Dal
ribaltamento sintattico dei luoghi comuni (per esempio, «l’uomo è
il miglior amico del cane») e dalla conversione lessicale di uno o
più elementi che in essi sono inclusi (per esempio, «il pesce puzza
dalla coda»), per conseguente e pressoché costante effetto ironico,
iperbolico o paradossale, si ricavano spesso delle inaspettate e
sorprendenti perle di saggezza che d’improvviso illuminano aspetti
del reale che la frase fatta – motto, sentenza, ma anche semplice
espressione idiomatica – sembra allora come aver voluto fin lì
occultare sotto la rassicurante coltre di ovvio che le conferiva
autorità di proverbio o di massima. È per questo che, anche quando
non è intenzionale, il risultato di queste operazioni assume spesso
un tratto dissacrante, talvolta perfino eversivo, comunque di sfida,
così com’è con quelle che sono di comune impiego nell’enigmistica
(anagramma, bisenso, scarto, cambio, zeppa, metatesi, ecc.). Altre
volte, tuttavia, rovesciare il concetto espresso da un luogo comune
mette in discussione solo il fondo di realtà di cui ogni luogo
comune, anche il più abusato, è comunque depositario: è il caso in
cui il gioco verbale sembra essere solo fine a se stesso, rinunciando
in apparenza ad altro che non sia il suo effetto di sorpresa, non di
rado mancandolo pure, per darsi solo in mero suono, quasi sempre a
riprodurre inciampo o bisticcio.
[...]
Ma, oltre a Oscar Wilde, a chi stai pensando?
RispondiEliminaA Wilde no, a Twitter.
RispondiEliminaE il Rohmer delle Commedie e proverbi?
RispondiElimina(denis)