giovedì 18 luglio 2019

Raffaele Angelo Ventura, La guerra di tutti





«La violenza è già qui, lo è sempre stata» (pag. 289)


Allego in coda a questo post la recensioncella de Le ultime avventure di Gummo che scrissi quattordici anni fa, perché quello che oggi ho da dire su La guerra di tutti mi sarà in gran parte risparmiato. Ma quello era un romanzo (era un romanzo?), una novella (una novella?) – unapocalisse apocrifa, diciamo – diciamo che lAngelo era precipitato in una Patmos assai simile a un bar infestato da giovinotti di belle speranze e precario stipendio, per fare ingoiare un libricino dalle pagine imbevute di allucinogeno a uno pseudo-Giovanni felicemente libero da ogni speranza – e questo invece è un saggio (è un saggio?), peraltro semidichiarato seguito di un altro saggio (ma pure quello: era un saggio?), il fortunato Teoria della classe disagiata, e poi sono passati quattordici anni: chi resta uguale a se stesso dopo quattordici anni? Raffaele Ventura, sì, semplicemente insieme al libricino si è mangiato pure lAngelo, che infatti adesso sta tra Raffaele e Ventura. Direi: La guerra di tutti è semplicemente una glossa de Le ultime avventure di Gummo, una sua riscrittura in favore del lettore che ha problemi con la scrittura allegorica. Dai miei taccuini di quattordici anni fa, riporto un passaggio tratto da unintervista che Ventura concesse a La Voce di Milano il 26 dicembre 2005 (potrebbe essere il 24, la grafia è incerta). Cosera Gummo? «Una storia sul rapporto tra immaginazione e Storia. Linsurrezione delle forme narrative sepolte nellideologia. La metafisica come b-movie. Luigi Castaldi scrive che sono eversivo». Ed è vero che lavessi scritto, ma avevo pure scritto che Ventura si fosse divertito un mondo a prenderci per il culo: travestito da gnostico, ci aveva annunciato il Violent Unknown Event, e subito fatto «bù!», per ritrarsi a ridacchiare del nostro sconcerto. Una scrittura eversiva, dunque, ma come parodia di profezia. Quattordici anni dopo Gummo, il visionario e il grottesco trovano appigli nella realtà e reclamano un riconoscimento, che tutto sommato gli si deve. Rimando perciò alla chiusa del post di quattordici anni fa: «“Come cazzo è possibile che un libro così sia sugli scaffali delle librerie?” chiederebbe l’ingenuo in me. Il cinico in me ha la risposta e con un dito sulle labbra gli fa: “Sssss!”». E così è stato, aveva ragione il cinico: il Terzo Millennio ha bisogno di unapocalisse (non di un disvelamento, sia chiaro, non di una rivelazione: di unapocalisse come stravolgimento che azzera) e Raffaele (Angelo) Ventura aggiorna Gummo e lo manda in libreria. Avrà successo, senza dubbio. Peraltro – e qui sta lunico rimprovero che riesco a muovergli – La guerra di tutti si adegua assai furbescamente allo stile della saggistica odierna: nessuna articolazione, nessuna tesi, dunque neppure lonere dellargomentazione: immagini, citazioni, aneddoti, pettegolezzi letterari, evocazioni, suggestioni, un frullato gradevole, piacevolmente speziato. Insomma, scende giù che è un piacere. E il retrogusto ha l’inquietante che oggi è un must per l’intellettuale à la page. Ebbravo Ventura!

Nota
Ventura fa sapere che il suo secondo nome non è Angelo, ma Alberto. La cosa non impone correzione: se «il momento è vicino» (Ap 22, 10), l’Angelo è indispensabile.

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Raffaele Ventura, Le ultime avventure di Gummo 

Ho letto Le ultime avventure di Gummo di Raffaele Ventura. Ne avevo già letto brevi estratti che, suppongo, l’autore postava sul suo blogPseudepigrapha, mentre il lavoro era in fieri. “Sarà pronto per Natale – scriveva pressappoco il Ventura, uno o due mesi fa – e sarà mandato a chi ne farà richiesta”. Qualche giorno fa, in homepage, l’annuncio dell’invio e in un post-post-scriptum: “Vi prego di trattare il libricino con cura, aprirlo con moderazione, poiché sulla tenuta della colla ho soltanto speranza e immutata stima”. Ecco, ho voluto aprire questa veloce recensione di un libro portentoso (por-ten-to-so) con notizie che danno solo la misura laterale del portento. Sì, un blogger ha scritto un libro autoprodotto; speranza e stima riposte sulla tenuta della colla sono intrepide; il plico della cassetta della posta non ha mittente come gli artigianali confetti di esplosivi; la dedica (“a Cristina”) è tutto un ricamo di rimandi a maniere letterarie che poi saranno tradite e devastate da una intelligenza traditrice e devastatrice… Sì, ma non abbiamo ancora detto niente. E’ come se avessimo detto: l’acqua è bassa, si tocca; la folla è una folla di pezzenti; entrano in acqua uno a uno e si avvicinano al Battista; ne viene avanti uno con due occhi di brace… Così con questo libro, che andrà letto e riletto (mi conosco, mi conosco) fino a polverizzare tutta la colla della costa. “Non ti preoccupare, fa quello che devi fare, sbrighiamo ‘sta formalità” fa Cristo al Battista. Il libro di Ventura dà in felicissima analogia il trasalire che si avrebbe dinnanzi all’Anticristo, mentre si stava lì a battezzare la teoria di automi partoriti dalla fabbrica delle letterature lisergiche, delle fantascienze automatiche, dei testi tratti da b-movies e – toh! – di chi sono questi occhi di brace? Perdinci, siamo nell’Annuncio, noi, che venivano dall’Avvertenza. Sarà per questo che il libro di Ventura è crudelmente natalizio, com’era in qualche modo intuibile dalla considerazione (dal trasalimento) che dietro la barba di Santa Klaus si nasconde Satana, trionfante per “aver scalzato Cristo nel giorno stesso della sua nascita” (così su Pseudepigrapha scriveva l’anno scorso, il Ventura, dando il fondamento alle odierne reprimende del Natale scristianizzato da parte delle gerarchie ecclesiastiche). Quando involontari, gli errori di un libro sono incolpevolmente tratti da un altro libro. Perciò deve esistere un ‘errore originario’, deliberato” scriveva tempo fa sul suo blog, il Ventura, e ogni errore originario ne Le ultime avventure di Gummo è invece deliberatamente – dolosamente, in verità – tratto dalle Scritture. Dick, Burroughs, chi più ne ha, più ne metta – sono le negative, Ventura dev’essersi divertito un mondo a prenderci per il culo. Scriveva tempo fa (ed eravamo ancora all’Avvertenza di un possibile Annuncio): “Dove tutto è sacro, ogni gesto è una bestemmia” (più avanti: “La teodicea perfetta resta sostenere che gli eventi non hanno avuto luogo”). E nelle pagine di Gummo tutto procede per azioni che affollano le scene, i quadri. Sia chiaro, le azioni sono dialoganti, c’è sempre un A. e un B. (C. non datur): l’assonometria squaderna il boudoir, la philosophie che vi si consuma diventa comica gnostica. Molto probabile che il Ventura abbia voluto prendere per il culo anche sé stesso, almeno come gnostico, almeno come contranalogo di gnostico. In Gummo (perciò ne scrivo come affascinato, ma con un ultimo indugiare) ogni cosa rimanda e aderisce – dove c’è una bolla di scollamento, sollevando, c’è carne viva, rossa, non necessariamente dolente, ma sempre urlante. Svia (eccome!) l’apparenza del mosaico con tessere a margini aspri, ma qui l’ontologia, lì l’eschaton, e ancora, più in là, una pocket-theology riescono, più che a dare il sobbalzo, a farne riavere il riverbero, come per mero rimbalzo. La trama è quella di una favola che ogni volta ci spaventa e ci addormenta: la fine del mondo, il Violent Unknown Event, in queste 130 pagine guardato attraverso una dozzina di variazioni. Gummo, il protagonista, ha preso gli abiti dell’Anticristo col quale s’avanza da una bottega dell’usato punk, con qualche orrido accessorio aramaico, greco, perfino latino. Ha un’unghia ritorta che parrebbe istigazione, addirittura eversiva. Poi, chiuso il libro dopo averlo letto in discesa, con accelerazione quadratica (almeno così è stato per me), rimane la sensazione di un impatto terribile, il lettore è in ciascuno dei suoi stessi frantumi. “Come cazzo è possibile che un libro così sia sugli scaffali delle librerie?” chiederebbe l’ingenuo in me. Il cinico in me ha la risposta e con un dito sulle labbra gli fa: “Sssss!”. Sì, ma come cazzo è possibile che un libro così sia sugli scaffali delle librerie? (Malvino, 13.12.2005)

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