Rammentandoci
che il
20 aprile ricorre il 70° anniversario della morte di Ernesto
Buonaiuti, Giordano Bruno Guerri ne tratteggia
la figura di intellettuale che subì feroci persecuzioni da parte del
papato, chiudendo il suo articolo con l’auspicio che Bergoglio ne
faccia ammenda, tanto più doverosa da parte di Bergoglio perché è
proprio il suo pontificato ad aver dato segno di «voler
recuperare lo spirito più profondo del messaggio di Buonaiuti»,
e poi perché Bergoglio è un gesuita, e proprio i gesuiti furono i
suoi più accaniti detrattori (Adesso
Papa Francesco perdoni l’«eretico» Buonaiuti -
il
Giornale, 18.4.2016).
L’auspicio sembra assai sentito, d’altronde basta
aver letto la biografia di Buonaiuti che Guerri diede alle stampe
tempo fa (Eretico
e profeta,
Mondadori 2001) per capire quanta compassione abbiano suscitato in
lui i torti subìti dall’«esponente
più importante del modernismo» qui
in Italia. Né sembra strumentale, l’auspicio, anche se le
posizioni anticlericali di chi lo formula sono note, perché, da
storico che non si è mai adeguato a una conformistica lettura del
fascismo, Guerri non dimentica di denunciare anche i torti che
Buonaiuti subì dal regime fascista (tutte recepite, in occasione del
Concordato e dei Patti Lateranensi, le richieste vessatorie avanzate
dal Vaticano nei suoi confronti), né, da liberale, fa sconti ai
liberali, Croce in testa, che per la sorte di Buonaiuti spesero solo
indifferenza («pensando
a torto che si trattasse di battaglie che non riguardavano la vita
laica»).
Tutto bene, diremmo, se non fosse che in quarta di copertina, sulla
prima edizione della biografia di Buonaiuti, si legge: «non
potrà mai essere perdonato dalla Chiesa: o eretico o santo».
Che, da un lato, rivela la piena comprensione delle ragioni che
ancora oggi costringono la Chiesa a rigettare i capisaldi del
modernismo (evoluzione creatrice, lettura storico-critica delle
Scritture, recupero dell’ecclesiologia del primo cristianesimo,
ecc.) con una fermezza di cui invece si sente in grado di poter fare a meno quando fa l’ecumenica
con ortodossi, anglicani e lefebvriani, e, dall’altro, esprime in
modo plastico la coincidenza di strategia e di tattica nel modo che
essa adotta per riscrivere la sua storia. Proprio perciò, e in virtù del suo quasi sfacciato candore, l’auspicio
appare sottilmente provocatorio.
Il titolista del Giornale non ha capito, o forse non ha letto. Nell'articolo si dice che è il Papa a dover chiedere perdono.
RispondiEliminaCerto, l'auspicio di GBG è che Bergoglio faccia ammenda, ma in relazione alla quarta di copertina del suo volume del 2001 consideri che, se non si è in grado di perdonare di chi ritiene sia in errore, tanto meno si è disposti a chiedere perdono per averglielo fatto pagar caro.
Elimina"Che, da un lato, rivela la piena comprensione delle ragioni che ancora oggi costringono la Chiesa a rigettare i capisaldi del modernismo ... con una fermezza di cui invece si sente in grado di poter fare a meno quando fa l’ecumenica con ortodossi, anglicani e lefebvriani"
RispondiEliminaIl magistero della Chiesa Cattolica è stato tutt'altro che immobile dai tempi di Pietro ad oggi. Però è talmente lento nel cambiare che per la vita di un singolo uomo è immutabile, al massimo si passa dalla messa in latino a quella in italiano e si può dire 'nulla è cambiato della sostanza, solo un po' di forma', illudendosi che i due concetti siano indipendenti.
Permettere al proprio magistero di modificarsi con una velocità visibile nel corso di una vita vuole dire essere come la chiesa riformata: molte chiese, dagli anacronistici Amish ai vescovi omosessuali sposati.
Morale: non si fa comunella coi 'relativisti religiosi', perchè poi il virus colpisce pure te e da un giorno all'altro ti trovi dieci trans che ballano nell'attico di Bertone e nell'appartamento a fianco la Binetti che stringe il cilicio. E siccome il fedele che sceglie il trans e quello che sceglie il cilicio hanno poco da raccontarsi senza venire alle mani, non fai altro che frammentarti e perdere potere, mentre la forza della chiesa cattolica è proprio quella di vendere lo stesso prodotto in Alaska come in Cina.