L’attesa
ha caricato di notevole tensione l’appuntamento del 26 gennaio, per
settimane e settimane praticamente non si è parlato d’altro.
Comprensibile, dunque, che l’esito della contesa abbia assunto
importanza via via crescente, forse anche più di quanto in realtà
ne avesse, e che sul risultato, che ha dato qualche grattacapo anche
ai bookmakers, fossero puntati gli occhi di tutto il Paese. Partita
quanto mai sentita, sulla quale, ora, a una settimana di distanza, si
può fare il punto con più serenità, e soprattutto con più
lucidità, di quanto è stato all’indomani, quando ogni analisi
ancora risentiva del febbricitante clima della vigilia, che ha
surriscaldato più del dovuto campo e spalti.
Questa
è l’intenzione che mi pongo, senza sottovalutare il rischio di
aspre critiche, e da entrambe le tifoserie, per quella che metto in
conto vorrà esser letta come mancanza di sensibilità calcistica,
perché suppongo abbiate capito che qui m’intratterò sulla partita
Napoli-Juventus, giocata giusto sette giorni fa. Suppongo sappiate pure come è andata: 2-1.
Il
Napoli aveva il vantaggio di giocare in casa, forte di un tifo che da
sempre in città è vissuto come fede, ultimamente tuttavia alquanto
scossa da una lunga serie di sconfitte.
I
tempi di Maradona sembravano lontani un secolo, e le speranze accese
a inizio di ogni campionato, spesso illusoriamente nutrite da un buon
esordio, anche stavolta si erano spente. Anche stavolta lo scudetto
era diventato un miraggio e, partita dopo partita, ormai si scendeva
in campo con l’apparente unico scopo di evitare figuracce. E non si
riusciva ad evitarle. Sicché lo spogliatoio ormai era un inferno. E
gli sponsor storcevano il muso. Mai così basso il numero di
abbonamenti. Mai così pochi i tifosi al seguito nelle partite in
trasferta, ridotti a uno zoccolo duro sempre più eroso da sconforto
e rabbia.
Colpa
dell’allenatore? Cambiarlo non aveva dato risultati. In ogni caso,
i giocatori apparivano demotivati. Per tacer del presidente, un
taccagno senza onore e senza sentimento.
Ma
queste son cose che probabilmente sapevate già, mi scuso col lettore
che avrò tediato con l’averle rammentate, e ancor più con quello
che, da tifoso del Napoli, potrà rimproverarmi di averle illustrate
in modo troppo grossolano, senza un grammo di empatia, trascurando il
peso che sulle deludenti prestazioni della squadra hanno di volta in
volta avuto le scorrettezze degli avversari e le ingiuste decisioni
arbitrali.
È
che il calcio, per dirla con un eufemismo, non è tra i miei
interessi principali. Né mai lo è stato. Le poche volte che ci ho
messo mano su queste pagine è per l’abuso allegorico che ne faceva
la politica, da me peraltro sempre severamente biasimato.
Concedendo
che il mio disinteresse per il calcio possa aver dato un quadro non
precisissimo delle condizioni in cui versava il Napoli, questa era la
squadra che il 26 gennaio ospitava al San Paolo la Juve, e cioè la
squadra in cima alla classifica, la squadra che nel Paese conta il
maggior numero di tifosi, fieri di dirsi «gobbi»,
la Juve cinica, cattiva e opportunista, che da un bel po’ vince e
stravince, godendo d’essere odiata da chi sconfigge, apparentemente
motivata più dallo «juvemerda» di chi la odia che dal «forzajuve»
di chi la ama.
Una
macchina da guerra contro undici depressi: quello del San Paolo era
un risultato che in tanti davano per scontato. Sbagliando. Perché le
cose sono andate come sapete: il Napoli ha vinto.
Ora,
quando la propria squadra vince, il giubilo è sacrosanto. Poi,
giacché ciascuno ha l’indole che si ritrova, è sacrosanto pure
che il giubilo si esprima come a ciascuno pare più appropriato. Il
tifo, tuttavia, eccita l’indole anche di chi solitamente è persona
mite e ragionevole. Così, in tutta la pur ampia gamma di espressioni
di giubilo cui abitualmente si abbandonano i tifosi di una squadra
che ha vinto, costante è un che di esagerato, se non di irrazionale.
Chi, come me, non ha mai fatto il tifo per una squadra può essere
tentato alla condanna di quella che spesso ha tutti i tratti della
pazzia, ma non è giusto e, seppure lo fosse, non è consigliabile.
Non è giusto, perché il tifo è questione di testa solo per il poco
che alla testa basta per dargli dignità di passione. Non è
consigliabile, perché la passione non tollera critiche, tanto meno paternali.
Non ci si azzardi, dunque, a far presente ai tifosi del Napoli che il loro giubilo è folle. Che il campionato non dà loro alcuna speranza. Che la Juve resta la Juve.
Lei ha dei brillanti colpi di genio.
RispondiEliminaPassar di qua è sempre utile.
Stia bene.
Ghino La Ganga
"c'è sempre un'altra stagione".
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