Cinque
anni fa, su queste pagine, commentavo una frase che a Beppe Grillo
aveva procurato più d’uno sghignazzo:
«Ho
incanalato tutta la rabbia in questo movimento. Dovrebbero
ringraziarci: se noi falliamo l’Italia sarà guidata dalla violenza
nelle strade».
Dicevo che c’era poco da ridere: eravamo di fronte al consueto «presentarsi
come forza d’ordine che ha incorporato la violenza che ha cavalcato
e fomentato, facendosene forte, con tratto demiurgico, per promettere
di neutralizzarla, ma in cambio del potere»; e aggiungevo che si era in presenza dell’ennesimo
«partito
che si candida[va]
a
riassorbire in sé i conflitti sociali [facendosi]
garante dell’ordine
che sul piano economico li riconduce al sistema corporativistico del
partito-nazione»,
dandone prova in un’altra
affermazione fatta da Beppe Grillo nella stessa occasione: «Arrivano
le categorie da me… I notai, i farmacisti, i commercialisti…
Dicono: “Siamo 20.000, ci dica cosa fa per noi, così poi le
vediamo se darle il voto”… Guardate che avete sbagliato la
domanda… Voi venite nel movimento, vi iscrivete, vi mettete così
[e
indicava i candidati del M5S che stavano in piedi alle sue spalle ad
ogni tappa dello Tsunami Tour],
vi votano, andate in Parlamento e portate avanti voi gli interessi
della vostra corporazione…».
Un sistema che si prefiggeva di evitare ogni sorta di conflitto
sociale facendone venir meno la stessa ragione, perché quando c’è
coincidenza di nazione e partito, insieme a quella di partito e
stato, che senso ha uno sciopero o una qualsivoglia altra forma di
rivendicazione o di protesta? Nemmeno più un’opposizione
ha un senso. È fatta pace sociale: puzza un po’
di stato organico, se non di dittatura, questo sì, ma è pace
sociale.
Veniamo
ad oggi. Da chi vi aspettereste, di fronte ai torbidi che infiammano
Parigi, un sostanziale – ancorché inconscio e inammissibile –
avallo al progetto di società che aveva in testa Beppe Grillo? Vi do un aiutino: lo fa con un
articolo che per titolo ha «Meglio
5 stelle che un milione di gilet gialli». Gian Luigi Paragone? Mario Giordano? Luca Telese? Macché, lo firma
Giuliano Ferrara, che del M5S schifa tutto, tranne la pace sociale
che al momento il M5S ci assicurerebbe per aver incanalato la rabbia
degli scontenti in qualche innocuo vaffanculo. Entrambi – Grillo e
Ferrara – facce della stessa Italia, quella che i conflitti sociali
preferisce non vengano consumati, per essere sublimati in una quiete pubblica che somiglia a un museo delle cere.
Perdoni, dissento.
RispondiEliminaNon è "la quiete pubblica che somiglia ad un museo delle cere": è l'aver mandato al governo dei cialtroni in sostituzione di altri cialtroni.
Convincendoli tuttavia d'esser senz'altro meglio dei precedenti: ecco l'unico tocco di genio.
Va però riconosciuto al Beppe Grillo di averlo capito, di aver quindi compreso che in questo paese la cialtroneria è inevitabile, e di essersi dunque dato ad una progressiva latitanza, tornando a far spettacoli & soldini che gli servono tantissimo, ora che ha scoperto di avere figlioli anch'essi cialtroni, dacché incapaci di tirar su due euro che siano due.
Il fatto che il Giuliano Ferrara ci sia cascato, e lodi il Movimento, comprova l'ormai triste senilità dell'elefantino.
Stia bene, che bello poter passar di qua.
Ghino La Ganga
Non ho letto l'articolo, ma ricordo l'amore e il sostegno incondizionato che Ferrara dichiarava verso Macron dai microfoni generosamente concessi da Radiouno in qualità di autorevole commentatore durante le elezioni presidenziali francesi. Non so se la luna di miele con Macron si sia poi conclusa come per i cittadini francesi, ma ricordo l'entusiasmo verso questa nuova figura rampante che stava canalizzando lo scontento nei confronti dei vecchi partiti. Forse sotto sotto Ferrara intendeva dire: "Sempre meglio Macron che un milione di gilet gialli". Ferrara è un rezionario ma qui in Italia neanche ce ne accorgiamo visto che ci stupiamo delle motivazioni della protesta francese quando invece dovremmo stupirci della nostra ignavia.
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