Non
vorrei sbagliare, può darsi ch’io ricordi male, ma questa dovrebb’essere la
prima volta che per il suo messaggio di fine anno un Presidente della
Repubblica adotta una soluzione formale suggestiva come quella della rubrica
della posta che ieri sera apriva, dopo un breve cappello introduttivo, il testo
letto da Napolitano agli italiani: solo Scalfaro, nel 1997, abbozzò qualcosa
del genere, ma si tenne sulle generali, accennando solo alle questioni che gli
erano poste da chi gli scriveva, mentre stavolta, invece, insieme a qualche
cenno biografico, di «Franco, da Vigevano», di «Serena, da un piccolo centro
del catanese», di «Veronica, da Empoli», c’era il milieu, con tanto di guillemets. Ammesso che quelle lettere siano state scritte da persone
realmente esistenti – e in questo caso occorrerebbe spendere due paroline sul
malvezzo di ometterne i cognomi, neanche si trattasse della Posta del Cuore
tenuta da Donna Letizia – occorre riconoscere che si è trattato di un ottimo espediente
retorico, perché ha la resa dell’interlocuzione con persone reali piuttosto che
con un astratto campione di categorie
sociali, producendo un effetto di notevole tensione empatica, perché una
cosa è rivolgersi agli «italiani», come facevano Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat
e Leone, un’altra è dire «cari concittadini», com’era solito fare Pertini, ma un’altra
ancora – e tutt’altra cosa – è rivolgersi a «Vincenzo, che mi scrive da un
piccolo centro industriale delle Marche», o a «Daniela, dalla provincia di
Como».
Ammesso
che quelle lettere siano state scritte da persone realmente esistenti, necessariamente
devono aver superato la stessa selezione che premia quelle che arrivano ad
essere pubblicate su un giornale: nella forma e nella sostanza, anche quando in
apparenza sembrerebbero dover imbarazzare o addirittura irritare il
destinatario, devono tornare utili allo scopo, che è quello di costruire un
interlocutore virtuale di comodo, e tuttavia dotato di quel tanto da non essere
del tutto assimilabile alla logica che informa il testo che funge da risposta. In
pratica, la «forte denuncia della condizione degli “esodati” mi è stata
indirizzata da Marco, della provincia di Torino, che mi chiede di citare nel
messaggio di questa sera la gravità di tale questione, in quanto comune a tanti»,
serve solo a poter aggiungere «lo faccio», costruendo una relazione analoga a
quella che c’è tra il dj e il pubblico che segue la sua trasmissione, quando sul
piatto gira il disco di cui un radioascoltatore ha fatto richiesta al telefono,
in diretta: si tratta di una relazione che presuppone un filtro unidirezionale,
attraverso il quale passa solo quanto serve a costruire un interlocutore che
corrisponda alla proiezione desiderata.
Bene, le lettere di cui Napolitano s’è
servito per il testo del suo messaggio di fine anno – non ha molta importanza,
ripeto, se le abbia davvero ricevute o se le sia inventate – costruiscono un
interlocutore che corrisponde esattamente all’italiano che è chiamato a
guardare al nuovo anno «con serenità e con coraggio»: intendo dire che tale
disposizione d’animo, per chi si trovi in condizioni analoghe a quelle
descritte nelle lettere di cui Napolitano ci ha esposto il contenuto, è possibile
solo ad avere una particolare postura etico-estetica dinanzi a gravi
difficoltà. E per non farla troppo lunga direi non sia difficile individuarla
in un modello di cittadino che non esiste più, se mai è esistito anche fuori
dalle pagine dell’Almanacco del Pci. Parlo dell’operaio, dell’impiegato, dello
studente, che il Pci aveva irreggimentato in un esercito composto e dignitoso,
mai stanco di sacrifici: l’eroica classe dei lavoratori, tanto più degna di
andare al governo, quanto più in grado di assumersi la responsabilità in nome
di tutto il paese, rinunciando a velleitarismi, a massimalismi e soprattutto a
lacerazioni dell’unità nazionale. È da almeno vent’anni che non esiste più, questo
popolo, ma vive ancora nel Wille e nella Vorstellung di un vecchio comunista e
gli dice che «di sacrifici ne ho fatti molti, e sono disposto a farne ancora»,
che ha fatto «giuramento di
pagare le tasse sempre e comunque» anche se non è lavoratore dipendente ed è di fronte al dilemma «se pagare
alcune tasse o comprare il minimo per la sopravvivenza dei miei due figli», che
nonostante tutto si dice «fiero del mio paese». Qui non si osa mettere in
discussione che questo popolo possa anche esistere, ci si chiede solo quanto
sia rappresentativo di un’Italia che per un terzo si astiene, vota scheda bianca o
nulla e per un altro terzo vota Berlusconi o Grillo. Si tratterà, per caso, della base del cosiddetto
«partito del Presidente»?
Il messaggio
di fine anno dal Quirinale in fondo non è che un genere letterario, dunque
credo che il modo più appropriato di commentare quello di ieri sera sia
l’analisi formale del testo, che aveva la misura delle 15.430 battute (spazi
inclusi), divise in sette sezioni: (a) un breve cappello introduttivo (0-735); (b)
il capitolo delle «lettere indirizzatemi ancora di recente», di cui abbiamo fin
qui parlato (736-5.010); (c) «il coraggio degli italiani», una sorta di
manifesto che intenderebbe dare legittimità di guida del paese al
«partito del Presidente»
(5.011-6.950);
(d) una sezione dedicata a governo, parlamento, opposizioni (6.951-10.417), dove a ciascuno è assegnata una parte in commedia, e guai a non interpretarla a dovere, sennò si è per lo sfascio del paese; (e)
una miscellanea di temi vari
(10.418-12.531), di quelli che non possono mancare, sicché basta un richiamo di cortesia;
(f) un’autodifesa
(12.532-14.969)
che ha eluso tutti gli addebiti con un «conosco i limiti dei
miei poteri» (giocoforza esigeva un po’ di faccia tosta, e non è mancata); e (g)
un brevissimo commiato
(14.970-15.430), quasi a tagliar corto dopo aver detto il necessario, cioè che Napolitano non si sente re, ma papa.
Sebbene non abbia ascoltato il discorso, né abbia intenzione di leggerne il testo, mi pare che le osservazioni qui sopra siano le uniche utili. Un oggetto come il discorso di capodanno va analizzato in reverse engineering, ossia ricostruendone la gestazione in modo da risalire alle motivazioni. In altri termini, mettendosi dal punto di vista di chi gliel'ha scritto, per capirne gli scopi. Scopi che si confermano di pura facciata: autodifesa, autopromozione e, possibilmente, primi colpi di scalpello per un Monumento allo Statista del Secolo XXI. Che uno come lui, rimasto coniglio bianco in campo bianco per 80 anni, possa montarsi la testa e montare il suo personaggio in vista dei 90, non è ridicolo in sé, perché ce n'è tanti di vecchi infatuati: è tragico, perché significa che il brodo di coltura è adatto.
RispondiEliminaAlla fine mi piacerebbe che quelle lettere fossero vere, sarà perchè sto diventando vecchio anche io, o lo sono già?
RispondiEliminaHa dimenticato di dire che un altro terzo degli italiani (oltre a quelli si sono astenuti, hanno votato scheda bianca, oppure Berlusconi o Grillo) ha votato Bersani. Cosa renderebbe questo e i suoi "compagni" migliore degli altri tanto da farne una categoria a parte? A me sembra essere tutta una stessa spazzatura.
RispondiEliminaAlvino
A parte quelli che non hanno fatto una scelta, oserei dire che tra Grillo e Berlusconi meglio Bersani. Purtroppo ha un grave difetto anche lui, non è un maledetto parolaio, e per questo ha quasi vinto alle ultime elezioni.
Eliminama papa papa, o papa emerito? [redsmaug]
Eliminaforse volevi dire "non vinto", Gianni.
EliminaCome preferisci.
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