«La
violenza è già qui, lo è sempre stata» (pag.
289)
Allego
in coda a questo post la recensioncella de Le
ultime avventure di Gummo
che scrissi quattordici anni fa, perché quello che oggi ho da dire su La
guerra di tutti
mi sarà in gran parte risparmiato. Ma quello era un romanzo (era un
romanzo?), una novella (una novella?) – un’apocalisse
apocrifa, diciamo – diciamo che l’Angelo
era precipitato in una Patmos assai simile a un bar infestato da
giovinotti di belle speranze e precario stipendio, per fare ingoiare
un libricino dalle pagine imbevute di allucinogeno a uno
pseudo-Giovanni felicemente libero da ogni speranza – e questo
invece è un saggio (è un saggio?), peraltro semidichiarato seguito
di un altro saggio (ma pure quello: era un saggio?), il fortunato
Teoria
della classe disagiata,
e poi sono passati quattordici anni: chi resta uguale a se stesso
dopo quattordici anni? Raffaele Ventura, sì, semplicemente insieme
al libricino si è mangiato pure l’Angelo,
che infatti adesso sta tra Raffaele e Ventura. Direi: La
guerra di tutti
è semplicemente una glossa de Le
ultime avventure di Gummo,
una sua riscrittura in favore del lettore che ha problemi con la
scrittura allegorica. Dai miei taccuini di quattordici anni fa,
riporto un passaggio tratto da un’intervista
che Ventura concesse a La
Voce di Milano il
26 dicembre 2005 (potrebbe essere il 24, la grafia è incerta).
Cos’era
Gummo?
«Una
storia sul rapporto tra immaginazione e Storia. L’insurrezione
delle forme narrative
sepolte nell’ideologia.
La metafisica come b-movie. Luigi Castaldi scrive
che sono eversivo».
Ed è vero che l’avessi
scritto, ma avevo pure scritto che Ventura si fosse divertito un
mondo a prenderci per il culo: travestito da gnostico, ci aveva
annunciato il Violent
Unknown Event,
e subito fatto «bù!»,
per ritrarsi a ridacchiare del nostro sconcerto. Una scrittura
eversiva, dunque, ma come parodia di profezia. Quattordici anni dopo Gummo,
il visionario e il grottesco trovano appigli nella realtà e
reclamano un riconoscimento, che tutto sommato gli si deve. Rimando
perciò alla chiusa del post di quattordici anni fa: «“Come
cazzo è possibile che un libro così sia sugli scaffali delle
librerie?” chiederebbe l’ingenuo in me. Il cinico in me ha la
risposta e con un dito sulle labbra gli fa: “Sssss!”».
E così è stato, aveva ragione il cinico: il Terzo Millennio ha
bisogno di un’apocalisse
(non di un disvelamento, sia chiaro, non di una rivelazione: di
un’apocalisse
come stravolgimento che azzera) e Raffaele (Angelo) Ventura aggiorna
Gummo
e lo manda in libreria. Avrà successo, senza dubbio. Peraltro – e
qui sta l’unico
rimprovero che riesco a muovergli – La
guerra di tutti
si adegua assai furbescamente allo stile della saggistica odierna:
nessuna articolazione, nessuna tesi, dunque neppure l’onere
dell’argomentazione:
immagini, citazioni, aneddoti, pettegolezzi letterari, evocazioni,
suggestioni, un frullato gradevole, piacevolmente speziato. Insomma, scende giù che è un piacere. E il retrogusto ha l’inquietante che oggi è un must per l’intellettuale à la page. Ebbravo Ventura!
Nota
Ventura fa sapere che il suo secondo nome non è Angelo, ma Alberto. La cosa non impone correzione: se «il momento è vicino» (Ap 22, 10), l’Angelo è indispensabile.
Nota
Ventura fa sapere che il suo secondo nome non è Angelo, ma Alberto. La cosa non impone correzione: se «il momento è vicino» (Ap 22, 10), l’Angelo è indispensabile.
* * *
Raffaele Ventura, Le ultime avventure di Gummo
Ho
letto Le
ultime avventure di Gummo di
Raffaele Ventura. Ne avevo già letto brevi estratti che, suppongo,
l’autore postava sul suo blog, Pseudepigrapha,
mentre il lavoro era in fieri. “Sarà pronto per Natale –
scriveva pressappoco il Ventura, uno o due mesi fa – e sarà
mandato a chi ne farà richiesta”. Qualche giorno fa, in homepage,
l’annuncio dell’invio e in un post-post-scriptum:
“Vi prego di trattare il libricino con cura, aprirlo con
moderazione, poiché sulla tenuta della colla ho soltanto speranza e
immutata stima”. Ecco, ho voluto aprire questa veloce recensione di
un libro portentoso (por-ten-to-so) con notizie che danno solo la
misura laterale del portento. Sì, un blogger ha scritto un libro
autoprodotto; speranza e stima riposte sulla tenuta della colla sono
intrepide; il plico della cassetta della posta non ha mittente come
gli artigianali confetti di esplosivi; la dedica (“a Cristina”) è
tutto un ricamo di rimandi a maniere letterarie che poi saranno
tradite e devastate da una intelligenza traditrice e devastatrice…
Sì, ma non abbiamo ancora detto niente. E’ come se avessimo detto:
l’acqua è bassa, si tocca; la folla è una folla di pezzenti;
entrano in acqua uno a uno e si avvicinano al Battista; ne viene
avanti uno con due occhi di brace… Così con questo libro, che
andrà letto e riletto (mi conosco, mi conosco) fino a polverizzare
tutta la colla della costa. “Non ti preoccupare, fa quello che devi
fare, sbrighiamo ‘sta formalità” fa Cristo al Battista. Il libro
di Ventura dà in felicissima analogia il trasalire che si avrebbe
dinnanzi all’Anticristo, mentre si stava lì a battezzare la teoria
di automi partoriti dalla fabbrica delle letterature lisergiche,
delle fantascienze automatiche, dei testi tratti da b-movies e
– toh! – di chi sono questi occhi di brace? Perdinci, siamo
nell’Annuncio, noi, che venivano dall’Avvertenza. Sarà per
questo che il libro di Ventura è crudelmente natalizio, com’era in
qualche modo intuibile dalla considerazione (dal trasalimento) che
dietro la barba di Santa Klaus si nasconde Satana, trionfante per
“aver scalzato Cristo nel giorno stesso della sua nascita” (così
su Pseudepigrapha
scriveva l’anno scorso, il Ventura, dando il fondamento alle
odierne reprimende del Natale scristianizzato da parte delle
gerarchie ecclesiastiche).
“Quando
involontari, gli errori di un libro sono incolpevolmente tratti da un
altro libro. Perciò deve esistere un ‘errore originario’,
deliberato”
scriveva tempo fa sul suo blog, il Ventura, e ogni errore originario
ne Le
ultime avventure di Gummo è
invece deliberatamente – dolosamente, in verità – tratto dalle
Scritture. Dick, Burroughs, chi più ne ha, più ne metta – sono le
negative, Ventura dev’essersi divertito un mondo a prenderci per il
culo. Scriveva tempo fa (ed eravamo ancora all’Avvertenza di un
possibile Annuncio): “Dove tutto è sacro, ogni gesto è una
bestemmia” (più avanti: “La teodicea perfetta resta sostenere
che gli eventi non hanno avuto luogo”). E nelle pagine
di Gummo tutto
procede per azioni che affollano le scene, i quadri. Sia chiaro, le
azioni sono dialoganti, c’è sempre un A. e un B. (C. non
datur):
l’assonometria squaderna il boudoir,
la philosophie che
vi si consuma diventa comica gnostica. Molto probabile che il Ventura
abbia voluto prendere per il culo anche sé stesso, almeno come
gnostico, almeno come contranalogo di gnostico. In Gummo (perciò
ne scrivo come affascinato, ma con un ultimo indugiare) ogni cosa rimanda e aderisce – dove
c’è una bolla di scollamento, sollevando, c’è carne viva,
rossa, non necessariamente dolente, ma sempre urlante. Svia (eccome!)
l’apparenza del mosaico con tessere a margini aspri, ma qui
l’ontologia, lì l’eschaton,
e ancora, più in là, una pocket-theology riescono,
più che a dare il sobbalzo, a farne riavere il riverbero, come per
mero rimbalzo. La trama è quella di una favola che ogni volta ci
spaventa e ci addormenta: la fine del mondo, il Violent
Unknown Event,
in queste 130 pagine guardato attraverso una dozzina di variazioni.
Gummo, il protagonista, ha preso gli abiti dell’Anticristo col
quale s’avanza da una bottega dell’usato punk,
con qualche orrido accessorio aramaico, greco, perfino latino. Ha
un’unghia ritorta che parrebbe istigazione, addirittura eversiva.
Poi, chiuso il libro dopo averlo letto in discesa, con accelerazione
quadratica (almeno così è stato per me), rimane la sensazione di un
impatto terribile, il lettore è in ciascuno dei suoi stessi
frantumi. “Come cazzo è possibile che un libro così sia sugli
scaffali delle librerie?” chiederebbe l’ingenuo in me. Il cinico
in me ha la risposta e con un dito sulle labbra gli fa: “Sssss!”.
Sì, ma come cazzo è possibile che un libro così sia sugli scaffali
delle librerie? (Malvino, 13.12.2005)
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