Non
sapevo che «Lucca
Comics & Games è una fiera internazionale dedicata al fumetto,
all’animazione,
ai giochi (di ruolo, da tavolo, di carte), ai videogiochi e
all’immaginario
fantasy e fantascientifico, che si svolge a Lucca, in Toscana, nei
giorni tra fine ottobre e inizio novembre» (Wikipedia),
l’ho
appreso solo ieri sera, ma sarei ipocrita a fingere imbarazzo per il
ritardo col quale sono arrivato a colmare la lacuna: fumetti,
videogiochi e fantasy non sono mai stati fra i miei interessi, e le
fiere, in generale, mi danno l’orticaria.
Poi c’è
che, come da tempo mi ripete il Mantellini, e ha ragione, io sono
«vecchio»,
e qui le virgolette non stanno a mettere in discussione
l’incontestabile
dato anagrafico di uno che è del ’57,
quanto a dar conto di una natura, una postura, un’inclinazione,
non saprei come definirla, che è mia da sempre (in tal senso direi
che sono nato «vecchio»),
e che mi ha sempre reso impossibile il frenetico
uptodating
che
è lo sport preferito dall’uomo
di mondo: cos’altro poteva rendermi nota l’esistenza di qualcosa
totalmente estraneo ai miei interessi se non l’eterna giovinezza di
chi è perennemente immerso nel refreshing?
Ma così divago, torniamo al Lucca
Comics.
Ci
arrivo grazie a un
tweet di @repubblica
che rimanda al video col quale ho aperto questo post, stralci degli
interventi tenuti da Manuel Agnelli e Gian Alfonso Pacinotti (Gipi)
nel corso di un dibattito pubblico ospitato da quella che così ho
scoperto essere «la
più importante rassegna italiana del settore, prima d’Europa
e seconda al mondo, dopo il Comiket di Tokyo». Quel ha
subito attirato la mia attenzione non è stato tanto il virgolettato
che nel tweet si offriva a sintesi dell’opinione
espressa dai due («Internet
è un’occasione
sprecata»),
che pure ha indubbio motivo di interesse, e che qui infatti mi
ripropongo di affrontare, ma cosa potesse motivare l’accoppiata,
ancor più rispetto a un tema sul quale non mi pare che un musicista
e un fumettista possano vantare particolari competenze.
Il
video non me ne ha dato spiegazione, mentre qualcosa in più mi è venuto
dall’intervista
concessa dai due a Valeria Rusconi: «Cosa
vi unisce? “Innanzitutto il fatto che siamo due appassionati di
arti marziali”... “Fino a due anni fa non ci conoscevano”,
spiega Gipi... “Io lo conoscevo, invece, e mi piacevano tantissimo
le sue cose”, dice Manuel... Vista la vostra amicizia
collaborerete, prima o poi? “C’è
questo desiderio di fare qualcosa insieme... Il problema è cosa
fare? Lo vedremo...» (repubblica.it).
Tutto un po’
più chiaro, no? Il fumettista presentava il suo ultimo lavoro:
trattandosi di una fiera dedicata al fumetto, mi pare la cosa più
normale al mondo. E si era fatto accompagnare da un amico: anche qui,
niente di strano. Ma l’amico
era anche lui un volto noto e, ancorché c’entrasse
poco coi temi cui era dedicata la fiera, è comprensibile gli si
porgesse il microfono: normale, forse, non tanto; ma comprensibile,
senz’altro.
Poi c’è
che ai volti noti si è soliti chiedere di esprimere un parere sui
temi del momento, tra i quali oggi il web è senza dubbio uno dei più
gettonati. Opinioni personali, com’è
ovvio, e spesso assai poco qualificate. Ma il vip è interessante di
per se stesso, e anche questo, dunque, è comprensibile. Un po’
meno comprensibile, forse, è che, per il solo fatto di essere
espresse da volti noti, a certe opinioni venga conferita
un’autorevolezza
che non si capisce donde possa discendere, visto che l’attore
è interpellato sul fenomeno migratorio, il cantante sul global
warming, lo chef sulla guerra dei dazi tra Usa e Cina, ecc. Ma il
mondo va così, occorre farsene una ragione.
Tutto
in regola, dunque. Sullo stesso palco del Lucca
Comics,
al posto di Manuel Agnelli, a dire che «la
nostra natura fa schifo»
e che «Internet
è una tragedia»,
potevano esserci a buon diritto – lo stesso identico diritto –
anche, chessò, Walter Veltroni, Valentina Nappi, Alex Zanardi, il
cardinal Ravasi, Nunzia De Girolamo, Claudio Cerasa e CiccioGamer89. Rettifico: CiccioGamer89 molto di più, perché il Lucca Comics è dedicato anche ai videogiochi e, in quanto
all’autorevolezza
dovuta all’essere
un volto noto, CiccioGamer89 su Facebook
ha 239.000 follower, tre o quattro volte in più di quanti ne hanno
Veltroni, Ravasi e Cerasa messi assieme. Diciamo che, in quanto ad autorevolezza e a pertinenza di contesto, con Manuel Agnelli ci siamo dovuti accontentare.
Poco male, però, perché l’opinione da lui espressa è emblematica di uno stato l’animo comune a tanti, quello della amara disillusione per una speranza tradita. Parla di Internet, ma, se ci fate caso, il modulo argomentativo è sovrapponibile a quello di chi lamenta che la democrazia è stata fatta fuori dal populismo: «Abbiamo avuto la possibilità di avere una libertà fantastica... e l’abbiamo sprecata, l’abbiamo buttata via... la gente ha dimostrato che quello spazio di libertà non lo sa usare». «Una tragedia»: potevamo star lì a chiacchierare, «io, Clinton e Putin», ma poi sono arrivati i bifolchi e – puf! – è scoppiata la bolla. Come non sentirci dentro la dolente eco di quanti ritengono che la «gente» faccia un buon uso della libertà solo quando in linea coi propri canoni etico-estetici, dimostrando di non meritarla quando non li rispetta? Direi che in buona sostanza siamo dinanzi al politico che plaude alla grande prova di democrazia data dalle elezioni che lo hanno visto vincitore, ma, quando perde, avanza qualche dubbio sul suffragio universale: non sarebbe il caso di concedere il voto solo a chi sa usarlo come si deve?
Gipi non arriva a tanto, anzi, sembra rivolgere perfino una critica a chi non sa stare al gioco democratico del confronto alla pari e sul web riproduce la «struttura feudale» del «signorotto che fa il suo tweet acuto» coi «servi della gleba che commentano e non ottengono mai una cazzo di risposta che sia una». Di più: lo fa da una posizione di relativo privilegio, perché può vantare «100.000 follower», e tuttavia risponde a tutti, sebbene i suoi pari cerchino di dissuaderlo («ma perché ti abbassi al loro livello?»). Niente, lui rimane un sincero democratico, e risponde a tutti, anche se è costretto ad ammettere che però «ci sono persone che decidono di dedicare la loro vita al peggioramento di sé», in sostanza a scendere ad un livello al quale davvero non vale la pena di scendere.
Questione di livelli, come è evidente. Ci sono quelli alti e quelli bassi, va da sé. E Internet ha il difetto di non riuscire ad evitare che possano intersecarsi. E quando si intersecano – ahilui! – il vip soffre. Verrebbe da chiedersi perché si senta costretto a tanto. In altri termini, perché sta sul web? Più brutalmente ancora: un vip che twitta, che ha una pagina su Facebook, che ha un blog aperto a commenti, ecc. – esattamente – cosa vuole? Che cerca? Cosa muove uno scrittore, un attore, un politico, un giornalista, un cantante, ad offrirsi, almeno nelle intenzioni, all’interlocuzione in rete? Ho già affrontato la questione in passato, sarò costretto a ripetermi.
Andiamo per esclusione. Un vip non dovrebbe essere affetto dalla smania che consuma il volgo nella disperata ricerca di un’occasione per affiorare con la punta del naso dall’anonimato e per dar sfogo in questo modo alle sue misere frustrazioni. Tanto meno mancano occasioni di socializzare, al vip, anzi, quasi sempre ne ha di eccezionali, quantitativamente e qualitativamente. Non twitta certo per vincere la solitudine, il vip, né sta su Facebook perché gli mancano opportunità di comunicare: a differenza di chi ha solo il web per aprir bocca, a uno scrittore, a un attore, a un politico, a un giornalista, a un cantante sono offerte di continuo mille occasioni per esprimere opinioni. Si è visto, no? Sei un rocker, coi fumetti non c’entri un cazzo, di Internet ne sai quanto chiunque, ma Lucca Comics pende lo stesso dalle tue labbra anche se non hai altro da offrire che una sgangherata geremiade.
E allora? Cos’è che spinge un vip a darsi pubblicamente, oltre che in cambio di un compenso, per le sue prestazioni professionali, anche a gratis, per il dichiarato intento di socializzare? Dalla prontezza a retwittare ogni complimento a loro indirizzato – ogni dichiarazione di stima o di simpatia, ogni dimostrazione di ammirazione o di affetto – si supporrebbe sia per vanità, ipotesi che non vacilla neppure al constatare che spesso retwittano anche gli insulti, perché si sa che i meccanismi della vanità spesso sono perversi. Ma la conferma che il vip frequenta i social per mera ingordigia di attenzioni, travestita però da quel bisogno di contatto col pubblico che fa tanto democratico e alla mano, e che perciò è un efficace strumento di autopromozione professionale, oltre che di fidelizzazione dei fan, la troviamo ovunque. E si tratta di momenti ordinari con applausi veri.
Poco male, però, perché l’opinione da lui espressa è emblematica di uno stato l’animo comune a tanti, quello della amara disillusione per una speranza tradita. Parla di Internet, ma, se ci fate caso, il modulo argomentativo è sovrapponibile a quello di chi lamenta che la democrazia è stata fatta fuori dal populismo: «Abbiamo avuto la possibilità di avere una libertà fantastica... e l’abbiamo sprecata, l’abbiamo buttata via... la gente ha dimostrato che quello spazio di libertà non lo sa usare». «Una tragedia»: potevamo star lì a chiacchierare, «io, Clinton e Putin», ma poi sono arrivati i bifolchi e – puf! – è scoppiata la bolla. Come non sentirci dentro la dolente eco di quanti ritengono che la «gente» faccia un buon uso della libertà solo quando in linea coi propri canoni etico-estetici, dimostrando di non meritarla quando non li rispetta? Direi che in buona sostanza siamo dinanzi al politico che plaude alla grande prova di democrazia data dalle elezioni che lo hanno visto vincitore, ma, quando perde, avanza qualche dubbio sul suffragio universale: non sarebbe il caso di concedere il voto solo a chi sa usarlo come si deve?
Gipi non arriva a tanto, anzi, sembra rivolgere perfino una critica a chi non sa stare al gioco democratico del confronto alla pari e sul web riproduce la «struttura feudale» del «signorotto che fa il suo tweet acuto» coi «servi della gleba che commentano e non ottengono mai una cazzo di risposta che sia una». Di più: lo fa da una posizione di relativo privilegio, perché può vantare «100.000 follower», e tuttavia risponde a tutti, sebbene i suoi pari cerchino di dissuaderlo («ma perché ti abbassi al loro livello?»). Niente, lui rimane un sincero democratico, e risponde a tutti, anche se è costretto ad ammettere che però «ci sono persone che decidono di dedicare la loro vita al peggioramento di sé», in sostanza a scendere ad un livello al quale davvero non vale la pena di scendere.
Questione di livelli, come è evidente. Ci sono quelli alti e quelli bassi, va da sé. E Internet ha il difetto di non riuscire ad evitare che possano intersecarsi. E quando si intersecano – ahilui! – il vip soffre. Verrebbe da chiedersi perché si senta costretto a tanto. In altri termini, perché sta sul web? Più brutalmente ancora: un vip che twitta, che ha una pagina su Facebook, che ha un blog aperto a commenti, ecc. – esattamente – cosa vuole? Che cerca? Cosa muove uno scrittore, un attore, un politico, un giornalista, un cantante, ad offrirsi, almeno nelle intenzioni, all’interlocuzione in rete? Ho già affrontato la questione in passato, sarò costretto a ripetermi.
Andiamo per esclusione. Un vip non dovrebbe essere affetto dalla smania che consuma il volgo nella disperata ricerca di un’occasione per affiorare con la punta del naso dall’anonimato e per dar sfogo in questo modo alle sue misere frustrazioni. Tanto meno mancano occasioni di socializzare, al vip, anzi, quasi sempre ne ha di eccezionali, quantitativamente e qualitativamente. Non twitta certo per vincere la solitudine, il vip, né sta su Facebook perché gli mancano opportunità di comunicare: a differenza di chi ha solo il web per aprir bocca, a uno scrittore, a un attore, a un politico, a un giornalista, a un cantante sono offerte di continuo mille occasioni per esprimere opinioni. Si è visto, no? Sei un rocker, coi fumetti non c’entri un cazzo, di Internet ne sai quanto chiunque, ma Lucca Comics pende lo stesso dalle tue labbra anche se non hai altro da offrire che una sgangherata geremiade.
E allora? Cos’è che spinge un vip a darsi pubblicamente, oltre che in cambio di un compenso, per le sue prestazioni professionali, anche a gratis, per il dichiarato intento di socializzare? Dalla prontezza a retwittare ogni complimento a loro indirizzato – ogni dichiarazione di stima o di simpatia, ogni dimostrazione di ammirazione o di affetto – si supporrebbe sia per vanità, ipotesi che non vacilla neppure al constatare che spesso retwittano anche gli insulti, perché si sa che i meccanismi della vanità spesso sono perversi. Ma la conferma che il vip frequenta i social per mera ingordigia di attenzioni, travestita però da quel bisogno di contatto col pubblico che fa tanto democratico e alla mano, e che perciò è un efficace strumento di autopromozione professionale, oltre che di fidelizzazione dei fan, la troviamo ovunque. E si tratta di momenti ordinari con applausi veri.
Sbagliano. facciano come la Segre, che non non ha un profilo Facebook, non ha un account Twitter, non è su Instagram, non è presente in nessun modo sul web, eppure riceve attenzioni tali da originare commissioni parlamentari. Si vuole un esempio letterario, certo consono a consumati lettori quali i fumettari, i videogiocari e i rocchettari? Si veda allora il successo con le donne del Cavaliere Inesistente, il quale, essendo inesistente, proprio non ci dava.
RispondiEliminadirei che internet ha contribuito in maniera decisiva a togliere di mezzo molte scuse. Per esempio oggi è più difficile per un individuo sostenere l'impossibilità di sviluppare talenti nascosti o soddisfare curiosità intellettuali per mancanza di occasioni o mezzi materiali. Allo stesso modo è più difficile per chiunque abbia ambizioni politiche sostenere che è tutta colpa dell'informazione ufficiale se non riesce ad attrarre un consenso proporzionato a tali ambizioni.
RispondiEliminaA me tutti questi qua tipo Gipi e Makkox mi pare siano solo dei gran cinepanettoni di sinistra, insomma, du' palle, a me mi piacciono Asterix e Pichard.
RispondiEliminaQuando ascolto una persona famosa parlare di cose che non conosce, ma sulle quali le viene chiesto un parere ( in genere da un'altra persona famosa che non ne sa nulla) mi ricordo della notevole clip interna al film Zoolander (il primo), clip nella quale Owen Wilson, nei panni del modello Hansel, dichiara " Mi piace Sting. Non ascolto la sua musica, ma il fatto che lui la faccia me lo fa rispettare...".
RispondiEliminaAllego la clip in lingua originale :
https://www.youtube.com/watch?v=wWjJVriFL_o
Stia bene, sempre prezioso passar di qua.
Ghino La Ganga
P.s. Manuel Agnelli sarebbe stato ottimo per interpretare Hansel nel film.
Mi consola scoprire che sulle pagine di Malvino si può citare Hansel del film Zoolander: la cosa mi fa sentire meno inadeguato del solito.
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