martedì 4 agosto 2015

Di ragni e di cavalli

Sullimmunità parlamentare ho già detto cosa penso, qui mi limiterò a dire che in tutte le sue forme, anche in quelle che alcuni ritengono eccessivamente ridimensionate dalla revisione dellart. 68 della Costituzione, è un istituto che ha perso ogni funzione di garanzia per diventare solo un odioso privilegio.
Si prenda il primo capo del suddetto articolo: «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nellesercizio delle loro funzioni». Poteva avere un senso, in passato: tutelava loppositore che un regime avesse lintenzione di rendere inoffensivo servendosi di una magistratura debitamente asservita. Ma oggi? Si prenda, per esempio, un’opinione che esprima contenuti ipoteticamente discriminatori in ordine alla razza, e la si metta in bocca – uguale in tutto, fino alla virgola – ad un comune cittadino, prima, e ad un parlamentare, poi: perché, se giudicata offensiva in un caso, dovrebbe rimanere impunita nell’altro? Per meglio dire, cos’è che la rende inoffensiva in bocca ad un deputato o un senatore? Cosa dovrebbe giustificare il fatto che chi sia stato fatto oggetto di questa offesa possa aspettarsi di avere giustizia nel primo caso, e non nel secondo?
Così al secondo e al terzo capo, che recitano: «Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nellatto di commettere un delitto per il quale è previsto larresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». Sorvolando sullefficacia sostanzialmente nulla di perquisizioni o intercettazioni preliminarmente annunciate a chi debba esserne fatto oggetto, resta la questione dellautorizzazione della Camera a che la magistratura possa procedere nelle attività di accertamento di un reato e all’eventuale richiesta di misure cautelari che essa ritenga necessarie in attesa del processo.
Qui ritengo sia da sospendere ogni considerazione relativa allo stato dei fatti nel nostro ordinamento – io per primo considero indispensabile modificarlo in più punti, innanzitutto a garanzia di chiunque non abbia subìto ancora una condanna definitiva – ma di appuntare l’attenzione sulla patente disparità di trattamento a carico di un comune cittadino o di un parlamentare per quanto attiene all’eventualità che essi abbiano commesso lo stesso reato: è scorretto affermare che il primo abbia molte più possibilità di essere condannato rispetto al secondo? Trattandosi dello stesso reato, è giusto che chi ne abbia subìto il torto dal primo abbia da attendersi maggiori possibilità di ristoro rispetto a chi l’abbia subìto dal secondo? E in virtù di quale garanzia che in questo secondo caso sarebbe necessario assicurare a chi ha commesso quel reato?
In quanto al fatto che spetti al Parlamento concedere alla magistratura l’autorizzazione a trattare un parlamentare come un comune cittadino, la questione rivela molti punti critici, peraltro eloquentemente illustrati da numerosissime vicende che sono scorse lungo i decenni di vita di Camera e Senato. Alle Giunte cui i due rami del Parlamento demandano il compito di individuare un eventuale fumus persecutionis nelle iniziative della magistratura a carico di un parlamentare spetta il compito di relazionare alle assemblee se ne hanno trovato traccia o meno, ma è a queste ultime che spetta l’ultima parola, che non di rado – l’ultimo caso è quello del senatore Antonio Azzollini – smentisce il parere di chi ha potuto approfondire meglio il caso. A stretto rigor di logica, se ne potrebbe dedurre che le Giunte per l’autorizzazione a procedere siano del tutto inutili: se ogni deputato ed ogni senatore è in grado di arrivare a un libero convincimento sul caso di volta in volta in oggetto, facendo a meno del preliminare lavoro di studio che un organo appositamente designato allo scopo dedica alle carte inviate al Parlamento da quella o quella Procura, non si capisce che senso abbia lo spreco.
Un discorso a parte meriterebbe la natura della libertà che porta a convincimento un deputato o un senatore circa l’opportunità che un suo pari sia trattato come un qualunque cittadino o non abbia a godere di un trattamento di favore, ma è evidente che su questo punto non arriveremmo mai a cavare un ragno dal buco, salvo l’uso di strumenti inopportuni e, tutto sommato, inefficaci. Tuttavia sembra che la delicatezza di quest’ultima questione non sfugga al nostro beneamato Guardasigilli, che oggi dalla pagine di un quotidiano a larga tiratura butta lì un’ipotesi quasi a veder che effetto faccia: affidare alla Corte Costituzionale il compito di concedere o meno l’autorizzazione a procedere a carico di un Parlamentare. Come se avesse ben chiaro che razza di ragno stia nel buco.
Superfluo dire che l’idea sembri avere mero intento autopromozionale, tanto più se si considera che ad Andrea Orlando non sfugge il ragno, ma neanche il fatto che l’idea necessiterebbe di una riforma costituzionale per attribuire alla Corte Costituzionale un compito che la Carta non le attribuisce, e allora campa cavallo, tanto più che sul cavallo c’è la Boschi che di certo non sarebbe disposta rimetter mano alle sue riforme per infilarci la proposta del signor Guardasigilli. Che in questo modo ci guadagna il suo bel figurone di gran conoscitore di ragni e di cavalli.   

3 commenti:

  1. Riguardo al primo esempio concordo solo a patto di ribaltarlo: chiunque esprime l'opinione che crede nel modo in cui crede. Se qualcuno si offende trovi modo di affrontare la cosa senza tribunali, magistrati, poliziotti, multe, carceri e non so che altro.

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    1. A patto che sia un'opinione e non una calunnia o diffamazione o una presa di posizione razzista

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  2. Sta tutto nella prima frase. "Non è più strumento di garanzia ma solo odioso privilegio".

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