funzionare debbano tutelare il principio per il quale la libertà di un individuo finisce dove inizia la libertà di un altro individuo.
Eliminal' economia può senz'altro fare a meno dello stato, tutto sta a capire se, in determinate circostanze, sia preferibile che lo stato intervenga per perseguire fini non economici ma diciamo...morali o politici. Venendo alla Grecia io penso che riformare il sistema fiscale non apporterebbe di per sé nessun beneficio ai greci se il surplus di risorse così realizzato venisse impiegato solo per ripagare i creditori e non invece anche per dar vita a una politica industriale che mirasse a fornire i greci di quei prodotti ( macchinari, medicinali etc ) che non riuscirebbero probabilmente mai a comprare dall'estero, se dovessero pagarli con i proventi delle loro esigue esportazioni.
Elimina