lunedì 13 febbraio 2017

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Del tempo non siamo mai riusciti a costruirci un’idea che ci soddisfacesse del tutto, sicché ogni tanto ci è sembrato necessario darle un ritocchino, senza però mai mettere in discussione che si trattasse di una dimensione dalla continuità omogenea e inalterabile, entro la quale agisse un flusso perpetuo e irresistibile, necessariamente unidirezionale: da «immagine mobile dell’eternità» (Platone) a «quantità [che] rimane sempre uguale e immobile [e che] per sua natura [è] senza relazione ad alcunché di esterno» (Newton), in fondo, cambiava poco o niente.
Da qualche tempo, tuttavia, il tempo non è più quello di un tempo. Si è scoperto, infatti, che fa tutt’uno con lo spazio nel dare all’universo quella «struttura quadridimensionale» (Einstein) che ha trovato ampia comprova in questi ultimi decenni, e tuttavia resta concetto cui la nostra mente oppone ancora resistenza, come d’altronde accade ogniqualvolta siamo costretti a rinunciare a rappresentazioni di questo o quell’aspetto del reale così come sono venute a consolidarsi lungo i secoli.
Prova ne è che per la storia, «emula del tempo» (Cervantes), ci è pressoché impossibile abbandonare lo schema che ce la rappresenta come incessante scorrimento di eventi che si susseguono linearmente. Se è vero, infatti, che la storia non è la mera successione degli eventi, ma quanto se ne ricava dall’averli sottoposti a esame (più precisamente, a ιστορία, cioè a ispezione), è altrettanto vero che fin qui non si mai è riusciti a rappresentarne la continuità in altro modo che sulla bidimensionalità di un piano, ora come retta (tuttal più spezzettata in segmenti), ora come ciclo (tuttal più aperto in sinusoide), arrivando a stento a immaginarcela spiraliforme (e dunque a conferirle una profondità, in 3D): come ci resta difficile concepire l’evento nel cronotropo, così ci resta difficile dare quadridimensionalità alla storia. E chissà che non dipenda da questo l’incapacità a spiegarci ciò che in essa fa da materia oscura e buco nero.

8 commenti:

  1. La mia opinione, del tutto collaterale rispetto al punto, e per quel che vale, è che il "tempus absolutum verum et Mathematicum, in se et natura sua absque relatione ad externum quodvis, æquabiliter fluit" di Newton sia un enorme passo avanti — ma se vogliamo indietro, o di lato; immagino sia questione di "gusti" — rispetto a Platone. Innanzitutto, se ben ricordo, quella proposizione non vuole essere una definizione di tempo: Newton dovrebbe aver appena detto che non "perderà tempo" a definire i concetti di spazio e tempo in quanto ben noti a tutti (e la sensazione è che sia proprio questa l'affermazione, filosofica e sull'uomo, più forte di tutte); per cui si tratterebbe semplicemente di un elenco non definitivo di attributi del tempo, magari quelli che Newton ritiene più significativi. Il fatto di non cimentarsi con una (pseudo-)definizione secondo me non è necessariamente indice di convinzioni di fondo così perentorie da essere confuse per oggettive o autoevidenti; mi resta il dubbio che possa essere una sorta di quel primo tuffo necessario per imparare a nuotare. Nel dire, poi, che il tempo è matematico, la mia impressione è che si stia passando dalla pretesa galileiana che la natura sia scritta in triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, a quella che soggiaccia una "struttura" numerica. Infine non so se, come solitamente si dice, l'idea che il tempo fluisca uniformemente e senza riferimento a nulla di esterno implichi per forza che esso sia relegato a sfondo, come i quadretti sul foglio; a me pare che sia innanzitutto un'indicazione su come i quadretti debbano riempire "il tutto", un po' come il "tutti gli angoli retti sono uguali" che Euclide pone a quarto postulato della sua geometria.
    Ovviamente mi rendo perfettamente conto dell'immensa ingenuità in quanto ho scritto; probabilmente scrivo proprio in quanto in cerca di un riscontro.

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    1. In realtà, il virgolettato è tratto dallo scholium che sta in premessa al Philosophiae naturalis principia mathematica per far chiarezza sui termini che Newton utilizzerà nel trattato, poi, sì, è lecito vedere Newton dove meglio si creda rispetto a Platone, avanti, dietro, a lato, a cavalcioni. In entrambi i casi, tuttavia, a me pare evidente che il tempo sia intenso come "dimensione dalla continuità omogenea e inalterabile, entro la quale agisce un flusso perpetuo e irresistibile, necessariamente unidirezionale", definizione che ho dato cercando di includervi tutte le qualità che al tempo sono attribuite prima del 1905, e che smette di essere soddisfacente dopo. Ma il post intendeva porre una questione, la cui formulazione è abortita nelle allusioni alla materia oscura e al buco nero per il mio pudibondo indugio a esplicitarla come problema relativo al metodo storiografico. Superando la riserva: possiamo riscrivere la storia in 4D?

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    2. La storia si può fare in 4D. Posto che una delle coordinate deve essere obbligatoriamente il tempo, la storia può essere più o meno interessante a seconda di quali altre coordinate si scelgono. Prendiamo per esempio la storia di un partito politico: si può seguire nel tempo il numero degli iscritti, la loro età media, il numero dei parlamentari, la linea politica, l'efficacia legislativa, il livello di corruzione, la diffusione geografica....
      Prova a immaginare una storia in 4D del Partito Radicale.

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    3. Non so se quanto scriverò potrà essere fecondo per le sue riflessioni, ma "storicamente" la struttura quadridimensionale dello spaziotempo einsteiniano è "emersa" solo dopo i ripetuti infruttuosi tentativi di "misurare la velocità dell'etere" (inteso come "il" riferimento privilegiato in cui sono valide le equazioni dell'elettromagnetismo); ossia, a posteriori, solo dopo che osservatori diversi ottenbevano sperimentalmente sempre la medesima misura per la velocità della luce. Emersa è tra virgolette perchè ciò è vero solo agli occhi di un Einstein, cioè di un "io penso" che pretende una natura ordinata secondo certi criteri (di invarianza; che poi, in sè, non è nulla di nuovo o esotico, anzi: è qualcosa di molto simile all'impossibilità di rendersi conto di essere qui piuttosto che lì, che è come Euclide concepisce il giacere del punto sulla retta (o sulla circonferenza)); altri avevano già escogitato altre spiegazioni (che però sarebbe diventato laborioso estendere) e tutta la matematica sottostante era già stata approntata pur continuando a tenere spazio e tempo separati.
      Credo si possa dire che la necessità emerge quando (a) si vuol guardare lo stesso fenomeno (moto) da due punti di vista diversi, (b) si è in grado di discernere differenze che diventano evidenti solo in regimi particolari (per velocità opportunamente prossime a quella della luce), e, sullo sfondo, (c) si vuole una natura razionale. Mancando uno di questi requisiti — e nel quotidiano manca (b), spesso anche (a), e spesso (non so quanto correlatamente) anche (c) — l'idea del 4D non è necessaria (anzi probabilmente è solo un sofisma).
      Certo poi la necessità si fa stringente (al punto che un GPS che facesse uso della relatività ristretta e non di quella generale sarebbe inservibile) quando si mette in mezzo la gravità, ripensandola come una marea (un'idea non nuova in sè; pare Riemann ci avesse già pensato, ma gli mancava appunto quella "fusione" di spazio e tempo, il contesto 4d, che Einstein ereditava dalla sua stessa relatività ristretta).

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  2. Affascinante

    Ed è curioso perchè l'anno è iniziato à la ragionier fantozzi con una festa di capodanno a scoppio ritardato: "Per sincronizzare la decelerazione della rotazione terrestre con quella degli orologi atomici il 31 dicembre durerà un secondo in più". Povero orologio, mettiamoci nei suoi panni: un secondo è un'eternità, quell'idea di tempo mal si adatta al tempo terrestre che danza decelerando, fa una giravolta e falla, falla un'altra volta.

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  3. in realtà la storia è stata scritta spessissimo in 4d. Sono moltissimi coloro che hanno ipotizzato delle forze in grado di "curvare" gli avvenimenti come fanno i buchi neri con la luce. Per Hegel era l'Idea che cerca se stessa, per Marx erano le forze produttive in cerca del proprio "sviluppo". Per quanto riguarda la natura del tempo penso avesse ragione la scolastica che definiva il tempo come un ente di ragione in sé non esistente. Più modernamente si potrebbe dire che il tempo è una costruzione sociale. Gli uomini inventano il tempo per coordinare le loro attività. Se uno nega che l'uomo sia fondamentalmente un essere sociale l'enigma del tempo resta irrisolvibile.

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  4. “Del tempo non siamo mai riusciti a costruirci un’idea che ci soddisfacesse del tutto”. Come quella difficoltà che troviamo in Hegel: noi possiamo ben mangiare ciliegie e susine, ma non frutta, poiché ancora nessuno ha mangiato frutta come tale! Allo stesso modo noi sappiamo che cos’è un’ora, un metro, non cosa sia tempo e spazio! Come se il tempo fosse qualcosa di diverso dalle semplici ore, e lo spazio qualcosa di diverso dai molteplici metri cubi! Metafisica. E solo dio sa su quanta metafisica poggia la fisica teorica da molto tempo in qua.

    La storia umana, la più breve di tutto il ciclo della materia, è assolutamente lineare, dall’inizio alla fine. Siamo noi che la suddividiamo in epoche alle quali piace dare dei nomi e delle interpretazioni, e ciò al fine della conoscenza del processo dello sviluppo storico. Allo stesso modo tutte le forme materiali prodotte dall’evoluzione della materia in ogni ciclo universale hanno un loro tempo e perciò sono finite. È la materia che non ha tempo.

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    1. sono d'accordo, si tratta di metafisica. Ma metafisica brutta perché non si riconosce come tale. D'altronde anche il materialismo è una metafisica che non si riconosce come tale. E' interessante notare che il primo pensatore moderno a dotare il tempo di una esistenza autonoma sia stato Kant che in teoria dovrebbe essere il fustigatore di ogni metafisica...

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