«Non
c’è niente di meglio, quando si vuol discutere con profitto, che
mettersi preliminarmente d’accordo sul significato da dare al
termine che designa l’oggetto della discussione»,
e in quel caso si trattava di un concetto quanto mai sfuggente, per
molti versi perfino ambiguo, quello di «autorità»
(Dov’è
finito il principio di autorità
– Malvino,
8.1.2017). Sul «totalitarismo»
ho commesso l’errore
di ritenerlo superfluo, pensando che in discussione fosse un concetto
chiaro, quello relativo al sistema politico – cito il Treccani
– «in
cui tutti i poteri sono concentrati in un partito unico, nel suo capo
o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare l’intera
società grazie al controllo centralizzato dell’economia, della
politica, della cultura, e alla repressione poliziesca»,
che poi è definizione appena un po’
più articolata di quel «dominio
assoluto nel campo politico e amministrativo» che
Giovanni Amendola ascrisse, nel 1923, al quid
che, coniando il termine, chiamò «totalitario».
Si badi bene: la definizione non lascia adito ad alcun distinguo
riguardo alle finalità di questo o quel sistema totalitario. In
altri termini, non è discussione se la concentrazione del potere e
il controllo centralizzato di ogni aspetto della vita sociale
abbiano per orizzonte ultimo l’infernale mondo in cui si sia
affermata la supremazia della razza ariana o il beato paradiso in
terra dove ognuno dà secondo le proprie possibilità e a ognuno è
dato secondo i propri bisogni: in oggetto è lo strumento che si
dichiara necessario a perseguire il fine, e che nel totalitarismo –
qui do ancora voce al Treccani
– sta nella «preminenza
del partito unico sullo Stato»,
nel «radicale
antipluralismo politico e sociale»,
nell’«ideologia
della “rivoluzione permanente” e del “nemico oggettivo” per
tenere alta la mobilitazione del consenso di massa»,
nell’«impiego
massiccio delle tecniche di comunicazione come strumenti di
propaganda»,
e nell’«uso
sistematico del terrore come strumento di governo».
E allora, giacché tali elementi sono sempre stati la regola in tutti
i suoi precipitati storici, che senso ha farsi venire le paturnie a
sentir dire che «il
comunismo è un totalitarismo»?
Credo di avere la risposta: tra i totalitarismi di cui abbiamo
esperienza ce n’è uno – quello comunista – che ad alcuni –
comunisti, ma non solo – piace più degli altri, e per le promesse
che fa, promesse così belle che varrebbe la pena di chiudere un
occhio su quanto è dato come indispensabile perché esse siano
mantenute, anche se poi non sono mai state mantenute, neanche quando
l’indispensabile si è ottenuto con la forza.
Indispensabile è
quel «periodo
politico transitorio, il cui lo Stato non può essere altro che la
dittatura rivoluzionaria del proletariato»
(Critica
del programma di Gotha),
perché occorre sia chiaro che «la
lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del
proletariato»
(Lettera
a Joseph Weydemeyer):
«non
può essere altro che»,
«necessariamente».
E quanto dura, questa dittatura? Chi può dire, di fatto ogni
precipitato storico del comunismo non è mai riuscito a superare
questa fase di transizione. A rigor di logica, se non la prevedeva,
nemmeno era comunismo.
Malvino, le chiederei un ulteriore sforzo di generosità e di definire anche il termine "comunismo".
RispondiEliminaDottrina che sostiene la cogenza di un sistema sociale in cui i mezzi di produzione e quelli di consumo vengano sottratti alla proprietà privata per divenire proprietà comune.
RispondiEliminaAllora basta un decreto legge! Quanto ai "mezzi di consumo" sono compresi anche gli apparati digerenti? Saluti da lontano
EliminaDecreto legge? Robaccia borghese! Molto meglio la presa del potere con la violenza, eventualmente col terrorismo. Lei mi insegna, cara Olympe, che su un tappeto di cadaveri si procede spediti verso il sol dell’avvenir.
EliminaIn quanto ai “mezzi di consumo”, chieda ai redattori del Treccani.
http://www.treccani.it/enciclopedia/comunismo/
Stai sereno, quelli come te li fuciliamo per ultimi e solo se a avanzano colpi
EliminaCampa cavallo.
EliminaPerò, chiedo scusa, se non ricordo male Marx, il comunismo avrebbe dovuto essere la trasformazione dell'individualismo formale specifico della società borghese in individualismo sostanziale, attraverso un lungo percorso di trasformazione sociale: dalla competizione sfrenata dell'uomo economico alla cooperazione razionale tra produttori, una cooperazione non priva però di competizione: in fondo Marx è sempre stato un vero individualista. Non mi risulta poi che albergasse in lui l'idea della "preminenza del partito unico sullo Stato" o anche solo il pensiero che il comunismo dovesse essere imposto necessariamente con la forza, o ancora l'idea di un'avanguardia che dovesse prendere il potere coi forconi. Quando Marx parla del "periodo politico transitorio, il cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato" sta parlando di un momento storico, logicamente possibile, nel quale ormai la classe "proprietaria" non si occupa più della produzione reale, ne è estranea ma mantiene il suo controllo parassitario (rentier) sulla società attraverso il potere coercitivo dello stato, rimasuglio dello stato borghese che Marx descrive come reazionario e pronto per il suo superamento dialettico (negazione della negazione). Il nuovo stato, cioè lo stato nascente, avrebbe dovuto dunque rappresentare il potere, certamente anche repressivo, della maggioranza dei produttori (gli agenti che operano realmente la produzione) su una minoranza divenuta ormai un freno per lo sviluppo delle forze produttive, uno stato destinato comunque alla sua estinzione. Quanto avvenuto in Russia nel '17, ma anche successivamente in Cina oppure oggi in Venezuela non ha niente a che vedere con tutto questo, ma proprio niente: quella società che avrebbe dovuto permettere il pieno fluire delle potenze mentali e materiali non aveva sotto di sé quanto le sarebbe servito per fiorire. Certo, si è trattato di regìmi autoritari e totalitari, ma non si trattava certo di comunismo, almeno se per comunismo intendiamo ciò che Marx prefigurava quale modo di produzione che avrebbe dovuto seguire al capitalismo. Anche il concetto di proprietà "privata" è per Marx assai più complesso di quanto si possa pensare, essendo il capitalista l'agente che impone la produzione di sopravalore attraverso uno scambio (mediamente) di equivalenti guadagnando il plusvalore in pieno diritto: privato, cioè separato dai produttori immediati, è quel luogo nel quale avviene la competizione tra i proprietari dei mezzi di produzione cioè tra coloro che possiedono ed esercitano un potere reale sulla società nel suo divenire. Anche un'azienda pubblica, cioè formalmente di proprietà dello stato e dei cittadini, è a tutti gli effetti un'azienda privata se compete sotto il controllo di agenti economici in un campo che presuppone prima di tutto la loro separatezza dal resto della società.
RispondiEliminaGrazie per l'ospitalità e saluti a tutti i lettori.
A.R.
Lei mi dà modo di lamentarmi di non riuscire mai a farmi leggere rigo per rigo, parola per parola, e di questo naturalmente la ringrazio. Ciò detto, rilegga con attenzione il post e vedrà che le obiezioni che muove col suo commento sono previste e affrontate, tutte in una, nell’ammettere la dieresi tra Marx e il marxismo. Come contropartita mi permetto di chiedere si ammetta che questa dieresi sconcerta per la sua ubiquitarietà. Lei deve sapere che volo basso, non ho polmoni capaci di utopia e, tutto impastato di empirismo come mi ritrovo, ho grossi limiti a cogliere la bellezza di una teoria che nella pratica produce solo grassi burocrati e miseria generalizzata, qui un gulag “certamente repressivo”, come benignamente lei concede, lì la lisi di tutte le nevrosi instillate dal capitalismo. Provate a clonare Marx, fatevi scrivere un IV e un V libro del Capitale in cui spieghi come si passa dalla dittatura del proletariato al paradiso terrestre, e poi se ne riparla. Baci.
RispondiEliminaSe è per questo io volo ancora più basso, poichè oltre a non essere capace di utopìa non mi sento in grado di definire cosa sia o non sia il marxismo, perchè, diciamolo, in fondo sono sempre stati altri a dire cosa fosse o non fosse marxista. Per restare in tema devo dire che l'idea che la dittatura rivoluzionaria del proletariato oggi possa divenire un fatto reale mi pare alquanto stravagante e di certo non trascorro le mie notti a sperare che domani sorga il sol dell'avvenire e che gli espropriatori siano finalmente espropriati: mi limito ad arrivare a fine giornata sperando di avere sempre un lavoro che mi permetta di mangiare. Per il resto non c'è alcun bisogno di clonare Marx, mi accontenterei di rivederlo al suo giusto posto nel quadro generale.
EliminaBaci anche a lei e grazie per lo spazio che gentilmente mi ha concesso.
A.R
certo sarebbe bello che tutte le ideologie cedessero il posto ad altrettanti progetti di società future. Ma progetti chiari, precisi, criticabili nel merito.
RispondiEliminaCoda 2
RispondiEliminaDa wiki
La probabile origine dell'espressione risale alla pratica medievale di umiliare gli sconfitti o i condannati attaccando loro una coda di paglia, con la quale dovevano sfilare per la città a rischio che qualcuno gliela incendiasse come gesto di ulteriore scherno[1].
Siamo tutti tranquilli, in attesa di un empirico volo rasoterra,date le magnifiche sorti et progressive attuali.
caino