giovedì 10 ottobre 2019

Hanno tutti ragione? / 2



2. «Questo non è, in senso stretto, un libro di filosofia», avverte Massimo Adinolfi chiudendo lIntroduzione di Hanno tutti ragione? (pag. 9). Lo è in senso lato, dunque? Senza dubbio, perché il saggio e anziano nocchiero è diventato cieco, e ha perso il controllo del timone, oggi conteso da mozzi incompetenti e presuntuosi, che senza dubbio manderebbero la nave a fracassarsi sugli scogli, sicché occorre che qualcuno...
Pardon, mi stavo facendo prendere dal milieu abbandonandomi allallegoria con la quale, nel VI libro della Repubblica, Socrate spiega a Glaucone perché il governo della polis spetti al filosofo. Ad Atene, neanche a parlarne. Per tacere di Siracusa, povero Platone. La filosofia deve ridimensionare le aspettative: ancilla theologiae, nutrendo la speranza di diventare, e chissà come poi, serva padrona; e poi a corte, nel posto dove si intersecano le bisettrici degli angoli tra giullare, favorita e domestico di stanza; di frustrazione in frustrazione, eccolo nella turris eburnea come sacerdote nel tempio del suo sistema, clerc sempre tentato alla trahison; ma intanto il Principe è diventato Partito, e allora eccolo incardinato nellaristocrazia operaia; infine, come si diceva, tra virgolette; anche stretto tra quelle, tuttavia, al «filosofo» non si può negare lesercizio della «scienza della verità», che intanto da rivelazione è diventata saggezza, e da saggezza è diventata ermeneutica, e da ermeneutica è diventata opinione tra le opinioni.
E ordunque: rigogliosa cresce la «malapianta del populismo», mentre sempre più pesanti si fanno gli «affanni della democrazia rappresentativa»; poi c’è la «straordinaria accelerazione tecnologica» che ha comportato «profonde modificazioni dello spirito pubblico» (pag. 7); e tutto questo mentre alla tv c’è «la cattedrale di Notre-Dame in fiamme» (pag. 9); come volete che a Massimo Adinolfi non vengano d’istinto le 96 paginette con le quali provare a far «argine ai cedimenti di certe infrastrutture culturali» e a «migliorare la qualità della discussione pubblica» (pag. 10)? Con 96 paginette? Con 96 paginette. Non avranno la «caratteristica gravità» del libro di filosofia, «ma è un libro, tuttavia» (pag. 9). E almeno su questo siamo d’accordo: senza dubbio è un libro.

Si comincia con un piccolo inciampo, ma è cosa da poco. Siamo nel 1929, anno in cui esce Essenza e valore della democrazia di Hans Kelsen, e di quell’anno si dice sia quello in cui «Mussolini, al potere fin dal 1922, firma i Patti Lateranensi, con i quali la religione cattolica diveniva la “sola religione dello Stato» (pag. 11): non è così, perché la religione cattolica è la «sola religione dello Stato» già con lo Statuto Albertino del 1848 (art. 1), che nel 1861 – 51 anni prima della Marcia su Roma e 58 anni prima dei Patti Lateranensi – diventerà carta costituzionale del neonato Regno d’Italia. Ma a chi non può scappare un erroruccio del genere, quando in procinto di far «argine ai cedimenti di certe infrastrutture culturali»? Si può chiudere un occhio, via, veniamo al sodo.
Hans Kelsen, pag. 12: «Tolleranza, diritti della minoranza, libertà di parola, e libertà di pensiero, così tipiche della democrazia, non hanno diritto di cittadinanza in un sistema politico basato sulla fede in valori assoluti. Questa fede conduce irresistibilmente, e ha sempre condotto, a una situazione in cui chi asserisce di possedere il segreto del bene assoluto reclama il diritto di imporre la sua opinione come la sua volontà agli altri che sono nellerrore» (Assolutismo e relativismo nella filosofia e nella politica). Sottoscriviamo? Piano.
«Di primo acchito – scrive Massimo Adinolfi – siamo tutti portati a pensare, in effetti, che sia così» (pag. 14). Ora, la grammatica ci dice che «in effetti» è locuzione con valenza di congiunzione dichiarativa/esplicativa, come lo è, ad esempio, «in realtà». Si noti che qui «in effetti» non cade su «sia così», ma su un «pensare» che è «di primo acchito»: «in realtà» così si pensa, non è detto che «in realtà» così sia, siamo dissuasi dal precipitarci a sottoscrivere. E cosa non funziona in ciò che afferma Kelsen a un «pensare» che non sia «di primo acchito», ma più ponderato, meglio se assistito, dunque, da un filosofo? È presto detto: quelle di Kelsen sono parole di buonsenso. E che c’è di male nel buonsenso? Che domande.


Qui è necessario aprire una parentesi, vedrete che non sarà una perdita di tempo: occorre intenderci su cosa debba intendersi con «buonsenso». Ma dicevamo: anche sul significato dei termini di più comune impiego ogni filosofo rivendica il diritto di darne uno tutto personale. Conviene, dunque, andare a rileggere cosa scriveva Massimo Adinolfi, poco meno di un anno fa, nel mentre assai probabilmente di lato aveva in fieri Hanno tutti ragione?
È un articolo apparso su Leftwing, in cui il «buonsenso» è la «capacità di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso», definizione che ne dà Cartesio aprendo il Discorso sul metodo, e che dunque non si capisce perché dovrebbe essere la «bancarotta della filosofia» in quanto «scienza della verità». Quello che però in sostanza si lamenta, e fin dal titolo (Abbiamo perso la guerra del buonsenso), è altro: il «buonsenso» di un tempo era «filosofia non elaborata che si sedimenta nella coscienza collettiva»; bene, quel «buonsenso» non cè più, è andato a farsi fottere, sconfitto da un «buonsenso» che a Massimo Adinolfi non piace perché stravolge le categorie di «vero» e «falso» cui era tanto affezionato, e chissà che della sconfitta non sia anche un po sua la responsabilità, perché «facev[a] le bucce a cardinale Ratzinger» quando quello se la pigliava con relativismo. Ecco qua, per dare ascolto a Kelsen abbiamo lasciato sedimentare lerrore nella coscienza collettiva. Certo, non siamo dinanzi a «chi asserisce di possedere il segreto del bene assoluto [e] reclama il diritto di imporre la sua opinione come la sua volontà agli altri che sono nellerrore»: mancano le palle. 

[segue]

1 commento:

  1. Di piacevole lettura, e pervaso di levità. Tanto che -lei mi scuserà- mi ci scappa il lazzo: parrebbe che, in tema adinolfiano, lei commisurasse la pressione alla massa corporea del soggetto. Ossia, con questo Adinolfi ci va leggero, con quell’altro pesante assai.

    RispondiElimina