venerdì 13 settembre 2019

Calcolo erroneo, deficit culturale, tara antropologica





Comprendo le ragioni di chi ritiene costituzionalmente ineccepibili i passaggi che hanno portato al varo del governo Conte: siamo una democrazia parlamentare, è in Parlamento che va cercata una maggioranza di governo, alle urne si ritorna solo se non ci sono i numeri per dar vita ad un esecutivo; e poi è al Quirinale che spetta scegliere a chi dare l’incarico di formare un governo, prendendo atto dei risultati elettorali, certo, e raccogliendo le indicazioni offertegli dai partiti, certo, ma, a dispetto del malinteso che il maggioritario ha insinuato in tanti, Palazzo Chigi non va di diritto al leader del partito che ha preso il maggior numero di voti perché sulla scheda elettorale si candidava a «Premier», che peraltro è termine assai improprio in luogo di «Presidente del Consiglio»; ergo, il governo Conte ha piena legittimità costituzionale.
Quale governo Conte, il primo o il secondo? Entrambi, perciò non lo specificavo. Anche quello sostenuto da Lega e M5S aveva legittimità costituzionale, e non ha senso dire – ancor più insinuare – che fosse meno piena di quella che ha il governo sostenuto da Pd e M5S per il fatto che stavolta, a sostenere l’esecutivo, sono i due partiti che sono arrivati al primo e al secondo posto per numero di voti avuti il 4 marzo 2018, mentre la volta scorsa il governo nasceva con l’appoggio dei partiti arrivati al primo e al terzo: quando c’è maggioranza parlamentare, quali che siano le forze a comporla, tale legittimità è sempre piena. Né essa può essere messa in discussione quando due governi di diverso o addirittura opposto segno politico si danno lo stesso presidente del consiglio: a renderla indiscutibile è il fatto che in entrambi i casi abbia una maggioranza parlamentare a conferirgli il mandato. Altro discorso a dare ascolto alle ragioni di chi ritiene che il governo Conte tradisca il voto uscito dalla urne il 4 marzo 2018.
Quale governo Conte, il primo o il secondo? Entrambi, perché l’accusa è stata mossa sia al governo sostenuto da Lega e M5S (la Lega si era presentata come parte di una coalizione, che ha abbandonato subito dopo il voto; il M5S si era dichiarato indisponibile a qualsiasi alleanza, con chicchessia), sia a quello sostenuto da Pd e M5S («mai col Pd», diceva il M5S; «mai col M5S», diceva il Pd).
Vogliamo considerarlo un torto consumato ai danni degli elettori? Nel caso, dobbiamo considerare più grave quello consumatosi nel giugno 2018 o quello consumatosi nel settembre 2019? Dipende: più grave il primo, per il Pd; più grave il secondo, per la Lega; gravi entrambi, a pari demerito, per FI e FdI. In entrambi i casi, tuttavia, l’operazione era costituzionalmente legittima, perché i parlamentari che votano la fiducia ad un governo appartengono a partiti che durante la campagna elettorale fanno promesse, pronunciano impegni, illustrano programmi, ma da eletti non hanno vincolo di mandato e singolarmente o in gruppo, anche in un gruppo coincidente a quello del partito nelle cui liste erano candidati, rappresentano la nazione in toto, non parte di essa, e dunque decidono «in nome di», non «per conto di».

Il mio lettore è un costituzionalista nato, chiedo scusa se fin qui l’ho tediato con rilievi che gli saranno apparsi tanto scontati da risultare banali. Credo che però valesse la pena di richiamarne la ratio per mostrare quanto essa possa risultare astrusa a una larga parte del paese, per un dato che, pur incontestabile, è difficilmente accettabile nelle sue più ovvie implicazioni, a cominciare dal dato che gli è speculare. Il dato: risultati elettorali alla mano, dal 1948 ad oggi, la sinistra non è mai stata maggioritaria in Italia e, anche quando ha raccolto il massimo consenso, tra le sue varie componenti si sono sempre palesate profonde divisioni e tali aspri contrasti da non consentirle mai il governo del paese. Speculare a questo dato: in questo paese la destra esiste, e nelle sue diverse, ambigue, contraddittorie declinazioni è maggioranza, e tuttavia la sinistra, pur nelle sue diverse, ambigue, contraddittorie declinazioni, ha sempre preferito considerarla un problema, un’anomalia, l’espressione di una volontà popolare che era lecito, anzi doveroso (del dovere che tiene a bada scostumatezza e sconvenienza), ritenere frutto di calcolo erroneo, deficit culturale, tara antropologica: sfondando forse una porta aperta, credo si possa dire che la sinistra non è mai stata capace di riconoscere piena legittimità politica alla maggioranza (relativa o assoluta) del paese.
Col non riuscire mai a raccogliere la maggioranza dei consensi era del tutto naturale, dunque, che per lunghi decenni, quelli della cosiddetta Prima Repubblica, alla sinistra spettasse stare all’opposizione, ma covando una comprensibile frustrazione. Sarà stato per una connaturata refrattarietà della maggioranza degli italiani ai suoi ideali e ai suoi programmi? Sarà stato perché la divisione del mondo in blocchi ne faceva l’inintroiettabile fattore K, pena un golpe alla cilena? Lasciamo perdere, restiamo al dato di fatto: la sinistra non è mai stata maggioritaria in Italia, e tuttavia è stata in grado di far credere lo fosse grazie al reclutamento di quella «aristocrazia operaia» (scrittori, giornalisti, artisti, ecc.) incaricata di conferirle «egemonia culturale», progetto cui Togliatti diede vita all’indomani della spartizione del mondo che a Yalta destinò l’Italia al blocco occidentale: chiusa la via a una conquista del potere con le cattive maniere, rimanevano solo quelle buone. Che ebbero egregi risultati, occorre dire, al punto da dettare regole inflessibili sul modo di leggere la storia e, più in generale, in grado di flettere qualsiasi intelligenza che aspirasse ad aver voce nel dibattito pubblico ad un galateo che non consentiva sgarri: chi metteva in discussione le indiscutibili certezze della sinistra poteva accomodarsi nelle fogne. Chi osasse metterle in discussione, d’altra parte, almeno di sponda era fascista, perché il fascismo altro non era che strumento del capitale, sicché in ultima analisi fascista era chiunque si piegasse alle logiche del capitalismo, anche se schermendosi col riformismo. Pendant: «uccidere un fascista non è reato», ma questo come ultima opzione, potendosi accontentare anche del fatto che il fascista (rectius: chiunque mettesse in discussione ideali e programmi della sinistra) non s’azzardasse a dar segno di vita, stesse zitto, risultasse invisibile. Durò a lungo, e diede buon frutto, ma costò una dispercezione del reale destinata a infliggere dolorose frustrazioni: com’è che certe idee, certi valori – le nostre idee, i nostri valori – trionfano pure sulle quattro mattonelle tra cesso e bidet, e poi anche stavolta la Dc si è pigliato il 32%, i suoi cespugli un buon 8%, e un altro 8% se lo è pigliato il Msi, mentre il Psi – che sinistra non è, via – la volta scorsa se n’è pigliato altrettanto e stavolta anche di più? In altri termini: com’è che tutto il nostro sforzo pedagogico, il nostro amabile paternalismo, non impediscono che tanta parte del paese resti preda del calcolo erroneo, infognata nel deficit culturale, segnata dalla tara antropologica? Straziante eco del povero Gennaro Serra di Cassano: «Ho sempre lottato per il loro bene e ora li vedo festeggiare la mia morte».

Tutto questo – mi si dirà – fino alla caduta del Muro di Berlino, poi – mi si dirà – la sinistra è riuscita a vincere, sennò che altro sarebbero i governi Prodi? E Renzi? E Gentiloni? Sarebbero centro-sinistra – dico io, lasciando a voi decidere sulla natura del trattino – e, guarda caso, portando uomini della sinistra a capo di qualche dicastero (con D’Alema perfino alla Presidenza del Consiglio) solo grazie all’essenziale apporto di quel centro che, col proporzionale della Prima Repubblica, era stato il baricentro della politica italiana e, col maggioritario della Seconda, fu lacerato in due, metà di qua, metà di là, in attesa di ricomporsi alla prima occasione in cui destra e sinistra mostrassero, di qua o di là, di qua e di là, tratti di cedimento rispetto alle loro tradizioni culturali o più prosaicamente rispetto al loro consenso. Ma intanto il cedimento su quale lato erodeva più prestigio culturale e più consenso? Con la «morte delle ideologie» si descriveva in realtà un fenomeno che ne vedeva morire solo una, quella che aveva nutrito almeno due o tre generazioni di politici di sinistra; quelle di destra (perché a destra, da sempre, ce n’è più d’una) indugiavano nelle fogne, dando da credere che di lì non si sarebbero mai mosse, se ancora poi erano vive. Bastava appena un po’ di proporzionale, la comparsa sulla scena politica di un intruso che vantava di «non essere né di destra né di sinistra» e che così maturava l’alibi di potersi alleare indifferentemente con l’una e con l’altra, e il gioco era fatto: la logica della democrazia parlamentare, a lungo negletta, tornava a esigere rispetto, e a ottenerlo, insinuando il sospetto che le regole costituzionali perpetuassero la conventio ad escludendum che le aveva ispirate per impedire che maggioranza del paese potesse esprimere un governo «fascista», cioè perfettamente impermeabile a ideali e programmi di sinistra.
Eravamo così al percepito «furto di sovranità» che oggi è agitato dalla destra a fini propagandistici e che la sinistra autorizza a percepire come tale per le ragioni che esprime in favore di unalleanza col M5S, fino a un mese fa dichiarata inammissibile: occorre dilazionare il più possibile nuove elezioni, che al momento è presumibile darebbero il governo del paese alla Lega, è necessario che il prossimo inquilino del Quirinale non sia espresso da un Parlamento in cui la maggioranza sia di destra.
Sante preoccupazioni, ma giacché non cè articolo della Costituzione che esplicitamente vieti lelezione di un Presidente della Repubblica che non sia di centro o di sinistra, né ce n’è uno che esplicitamente vieti a Salvini di diventare Presidente del Consiglio, questo preoccuparsi assume forma dell’imbroglio, del tentativo di conservare un primato – culturale in senso lato, prima che politico in senso stretto – ampiamente perso nel paese, e sul paese.
Voilà, le fallaci «ragioni del nemico» acquistano un incredibile potenziale di credibilità. Con quanto di pericoloso ne trascende. Perché ai lazzari che sghignazzano al cadere della testa di Gennaro Serra di Cassano è facile far credere che i giacobini siano al soldo della Francia e che il Borbone, prima che re, è padre.

5 commenti:

  1. post molto chiaro e persuasivo. Permetta di sottoporle una questione che mi ha sempre assillato. Perché, cioè, la destra (o le destre) in Italia hanno lasciato libero campo al costruirsi di un' egemonia culturale di sinistra? Può darsi che lei non condivida questa mia impressione, ma mi è sempre sembrato che le destre abbiano rinunciato a giocare fino in fondo la battaglia culturale e che si siano accontentati di una sottaciuta divisione dei ruoli: alla sinistra la testa, alla destra la pancia (maggioritaria) del paese. In fondo anche la destra ogni volta che ha rialzato la testa l'ha sempre fatto mostrificando l'avversario (comunisti, traditori della patria, venduti etc. ). Personalmente credo che storicamente siamo fuori tempo massimo per una ricomposizione delle forze e per un riconoscimento reciproco, auspico una lunga fase consociativa. Un consociativismo che non si vergogni di se stesso, che miri ad una nuova egemonia culturale. Dov'è scritto che in democrazia ci deve essere sempre un vinto e un vincitore ? Grazie della risposta.

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  2. Breve digressione inziale: nei miei ricordi di infanzia, e adolescenza, "elezioni anticipate" era una bruttissima espressione, con connotazione negativa. Essa racchiudeva in sé un fallimento, quasi un vizio, era l'indice di una nostra politica non col livello e la dignità dei colleghi occidentali. Si contavano i governi, con disprezzo, e le tante elezioni, con vergogna. Oggi lo "andiamo a votare" è stato sdoganato, viene chiesto dai politici, dal popolo.
    È un cambiamento, non crede?
    A mio parere, quello di cercare una maggioranza parlamentare è un dovere preciso degli eletti, Costituzione o meno. Io il mandato lo conferisco per cinque anni, non voglio essere disturbato ogni due per due per tre, per inettitudine o capriccio. Certo, in assenza di condizioni, in vera assenza di esse, se ne prenda atto e si torni pure a votare.

    Sull'ultima parte: c'è stato effettivamente negli ultimi cinque lustri un fattore c. per il centrosinistra, spesso per coincidenza fortuita, che ha fatto sì che il PdR fosse da esso sostenuto, pur essendo stato maggioranza per una sola porzione (esempio: durante i governi Berlusconi nessuna elezione di PdR). Voglio solo aggiungere la litania che si ripete, che però trovo puntuale e a fuoco, per far notare che è stato il Salvini a farsi fuori dalla corsa suddetta. Come mai io, che quei corridoi non frequento, ho sempre tenuto conto che nei numeri esisteva anche un'altra maggioranza?

    Aggiungo infine una domanda: cosa si presenterebbero a fare i partiti politici alle elezioni, se pensassero che gli avversari saprebbero fare quello che stesse bene anche a loro? Mi sembra tautologico che, essendosi presentati alle urne, con un mandato quinquennale, non desiderino ardentemente cedere la possibilità di governo all'avversario.
    È davvero così strano e disdicevole? O non forse logico e consequenziale?
    Inizialmente Zingaretti diceva che si sarebbe andati a votare, vedendo gli uni e gli altri come avversari. Poi forse qualcuno ha pensato che c'è chi è meno avversario dell'altro.

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    1. è tutto giusto. Tutti i fastidi e paradossi vari nascono dall'idea che in democrazia ci debba essere un vincitore e un vinto, ovvero che ci sia bisogno in parlamento di maggioranze stabili. Ma nella vita non ci sono maggioranze stabili e non ci sono i buoni sempre e i cattivi sempre. La soluzione sarebbe semplice: legislatura bloccata, premier inamovibile una volta eletto dal parlamento, maggioranze variabili su ogni provvedimento. Tanto quello che oggi fanno questi sarà domani disfatto da quegli altri. Ovviamente proporzionale puro. Perchè questa soluzione non è stata mai adottata da nessun paese ? Semplice: perché la democrazia moderna nasce con una fortissima ipoteca capitalistica. Si è riusciti ad imporre il valore della concorrenza in un ambito, quello politico, che sarebbe per natura eminentemente cooperativo.

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    2. Viene il dubbio che forse la democrazia non esista veramente. Come governo del popolo non esiste, come alternanza di partiti è poco più di un gioco di palazzo, come costruzione di un'egemonia culturale è fallimentare. Strade e ponti e case non si costruiscono secondo l'interesse collettivo, ma secondo convenienza di società per azioni. Lo Stato non governa secondo sistemi democratici e tantomeno lo fanno le società d'affari. Se per democrazia ai intende ormai il fluire ininterrotto dei partiti nell'agone politico e l'esercizio stile quiz a premi delle elezioni (quando le fanno fare), credo sia un po' poco. O forse è tutto qui e va bene per passare il tempo e fare dotte disquisizioni. In fin dei conti come diceva Mark Twain se le elezioni servissero a qualcosa non ce le lascerebbero fare. C'è ancora la libertà di parola, ma la censura è molto attiva, pur con modalità morbide e non certo con l'olio di ricino. Siamo liberi di muoverci dove vogliamo per ora, ma solo perché economicamente rende.
      E' questa la democrazia? Forse si, non si può pretendere.
      I giochetti della sinistra egemone culturale che non prende mai il potere servivano quando c'era l'URSS. Ora la stessa egemonia culturale è pro Usa, Europa e anti Trump. Ma sono giochetti nei quali la gente non ha potere, né interesse. È dunque democrazia? Se i parlamentari giustamente non hanno obblighi di mandato rispetto ai loro elettori ha senso parlare di democrazia rappresentativa?
      È dunque un fantasma la democrazia?

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  3. Professore, piuttosto che la presunta genialità di Renzi, mi pare si debba rilevare la vacuità dei Dem; non si erano convinti della bontà del maggioritario? non ritenevano importanti le alternanze di governo, i governi di legislatura? un pezzo alla volta, sono ritornati sul proporzionale puro, per poi scoprire che con 30 deputati Renzi tiene per le palle il governo. incredibile, vero? in un altro scenario, Di Maio avrebbe potuto scoprire la stessa cosa per Dibba e il suo partito del Che. 

    A margine: questo suo post è straordinario. 

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