Silvio
Trentin (1885-1944) – padre di Bruno, segretario della Cgil dal
1988 al 1994 – fu docente di Diritto amministrativo presso
l’Università Ca’ Foscari di Venezia dal 1923 al 1925, anno in
cui capì che aria tirava, si ritirò dall’insegnamento e riparò
in Francia. Fece ritorno in Italia solo nel 1943, per unirsi alle
formazioni partigiane di Giustizia e Libertà operanti nel Veneto, e
morì l’anno dopo, d’infarto, dopo una breve detenzione seguita
all’arresto da parte della polizia fascista. È in Francia che nel
1929, per i tipi della Girard, esce il suo
Les transformations récents du droit public italien,
che in Italia viene pubblicato da Marsilio nel 1983 col titolo Dallo
statuto albertino al regime fascista (ignoro
se si abbia altra edizione italiana antecedente a questa).
A
pag. 371 leggiamo: «Il
fascismo – una volta consolidata la sua fortuna politica mediante
l’integrale conquista dello stato – dovette necessariamente
pensare, come ogni parvenu, a fabbricare e a fissare senza ritardo i
suoi titoli di nobiltà; a mascherare sotto le pieghe di un vestito
fastoso i segni indelebili e rivelatori della sua vera origine; a
riabilitare insomma, con l’enunciazione di una compiacente
dottrina, gli innumerevoli atti – tutti compiuti nel disprezzo di
ogni aderenza ad un principio, di ogni coerenza ad un programma, di
ogni continuità di direttive – sui quali aveva appena fondato il
regime uscito della sua miracolosa “avventura”».
Sembra
quasi di vederlo, il Mussolini, nell’atelier di Rocco e Gentile: è
in mutande e canottiera, dritto davanti allo specchio, e i due gli
danzano d’attorno prendendo le misure – collo, torace, vita,
braccio, coscia – e lui sbuffa, fa: «Sbrighiamoci!»,
e dà un’occhiataccia al manichino che sta in un angolo (com’è
che non ha testa, il manichino?), poi guarda il tavolo sul quale, in
attesa del taglio, stanno i rotoli di stoffa filosofica e di stoffa
giuridica, e risbuffa, e impreca, e poi si raccomanda che i pantaloni
non stringano troppo al cavallo, e Rocco di rimando: «Stia
tranquillo, Eccellenza, starà comodissimo!»,
e Gentile: «Eccellenza,
con la mistica fascista facciamo tre bottoni o doppiopetto?»,
e lui, brusco: «Non
ha importanza, tanto la porto sbottonata, ma sbrighiamoci, porco d’un
Giuda!»,
e ancora, ormai al limite della sopportazione: «Ma
questo guardaroba è proprio necessario?»,
e Gentile: «Ma
certo, Eccellenza, non vorrà mica incarnare il destino patrio
vestito da squadrista?»,
e Rocco: «Vedrà,
Eccellenza, sembrerà “cosa venuta da cielo in terra a miracol
mostrare”».
Facile
farsi beffe del parvenu, fin troppo facile, quasi me ne pento. È che, negli abiti di uomo di stato, chi fino a ieri è stato un criminale si
nota subito, veste male, mentre sotto lo splendido mantello firmato da un Hobbes o da un Bodin il pronipote di un altrettale fetente sembra quasi un
padreterno. Tempo fa su queste pagine scrivevo: «Quando
si riesce a mettere al sicuro le fortune accumulate sgozzando e
depredando, viene il momento di far dimenticare come si è riusciti
ad accumularle, nel tentativo di lasciar credere che siano cadute dal
cielo a premiare un eccezionale incrocio di virtù. È il momento in
cui il nomignolo del delinquente diventa nome del casato, mentre i
suoi misfatti vengono trasfigurati nei simboli del blasone, dove ben
presto diventeranno leggenda di imprese eroiche. I modi diventano
sempre più fini, il sangue diventa blu, il bottino dei saccheggi
diventa possedimento, e dove prima i nemici pendevano ai ganci di
macelleria si fa spazio alla pinacoteca, ben presto ricca di dipinti
di rara bellezza, immancabili le ninfe al bagno, le scene tratte
dalle Sacre Scritture, i ritratti del padrone di casa cui il pennello
abbia saputo dare la patina d’uomo giusto, perfino pio». Qui
aggiungerei che, anche a discendere dai più alti rami di un
nobilissimo albero genealogico scoprendo che il bisnonno di quel tal
papa squisito mecenate era né più né meno che un mafioso nella
Firenze del Dugento, si finisce sempre per chiudere un occhio,
scurdammece
’o passato,
ché, senza sbudellamenti e squartamenti, niente Michelangelo, solo
orologi a cucù. E dunque, siamo indulgenti col parvenu che abbiamo
sorpreso in sartoria: non avesse fatto la fine che ha fatto, staremmo
qui a lodarne il drop.
Nel
suo caso, Trentin dice che il taglio sartoriale era di scuola
tedesca, ma con alcune sostanziali variazioni che fecero dell’abito
una creazione del tutto originale. Rocco e Gentile, infatti,
«cercarono
in tutti i modi di trarre partito dalle dottrine che furono enunciate
in Germania durante il periodo bismarkiano da tutta una scuola di
giuristi; dottrine che, avendo il loro punto d’inizio nella
filosofia hegeliana ed essendo imbevute del principio di identità
dei contrari, erano state fatalmente indotte a riconoscere l’identità
della forza e del diritto, a definire il diritto come “la politica
della forza”»
(pagg. 378-380), e però da quel cartamodello di sovranità
eliminarono il principio di autolimitazione, secondo il quale,
«benché
lo stato rimanga sovrano, l’attività dei suoi organi non può
svilupparsi altro che secondo le prescrizioni e sotto la garanzia
delle sanzioni dettate dalla norma giuridica»
(pag. 381), e tanto si adoperarono perché l’abito fosse
esclusivamente a misura di chi doveva indossarlo che la sovranità
dello stato finì per diventare sovranità tutta personale. Sarà che
scrive nel 1929 e forse non ha letto lo Schmitt del 1922 (di fatto nell’indice dei nomi non c’è), altrimenti pure in quelle modifiche
del cartamodello avrebbe dovuto riconoscere una mano tedesca.
Qui forse è necessario, però, che io dia qualche spiegazione. Nell’ultimo post ho citato Schmitt e ho detto che il suo stato d’eccezione fonda sulla distinzione tra legittimità e legalità, che in realtà è un eufemismo in luogo del conflitto tra arbitrio e diritto, che finisce con l’attribuire al primo la piena sovranità che al secondo lascia solo in comodato; e un lettore, anonimo per giunta, ha commentato: «Ma legalità e legittimità non sono la stessa cosa?»; ed io, brusco: «No», e senza aggiungere altro, perché a doverlo fare sarei stato scortese; e allora un altro lettore, da buon samaritano, è intervenuto e ha detto: «Fino al 1946 le donne in Italia non potevano votare. Secondo me questa disposizione era legale ma non legittima»; e certo – ho risposto io – questo è «un buon esempio, ma non è tutto così semplice. [...] Cosa rendeva legittimo il voto alle donne anche prima del 1946? Qualsiasi sia la risposta, essa rimanda a un valore: e cos’è un valore, se non un particolare punto di vista?». Troppo criptico, c’era bisogno di spiegare. Per esempio, avrei potuto chiedere: fino a non molto tempo fa, un figlio nato fuori dal matrimonio veniva definito illegittimo, il valore cui rimandava il concetto di legittimità, qui, era o no un particolare punto di vista?
Poi c’è che proprio in quelle ore Andrea Pennacchi ha
twittato un adagio di Marco Aurelio («Quel
che è male per l’alveare è male per l’ape»)
che in tutta evidenza esortava a tollerare gli isterici decreti
governativi in nome del bene comune; e lì ho avuto un
fastidiosissimo giramento di coglioni, ma ho cercato lo stesso di
mantenere la calma che solitamente mi vien meno quando mi rifilano la
minestrina dell’organicismo riscaldata al fuocherello del volèmose
bbene,
e ho commentato:
«Questa è la logica sulla quale regge l’arnia, ma sia chiaro che
l’ape non agisce, è agita. E tuttavia questa logica incanta
l’apicultore, la ritiene mirabile, e questo è comprensibile per il
miele che gliene viene».
E pure questo molto molto molto chiaro non era.
Infine, capitava pure
un’altra
cosa: da tante stimabili personcine sentivo dire – testualmente, eh
– che «la
Costituzione è sospesa»,
e il tono era di chi sottintendesse «è
brutto, sì, vabbè, ma è necessario»,
mentre a sottolinearne la gravità, e anche con calore, era il Renzi
di cui su queste pagine s’è
sempre detto il peggio del peggio, senza eccezioni, e dal 2010.
Strumentale, la sua posizione? Molto probabile, e tuttavia è una
posizione che merita attenzione di là da chi la esprime, e dal
perché, per arrivare ad essere condivisa, nel caso, o rigettata. In
via preliminare, tuttavia, è da notare che essa nega la priorità
dell’interesse
che impone (imporrebbe) la sospensione della Costituzione e solleva
la questione del chi abbia il potere di affermare questa priorità,
che è chiaramente un potere che mette in discussione la legalità in
nome della legittimità.
So bene che sul punto merita attenzione
anche un’altra
posizione, quella di chi sostiene che fin qui non c’è
stata alcuna sospensione della Costituzione, perché l’art. 16
recita che «ogni
cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte
del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge
stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza».
Ho molti dubbi – e li ho già espressi – sul fatto che in questo
caso le «limitazioni»
siano
state stabilite per «legge»:
il potere legislativo è del Parlamento e fin qui esse sono venute
tutte dall’esecutivo. Vado oltre il lecito affermando che, se «la
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione»
(art. 1), mettersi sotto i piedi queste forme e questi limiti
configuri – e qui torno a Trentin – una redefinizione del
concetto di sovranità? Se il potere di decidere quando
vi siano «motivi
di sanità o di sicurezza» per
porre limiti ai diritti contemplati dalla Costituzione si trasferisce
dal legislativo all’esecutivo, che peraltro si arroga anche quello
di decidere fino a quando questi motivi sussistano, quanto
distanti siamo dalla situazione in cui «sovrano
è chi decide sullo stato di eccezione»?
Anticipo
l’obiezione:
c’è
coincidenza formale e sostanziale tra emergenza e stato di eccezione?
Mah, non saprei, vedete voi, lascio parlare Schmitt e poi mi dite.
«In
generale non si disputa intorno ad un concetto in sé, quanto meno
nella storia della sovranità: si disputa intorno al suo concreto
impiego, cioè su chi in caso di conflitto decida dove consiste
l’interesse pubblico o statale, la sicurezza e l’ordine pubblico,
le salut public e così via. Il caso d’eccezione, il caso non
descritto nell’ordinamento giuridico vigente, può al massimo
essere indicato come caso di emergenza esterna, come pericolo per
l’esistenza dello Stato o qualcosa di simile, ma non può essere
descritto con riferimento alla situazione di fatto. Solo questo caso
rende attuale la questione relativa al soggetto della sovranità, che
è poi la questione della sovranità stessa. Non si può affermare
con chiarezza incontrovertibile quando sussista un caso d’emergenza,
né si può descrivere dal punto di vista del contenuto che cosa
possa accadere quando realmente si tratta del caso estremo di
emergenza e del suo superamento. Tanto il presupposto quanto il
contenuto della competenza sono qui necessariamente illimitati. Anzi
dal punto di vista dello Stato di diritto non sussiste qui nessuna
competenza. La costituzione può al più indicare chi deve agire in
un caso siffatto. Se quest’azione non è sottoposta a nessun
controllo, se essa non è ripartita in qualche modo, secondo la
prassi della costituzione dello Stato di diritto, fra diverse istanze
che si controllano e si bilanciano a vicenda, allora diventa
automaticamente chiaro chi è il sovrano. Egli decide tanto sul fatto
se sussista il caso estremo di emergenza, quanto sul fatto di che
cosa si debba fare per superarlo. Egli sta al di fuori
dell’ordinamento giuridico normalmente vigente e tuttavia
appartiene ad esso poiché a lui tocca la competenza di decidere se
la costituzione in toto possa essere sospesa».
Non
so che impressione ne abbiate tratto voi, io ribadisco quanto ho già
detto qui e nel post precedente: Agamben ha visto giusto.
Formalmente sì, ma nella sostanza non sarebbe cambiato nulla. Le Camere riunite la notte tra il 7 e l'8 marzo avrebbero votato esattamente lo stesso provvedimento adottato dal Governo. Così come il Decreto Legge 23 febbraio 2020 è stato recepito senza modificazioni sostanziali da parte delle Camere.
RispondiEliminaSul tema più generale dello svuotamento del ruolo del Parlamento, stiamo vedendo solamente l'appendice di un processo iniziato molto tempo fa.
Comunque, poiché la differenza rispetto ai tempi di Schmitt e Trentin padre la fanno le mutate intenzioni degli uomini, il passo successivo non sarà la dittatura bensì l'anarchia, a livello di decisioni dei poteri sotto-statali e a livello di comportamenti individuali. Sperando che il virus decida di prendersi una vacanza, altrimenti non voglio immaginare cosa ci sarà dopo.
Il post di Malvino, come accade spesso, è intelligenite come pochi e gradevolissimo da leggere. Ma in questo caso mi sento di aderire di più all'obiezione del commento che precede il mio, sebbene possa darsi che esso non sia più di tanto in contraddizione col post.
RispondiEliminaAderisco, in particolare, all'obiettiva considerazione che "del ruolo del Parlamento, stiamo vedendo solamente l'appendice di un processo iniziato molto tempo fa". Molti sono gli esempi che possono essere richiamati per dimostrare ciò e che attengono proprio al criterio in base al quale possa essere individuato uno stato di emergenza/pericolo. Senza tornare agli anni '20 dello scorso secolo, basta vagliare la storia degli ultimi trent'anni. Secondo me il Parlamento italiano ha dovuto subire veri e propri affronti e umiliazioni, ad esempio, nei casi delle adesioni alle guerre d'Irak (due), di Serbia e di Afghanistan, dettate meramente dallo strapotere USA, in totale assenza di un'oggettiva emergenza per il Paese. Ritengo poi che per il Parlamento italiano le finanziarie di un solo articolo e i famosi canguri abbiano rappresentato altre evidenti umiliazioni e chiare prevaricazioni da parte del governo in carica. Non parliamo poi dei decreti legge e ministriali di Berlusconi che, in barba alle Camere, trasformarono la protezione civile in una satrapia staricca di competenze e finanziamenti quanto corrotta.
Nel caso del Covid19, invece, mi pare che siamo ancora ben lontani da qualsiasi sintomo che possa allarmare più di tanto i benemeriti cultori della democrazia parlamentare. Anzi, direi che il comportamento del governo configuri una fattispecie piuttosto ricorrente nelle emergenze storicamente trascorse, che esso abbia assunto un atteggiamento tutto sommato piurrosto ortodosso e comunque del tutto compatibile con un contesto democratico-parlamentare. Ciò al di là delle previsioni/prescrizioni che una costituzione democratica possa prevedere per i casi di "emergenza". L'accusa di moderato autoritarismo (di più sarebbe fuori luogo perché i dl, alal fine, risulteranno tutti sottoposti al vaglio del Parlamento) avrebbe senso solo dimostrando l'inesistenza di una reale emergenza, ma è ovvio che essa andrebbe seriamente dimostrata. Salvini e la Meloni hanno la piena facoltà di provarci e quando l'avranno fatto tutti noi gliene saremo grati.
Infine, per quanto tutto sia opinabile, tanto meno mi sembra che nei decreti di Conte si possa in alcun modo intravedere un intento o progetto di un qualsivoglia nuovo abito istituzionale, che miri "a fabbricare e a fissare senza ritardo i suoi titoli di nobiltà; a mascherare sotto le pieghe di un vestito fastoso i segni indelebili e rivelatori della sua vera origine, ecc., ecc., ...". Primo perché Conte non ha alcun passato di quel genere da dissimulare. Secondo perché occorrerebbero ben altri aghi, fili e stoffa per metter su un regime.
Che l'Italia sia all'anticamera del fascismo lo escluderei, ciò non toglie che Conte, in 2 mesi, un passaggio in Parlamento avrebbe potuto farlo, quanto meno per procedere all'emanazione un DL.
RispondiEliminaSe poi consideriamo che l'applicazione ed interpretazione del dpcm viene lasciata, spesso, a personale di dubbia competenza, dare una forma di legittimità costituzionale alle disposizioni restrittive non avrebbe guastato.
AG
Il primo DL sul Covid19, quello del 9/3/20, è già divenuto la Legge n. 27/2020. I DL successivi sono all'esame del Parlamento e tutti diverranno verosimilmente legge nel giro di poche settimane. Quanto a DM e DPCM, essi sono strumenti governativi ordinari (nel senso che ad essi si fa quasi quotidianamente ricorso) e di contenuto generalmente tecnico. Trattasi di provvedimenti di secondo rango, in quanto di emanazione ministeriale e interministeriale, e quindi sono atti di efficacia e grado di prevalenza inferiori alle leggi, la cui discussione e la cui approvazione infatti competono in via esclusiva al Parlamento. Nondimeno essi sono pienamente legittimi, in quanto a suo tempo legittimamente istituiti dallo stesso Parlamento.
RispondiEliminaLa legge non condiziona espressamente l'adozione di DM o DPCM al presupposto dell'urgenza (come invece accade per i DL), perché sarebbe impossibile gestire un ministero solo attraverso provvedimenti di legge. Ma la snellezza di procedura e altre evidenti ragioni rendono i DM e DPCM particolarmente utili nei casi di emergenza come l'epidemia di Covid19. Il Governo Conte ha fatto frequente utilizzo di questi strumenti in tale emergenza, ma la cosa è tutt'altro che scevra da precedenti, proprio per la natura di simili provvedimenti. Il passato ci informa di molteplici ricorsi a DM e DPCM. Ma farò un solo esempio: il 4 ottobre 2018 Conte nominò con un DPCM Marco Bucci, sindaco di destra di Genaova, Commissario per la ricostruzione del ponte sul Polcevera. Altri DM e DPCM precedettero e seguirono quel provvedimento. Ma tutto apparve ovvio, pacifico e ineccepibile, allora, e ciascuno si guardò bene dall'alzare i pianti, stridi, ed infiniti lai che invece molestano oggi le nostre orecchie.
Anche per questo l'odierna polemica sui DPCM di Conte mi sa di pretestuoso, quando non addirittura di ipocrita. Posso però anche ammetterla, ma solo ove chi la alimenta ci dimostri che il Covid19 costituisca una faccenda ordinaria e niente affatto urgente (contrariamente ai casi del ponte di Genova o delle antenne di Mediaset) e che pertanto anche delle sue virgole, secondo Costituzione, doveva occuparsi il Parlamento e solo il Parlamento. Più in generale, credo che chiunque contesti il decisionismo del Governo sul Covid19 dovrebbe prima affermare e dimostrare ciò.
evidentemente la sospensione dell'articolo 16 della costituzione per tutti i cittadini che risiedono sul territorio statale non è cosa da poco, non è il polcevera.
Eliminasappiamo che l'emergenza sanitaria ha riguardato, fortunatmente, un'area ben precisa del paese, estendere tali pesanti limitazioni dei diritti costituzionali a tutto il territorio nazionale qualche interrogativo di opportunità lo pone.
sempre nel merito dell'aspetto sanitario: vietare alle persone di uscire di casa per passeggiare in solitaria non ha nessuna correlazione coll'eventuale pericolo di diffusione dell'epidemia, tanto che paesi democratici a noi vicini, egualmente colpiti dal virus, non sono certo ricorsi a questa tipologia di intervento irragionevolmente restrittiva.
per carità di patria tralascio la palese ed imbarazzante mancanza di requisti logici minimi dei contraddittori decreti emanati in rapida successione temporale dal presidente del consiglio.
una pagina, quest'ultima, a cui personalmente non riserverei applausi ritmati
Le leggo l'art.13 della Costituzione: "La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
EliminaIo ci leggo che solo una legge, in quanto fonte primaria di diritto, può prevedere i casi specifici in cui è possibile limitare la libertà personale. Lei ritiene che un Dpcm sia fonte primaria di diritto? I giuristi - tutti - ritengono sia fonte secondaria.
Ora, attraverso una assai opinabile catena di virtù transitive, lei allega al Dpcm la ragion sufficiente per mettere limiti a qualcosa che la Costituzione dice "inviolabile". Parliamo di un atto che per sua stessa definizione nasce sottratto al vaglio parlamentare e finanche a quello del consiglio dei ministri. Io leggo cos'è una "riserva di legge assoluta" -https://it.wikipedia.org/wiki/Riserva_di_legge_(ordinamento_italiano) - e trovo il Dpcm assolutamente improprio.
@ Claudio C.
EliminaE’ appunto lei a dire che "non è il Polcevera". Magari lo fosse. Oppure intende che la necessità della circolazione stradale è più pressante della necessità di tutelare la salute da un'epidemia, e che le prime ma non le seconde ammettono provvedimenti, diciamo così, autocratici. Beh, se è così la cosa trova il mio più deciso dissenso, e spero non solo il mio. Poi c’è la questione dell’emergenza che ha interessato un'area precisa e ristretta del paese, argomento pretestuoso e capzioso. Ma il fatto che l'epidemia abbia colpito molto più gravemente il Nord, non esclude che il Centro-Sud abbia corso (e magari corra ancora) il rischio di esserlo altrettanto e che anche al Centro-Sud l’epidemia abbia comunque colpito. Ciò, unito alla progressiva constatazione (che ormai anche i matti d’ogni paese verificano) che l'unica arma di una certa efficacia contro l’epidemia è il cosiddetto lockdown, inteso in ogni senso (micro, macro, nazionale e ancor più), ha determinato le scelte del Governo. A mio parere obbligate, prima ancora che improntate ad un qualche criterio. A parte le imperfezioni (se vuole addirittura comiche, a volte, ma abbiamo i politici che ci meritiamo) che comunque non hanno compromesso l'azione nella direzione scelta.
@ Malvino.
Non so se la capisco del tutto, ma non sono cretino e quindi non penso che un DM o DPCM "sia fonte primaria di diritto". Se no di cosa e con chi stiamo discutendo? Sopra, anzi, mi pare di averli definiti “strumenti governativi ordinari (...) di contenuto generalmente tecnico (...) di secondo rango (...) di efficacia e grado di prevalenza inferiori alle leggi, ecc.". Ma non credo nemmeno lei ritenga (come potrebbe ricavare chi la leggesse superficialmente) che di fronte a un’emergenza grave, in un paese come il nostro, prima di agire, sarebbe più saggio attendere l'approvazione di una legge-legge, una di quelle coi controcavoli. Ritengo invece più verosimile che il suo auspicio si riferisca a un provvedimento con dignità di legge (magari un testo unico) che regoli tutti gli ambiti emergenziali e a cui devolvere ogni previsione in materia. Beh, se intendesse questo, osserverei che quelle leggi esistono ed evolvono da un pezzo. Si tratta appunto delle leggi che istituirono e regolarono, senza pregiudizio alcuno per la democrazia, i ministeri, le Prefetture, la PC, il CSS, ecc. e le relative prerogative e competenze, compresi i poteri di decretare e ordinare con atti tutti di rango inferiore, anzi, terra terra direi, i quali però, con buona pace di tutti noi cultori della Costituzione, rappresentano strumenti di decisione ineludibili e insostituibili in tutto il mondo civile, sia per l'amministrazione e la regolazione ordinarie della società, sia per la gestione delle emergenze. Sono una sorta di utensili della legalità. Non sempre – è vero – e non necessariamente della legittimità, ma la perfezione non è di questo mondo, né tanto meno democrazia significa perfezione.
Sottoscrivo parola per parola
Eliminanon capisco bene come le limitazioni poste dal governo sì possano ricondurre alla fattispecie del divieto di circolazione. Non è circolare che è vietato ma avere rapporti sociali. Non a caso i corrieri possono andare dove vogliono. Si sarebbe forse più vicini alla verità se sì invocasse l'articolo che stabilisce che nessuno può essere sottoposto a cure mediche contro la propria volontà. L'isolamento in fondo non è altro che una prescrizione medica forzata. Io pero' sarei propenso a credere che la costituzione non sia stata violata per il semplice fatto che il diritto ad avere rapporti sociali è stato sempre considerato tanto scontato da non aver bisogno di una particolare tutela. In un certo senso si potrebbe dire che i provvedimenti del governo possano essere stati illegittimi ma non illegali.
RispondiElimina"Se quest’azione non è sottoposta a nessun controllo, se essa non è ripartita in qualche modo, secondo la prassi della costituzione dello Stato di diritto, fra diverse istanze che si controllano e si bilanciano a vicenda, allora diventa automaticamente chiaro chi è il sovrano". Questa frase di Schmitt mi aiuta alquanto a trovare il punto: Il Parlamento italiano si riunisce e può sfiduciare Conte, ove lo ritenesse opportuno.Le regioni, ove volessero, potrebbero sollevare conflitti di attribuzione contro il governo presso la Corte costituzionale.Schmitt descrive una situazione simile allo stato di emergenza attualmente in vigore in Ungheria. Là il Parlamento è sciolto fino alla fine dell'emergenza : sarà il governo a decidere quando questa finirà.https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/03/31/ungheria-orban-coronavirus-pieni-poteri
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