Se
facciamo nostra la tesi che Umberto Eco espone ne Il
fascismo eterno,
il Ventennio smetterà di essere un problema storico, per diventare
semplicemente l’arco
di tempo in cui «un
modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una
nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni» ebbero
ipostasi in un regime politico. Con ciò, però, dovremmo concedere
che «un
modo di pensare e di sentire» sia
possibile al di fuori del contesto sociale che lo produce, che le
«abitudini
culturali» precedano
la costruzione della società che le fa proprie, che il fascismo sia
in qualche modo innato perché inscritto nella costellazione di certi
«istinti»
e
di certe «pulsioni»
che
sono antecedenti al loro precipitare nella storia: «eterno»,
dunque,
perché
archetipo preesistente al Ventennio, seppure nella disarticolazione
degli elementi che nel Ventennio gli fecero assumere la forma più
facilmente riconoscibile (lo dimostrerebbe il fatto che prima del
1919 non possiamo chiamarlo ancora «fascismo»,
mentre dopo il 1945 non possiamo chiamarlo in altro modo); «eterno»,
soprattutto, perché con la fine del Ventennio non ha smesso d’essere
l’idea
che gli preesisteva, idea che «è
ancora intorno a noi»,
pronta a reincarnarsi, seppure «sotto
spoglie più innocenti».
È
un caso che questa interpretazione del fascismo veda la luce in un
libricino che reca a titolo Cinque
scritti morali
(Bompiani, 1997)? Ovviamente no, perché, interpretandolo a questo
modo, il fascismo diventa un problema solo incidentalmente sociale,
politico, economico, ecc. La sua cornice non è la storia, ma la
teodicea: è il male – meglio ancora, è il Male Assoluto – che
incombe sui destini umani. Se è ab-solutus,
non ha discontinuità, dunque non gli si può riconoscere alcun
merito, a meno che non si sia vittima dei suoi inganni o complice
delle sue nequizie. Dire che «Mussolini
ha fatto anche cose buone»,
quindi, rivela il cretino o il criptofascista, eventualmente il
neofascista.
Dà
da pensare che questo modo di interpretare il fascismo fu del tutto
estraneo a chi più lo avversò durante il Ventennio. Non uno dei grandi
antifascisti pensò al fascismo come a un’entità
metastorica, tanto meno come al Male Assoluto: in tutti, senza
eccezioni, il fascismo è un problema da affrontare esclusivamente
sul piano delle scienze sociali. Sarà per questo che anche in chi ne
fa un’analisi
che prolude a una condanna senza possibilità di appello non manca il
riconoscimento d’un
qualche merito, in ossequio a quella onestà intellettuale che
consente di giudicare positivamente la bonifica di una palude
indipendentemente da chi l’ha
bonificata, al pari di come sul piano logico si è tenuti a
dichiarare valida una proposizione, se valida, indipendentemente da
chi l’ha
formulata. Così, in Antonio Gramsci e in Benedetto Croce, in Carlo
Rosselli e in Gaetano Salvemini, in Lelio Basso e in Leo Valiani, in
Palmiro Togliatti e in Luigi Sturzo, non stupisce trovare incisi che
alle politiche del regime fascista concedono un po’
di più di quanto sia disposto a concedergli oggi chi sposa la tesi di
Umberto Eco: non saranno dei «Mussolini
ha fatto anche cose buone»,
ma gli sarebbero altrettanto irritanti, se solo li leggesse.
E' da ieri che mi viene in mente una celebre considerazione di Pasolini:
RispondiElimina" ... le opere del regime non sono opere del regime. Sono solo le opere che un regime non può non fare (...) Qualsiasi governo in Italia verso la fine degli anni trenta avrebbe bonificato le paludi pontine: il Regime Fascista ha elencato tale bonifica, di comune amministrazione, tra le proprie opere"
Stia bene, sempre piacevole passar di qua.
Ghino La Ganga
Vabbè, la teodicea non è sempre cosa rozza: il Male è sempre il Male, ma talvolta è distratto, e allora può scappargli un cosina buona, oppure è il Bene, nella sua ultima omnipervasività, a imporgliela. D'altronde Pasolini era cattolicissimo, e in lui la teodicea sta a meraviglia. Nel caso qui prodotto a sostegno della tesi del fascismo come male senza soluzione di continuità, manca solo un "non ho la controprova, ma lo so".
EliminaA me viene in mente il padre di Pasolini che blocca il giovane attentatore di Mussolini e di fatto lo consegna al linciaggio in quel di Bologna.
EliminaStavo andando a cercare il brano di Pasolini citato da Ghino, ma constato che non ce n'è più bisogno. Ho letto la sua replica, e ci vedo una cosa che speravo non leggere più: Pasolini cattolico, anzi, "cattolicissimo". Ho smesso da tempo di ingaggiarmi in dispute su cosa volesse dire veramente Pasolini, e non ho intenzione di tornare sui miei passi. Lo pensi pure, ma guardi che è in compagnia dei tromboni più sfiatati degli anni 60-70. Fra questi il meritatamente affondato Alberto Moravia, cui lo stesso Pasolini, su questo argomento, rispose nell'articolo del 30 gennaio 1975: che lei certo possiede, essendo incluso nella raccolta denominata "Scritti Corsari".
EliminaQuanto alla frase "Dire che «Mussolini ha fatto anche cose buone», quindi, rivela il cretino o il criptofascista, eventualmente il neofascista" mi pare di capire che è da attribuirsi a Umberto Eco. Pur non concordando completamente, devo dire che nel caso di Tajani mi pare una buona analisi, ancorché ridondante: non c'entrano, infatti, né il criptofascista né il neofascista.
Si può essere cattolicissimi anche senza essere cristiani, si può esserlo addirittura da atei, e in fondo la risposta che Pasolini dà a Moravia ne è un ottimo esempio. Perché Pasolini non sarebbe cattolico? Perché lui è idealista, mentre la Chiesa cattolica è pragmatica. Non so se Pasolini stia nel suo Pantheon - nel caso, mi scuso per la rudezza - ma sono proprio argomenti di qualità tanto scadente a darci prova che Pasolini è uno dei tanti sopravvalutati della nostra storia patria: idealismo vs cattolicesimo, come se il primo non avesse nulla a che fare col secondo. Che il cattolicesimo del secolo prima sia stato soprattutto Manzoni, Rosmini e Gioberti, a Pasolini non dice alcunché. Nulla gli dice che il Male come negazione del Bene (da Agostino a Tommaso) dia luogo, dal Rinascimento in poi, a una dialettica che da Armageddon finisce a tarallucci e vino. Lungi da me trascinarla in una disputa dalla quale vuol tenersi a largo, ma il cattolicesimo di cui Pasolini parla nella sua risposta a Moravia non è quello che Moravia gli attribuiva, secondo me a ragione. Poi, certo, Moravia era trombone. E, certo, Tajani è un cretino. Ma indipendentemente da cosa fosse il primo, e il secondo sia, siamo chiamati a ragionare sulle loro affermazioni. Rifuggendo dalla teodicea che immagina il fascismo come entità metastorica in perenne agguato, credo ci si possa chiedere: ferma restante la condanna storica del fascismo, il successo nella lotta alla tubercolosi è da rimuovere? E' da guardare con sospetto perché a ottenerlo fu il regime fascista o, come suggerisce Ghino, c'è da considerarlo evento ineluttabile, chiunque fosse stato al governo?
EliminaNon posso negare di averlo detto anch’io: “tu, in realtà, sei un cattolico”, specialmente rivolto a qualche sessantottino passato direttamente dalla FUCI a Servire il Pollo (mi si perdoni il refuso). Però è accusa portata slealmente, come un colpo basso nel pugilato. E’ sleale perché non esiste replica: potrei muoverla io a lei, e lei a me. E più uno si affannasse a dimostrare la sua laicità, più dimostrerebbe che, sotto sotto…
EliminaE così sarà di Pasolini, che evidentemente non è riuscito a riequilibrare l’onere della prova.(*)
Tornando invece al fascismo, l’insofferenza verso chi parla di “cose buone, fino alle leggi razziali e alla guerra” non deriva dal disconoscimento del fatto che curare la tubercolosi o bonificare paludi sia cosa buona. Deriva dall’impossibilità di separare il grano dal loglio. Mi spiegherò spingendo l’esemplificazione all’estremo, ma con analogia sicuramente legittima. E’ noto che Hitler, fino alla guerra, diede grande impulso all'economia tedesca. Come mai nessuno si permette di dire che Hitler, fino alla guerra e ai lager, ha fatto cose buone? Perché tutti capiscono che “quel” modo di risanare l’economia era consustanziale alle cose turpi che avvenivano contemporaneamente, e preludeva, deterministicamente, a cose anche più nefaste.
(*) Quanto al mio personale Pantheon, sì: Pasolini ci sta. Non è facile individuare un trend dai suoi prodromi. Chissà cosa direbbe oggi, fra social network, smartphone e Sfera Ebbasta.
Nell'impossibilità di separare il grano dal loglio, le sembra giusto affermare: "E' tutto loglio"? Si può farlo, sia chiaro, ma solo assumendo che quello fascista non sia un problema storico, ma morale. Se si fa proprio questo assunto, la cosa non è solo possibile, ma doverosa: dal Male non può che venire male, sempre. Io, invece, sarei dell'idea che Renzo De Felice illustra nell'Intervista sul fascismo (Laterza, 1975). E, visto che abbiamo tirato in ballo Hitler, ritengo convincenti gli argomenti che lì porta a sostegno della tesi che tra Hitler e Mussolini, tra nazismo e fascismo, c'è pochissimo in comune. In quanto a Pasolini, lo trovo insopportabile: come scrittore e come poeta, come regista e come polemista.
EliminaPovero Pasolini,dileggiato in vita, difeso post mortem da uno che in internet fa per mestiere quello del dileggiatore. Non lo trova buffo, Malvino?
RispondiEliminaLe dirò, col tempo ho imparato ad apprezzare vieppiu i commenti di Erasmo.
EliminaLodevole da parte sua, Malvino, tutti hanno diritto ad una prova d'appello e questo le fa onore. Si ricordi però della favola della rana e dello scorpione.
RispondiEliminaAd ogni buon conto, la frase di Pasolini da me riportata nel primo commento è tratta dal suo articolo "I Nixon Italiani" apparso sul Corriere della Sera il 18 febbraio 1975, raccolto poi nel saggio 'Scritti Corsari' dall'Editore Garzanti.
RispondiEliminaState bene.
Ghino La Ganga
Sentita ieri sull'autobus. Due anziani signori seduti davanti a me.
RispondiElimina-"Guarda che Tajani ha detto una cosa giustissima
-Perché?
-Mio padre e mia madre si sono conosciuti nel '43 in un rifugio antiaereo.
Se Mussolini non fosse entrato in guerra io non sarei nato"
Interessante il post, interessante la discussione. Un sincero plauso a Malvino, ad Erasmo e agli altri commentatori (con una doverosa eccezione, ovviamente, giacché la perfezione non è mai di questo mondo). Ho parimenti apprezzato le argomentazioni di tutti, anche quando fra loro antitetiche, al punto che non mi sento in grado di confutarne o avallarne alcuna.
RispondiEliminaMi limito ad osservare che stronzate come «Mussolini ha fatto anche cose buone» una volta si sentivano pronunciare solo dai vecchietti più sprovveduti sui tram o all'osteria, che però, consci della propria inadeguatezza (anime sante ormai estintesi), si ritraevano come lumache di fronte alla prima obiezione, guardandosi bene dal difenderle da repliche che riconoscevano subito come assai più autorevoli e fondate. Oggi i cretini - assai più diffusi di un tempo in politica - hanno perso ogni genere e livello di umiltà: presiedono il Parlamento Europeo e in genere occupano scranni molto prestigiosi, cosa assolutamente impensabile una volta. Ciò perché gli sprovveduti, come sempre in larga e costante maggioranza nella popolazione, hanno smarrito le doti che una volta rendevano innocenti, sante e stimabili la loro ignoranza e/o la loro imbecillità, ossia la coscienza della loro inadeguatezza e il pregiudiziale rispetto per le barbe e per gli ambiti seri. Ambiti fra i quali un tempo anche la politica poteva essere annoverata. E i cretini da un po' di anni gonfiano i bargigli ascoltando gli spropositi dei politici cretini, cioè le stesse stronzate che i più anziani fra loro un tempo esitavano anche solo a sussurrare, mentre i più giovani - ahinoi - concepiscono come politica tout court. Cretini e politici cretini si sostengono dunque a vicenda con l'unico strumento di cui dispongano: la stronzata, appunto, ormai largamente sdoganata in ogni luogo della politica. Anche se, quando ne scorreggiano una, proprio in quanto cretini, non hanno mai piena consapevolezza della stronzaggine medesima. E chissà che questa peculiarità del rapporto (sociale? culturale? politico?) fra i "cretini" e la cosa pubblica non sia proprio il punto di partenza più idoneo per interpretare il fascismo. Inteso come quello del Ventennio, quello antecedente, quello seguente, quello immanente, quello eterno, ecc.. Secondo il mio modestissimo parere, sì.
Non vedo la mia ultima risposta. Ipotizzo che la cosa non sia voluta.
RispondiEliminaHo cercato nella pagina dei commenti dell'editor, nella cartella spam della mia mail-box (dei commenti in arrivo mi arriva la notifica) e nel cestino (nel caso avessi eliminato la e-mail di notifica): nessuna traccia di altri commenti oltre quelli pubblicati.
EliminaNon c'è problema, riassumo: le davo ragione sul grano e il loglio, e le davo torto su Pasolini.
Eliminadovrei avere "coscienza della mia inadeguatezza" (Esteban), leggere questi scambi così interessanti e tacere. se scrivo (oltre ai consueti due bicchieri di troppo) è perchè mi pare abbiate mancato un punto semplice ma importante: un governo - qualsiasi governo - non "fa" le bonifiche, le strade, la TAV: un governo utilizza i soldi dei cittadini. spendere è la parte facile; generare crescita (economica, e quello che ne consegue) e fare scelte intelligenti tra opzioni alternative, quella è la parte difficile. un fascista come Pinochet che ha ucciso migliaia di oppositori, ha affidato la riforma previdenziale ad economisti di Chicago, e per quanto mi faccia schifo ammetterlo, questo ha generato effetti positivi nei decenni successivi.
RispondiEliminaposto che sono nell'assoluta ignoranza delle opere di Salvemini e di Gramsci, e perciò dei loro rilievi positivi sul fascismo, mi pare che questa smania di edificare non sia da annoverare tra questi. e mi pare da ricordare anche che siano stati tirati su degli orrori: affacciata alla piazza con il castello, una disdicevole torre di 34 piani rende una patetica bugia ogni tentativo di definire Torino una bella città. e ricordo Bruno Zevi definire lo sventramento del quertiere ottocentesco e l'edificazione della orrenda Via Roma "un atto di teppismo". ecco, vedo "le opere del fascismo" come tentativi di fare bella figura con i soldi degli altri, riusciti a tratti. niente di più.