«Soudainement, tout cet amour se tourna en haine,
un mot d’ordre
infernal circula: “Tuons-le!
C’est le bon tyran, le plus exécrable de tous,
puisqu’il
ne nous laisse pas même le droit à la révolte”»
Alphonse
Daudet, Port-Tarascon (1890)
Quello
che rovina la ricorrenza del 25 aprile a logora pantomima di una
guerra civile, come ne fosse la lunga e necessaria coda perché i
vincitori non hanno vinto appieno e i vinti non hanno perso del
tutto, è la retorica della narrazione epica. Accade, così, che ogni
anno si riaprano sempre le stesse polemiche, come ferite mai guarite, e in realtà si
tratta di mestruazioni artificiose, indotte dall’estroprogestinico
della storia come eterno ritorno, e allora eccoci tutti, o quasi
tutti, a ridiscutere se
l’Italia
sia stata liberata più dai partigiani che dagli Alleati, se la lotta
di liberazione abbia avuto pagine di infamia, se si possa fare della
data un momento di unità nazionale equiparando le ragioni dei vinti
a quelle dei vincitori e perfino se non fosse meglio che l’uscita
dal Ventennio fascista avesse transizione meno traumatica. Il fatto
è, mi pare, che il 25 aprile non si può più né idealizzare né
revisionare più di quanto sia già stato fatto, sicché ogni
polemica si è ridotta a mera ombra di una guerra civile tra chi è
stato antifascista fin dal 1922 e chi rimasto fascista anche dopo il
1945, mentre sullo sfondo brulica la massa che fu fascista solo dal
1922 al 1945, e della quale non si è estinto il patrimonio genetico
di vile conformismo e cinico opportunismo. Questa massa non riuscirà
mai a elaborare il fascismo come colpa, né l’antifascismo
come riscatto, ma pretenderà di poter rivendicare a pieno titolo il
diritto di dare il suo consenso, sempre, a chi è tanto forte da poterlo
pretendere: si tratta del paese che riesce a concepire la propria libertà solo in
questo cortocircuito della responsabilità, come qualcosa che gli spetti a gratis. L’opposto
di come la Germania vive il suo passato nazista, che dunque può dire
definitivamente archiviato. A noi italiani non è dato: chi non
riesce ad ammettere di aver sbagliato può solo proiettare il proprio
sbaglio.
Pur approvando la parte dedicata all'Italia, non sono d'accordo su quanto Lei afferma in conclusione a proposito della Germania, paese in cui vivo, che mi piace, di cui conosco storia e cultura. Il passato nazisza e non solo non e' per niente archiviato e certi riflessi condizionati permangono ad goni livello: non mi riferisco ai quattro fanatici con le teste rasate e el svastiche sulla t-shirt, ma il discorso e' difficile da sviluppare nelle poche righe di un comento.
RispondiEliminaCordiali saluti
Massimo
ho un po' di colleghe tedesche. Una è addirittura dotata di senso dell'umorismo, e parecchio. Una volta, in risposta a una sua battuta sugli italiani, mi sono permesso di farne una sul nazismo, non ricordo esattamente quale, ma il senso era 'lo siate un po' tutti insomma'. Mi fulminò con lo sguardo, e seriamente mi riprese dicendo che la ferita è aperta, ancora dopo ottant'anni si stanno chiedendo come cazzo è stato possibile che avessero seguito tutti un assassino facendosi così poche domande.
EliminaLa cosa che mi ha fatto specie è che in Italia dare a qualcuno del 'fascista' può pure passare per un complimento. Lì no, e me ne sono accorto quando i giornali tedeschi commentarono il 'kapò' di Berlusconi. Nessuno ha riso, in Germania.
@ Massimo / @ Stefano
EliminaForse sono stato infelice nella scelta di "archiviato", sarebbe stato meglio dire che in Germania il passato non è rimesso ogni volta in discussione, ma è che con quanto seguiva - la contrapposizione con l'Italia, che non sa assumersi la colpa del fascismo - pensavo di essere stato chiaro. In buona sostanza quanto dite conferma quel che sostengo: i tedeschi sanno assumersi la colpa del nazismo, anche oggi che la loro stragrande maggioranza è nata dopo il 1945. Beh, mi pare che questo ne faccia un popolo, mentre noi restiamo plebe.
concordo. Tra l'altro la mia collega è una ex-hippie, quanto più ideologicamente lontano dal nazismo ci possa essere. Eppure le bruciava.
EliminaGià.
RispondiEliminaStia bene.
Ghino La Ganga
Mah...
RispondiEliminaIl discorso sulla Liberazione
dovrebbe avere come centro la domanda:
"Dopo una Liberazione si è liberi.
Gli italiani sono liberi ?"
La risposta è NO.
Quindi non c'è stata alcuna Liberazione.
O NOOO ??
Se ci fosse stata una Liberazione
RispondiEliminadovreste essere liberi.
Ma voi non siete liberi
ergo
la Liberazione non c'è stata.
ma la colpa non è della ricorrenza stessa, con la quale si vuole capovolgere una sconfitta in una vittoria?
RispondiEliminaSoprattutto perchè per tanto tempo utilizzata da una certa parte politica?
Insomma non è anche un po' colpa dei comunisti e derivati?
Sul logorio dovuto all'abuso si può pure essere d'accordo. Un po' meno invece sulla questione vittoria-sconfitta. Gli italiani di sconfitte ne hanno subite molte e di tanti tipi, dal '22 in poi. E, anche formalmente, quella più grossa è datata 8 settembre 1943. Il 25 aprile è stata una sconfitta solo per chi stava ancora coi tedeschi e la RSI. Ma più che vittoria è giusto chiamarla liberazione, no?
RispondiEliminaGentile Dottor Castaldi,
RispondiEliminaancora non sono convinto nemmeno dopo la sua risposta. Purtroppo lo spazio dei commenti non mi permette di spiegare in maniera chiara e articolata la mia opinione (e sottolineo: opinione). Se Lei permette (e se trovo il tempo di farlo) lo vorrei chiarire in una e-mail.
Qui, però, Le faccio due esempi abbastanza evidenti della diffusa ambiguità dell´opinione pubblica tedesca, vecchi e giovani, classe dirigente, intellettulai e casalinghe di Wuppertal, nei confronti del nazismo, ma anche di altre pagine della loro storia, diciamo degli ultimi 100 anni.
1. Caso "Mein Kampf": il libraccio di Hitler é "Verboten" in Germania e solo in tempi recentissimi si sono aperte le porte per una pubblicazione commentata ancora da venire. Come a dire che i tedeschi (ai quali la democrazia, almeno nell´ovest, è stata imposta dagli anglo-americani, in larga parte) non sono ancora ritenuti del tutto maturi per leggere quello che è, a parte la follia del contenuto, a tutti lgi effetti un documento storico che fa parte della memoria collettiva loro e di noi europei.
2. "Jud Süß", film del 1940, anche questo vietato di fatto. Io l´ho visto scaricandolo da youtube (e con i sottotitoli in italiano...). Il bello è che nel 2010 alla Berlinale è stato presentato un film ("Jud Suß, Film ohne Gewissen", film senza coscienza) che ha provocato molte critiche e polemiche al suo apparire: è la storia, un po´ romanzata ma sostanzialmente veritaria, di come questo film è nato per volere di Göbbels e con la complicità di tutto l´establishement cinematografico tedesco (e austriaco), perlomeno di quanti erano rimasti in Germania senza scegliere la via dell´esilio. Quindi si è arrivati al paradosso che al pubblico del 2010 è stato mostrato un film che parla di un altro, del 1940, che loro non possono vedere, perchè ritenuti o immaturi o impressionabili.
Tutto qui.
Scusi la sommarietà del mio intervento, che non riesce a completare il mio pensiero su una questione estremamente complessa..
Cordiali saluti dalla Germania
Massimo
PS: nel film del 2010 si ricorda che, alla presentazione del filmaccio "Jud Suß" a Venezia, un giovane e proemettente critico italiano, tal Michelangelo Antonioni, lodo con entusiasmo la pellicola...
Leggerò con piacere la sua e-mail, anche se dovesse solo ribadire quanto qui, peraltro, mi sembra già abbastanza chiaro, per dare spazio ad altri argomenti. Il fatto è che almeno quelli qui esposti diano più conferma che smentita a quanto sostengo, forse - ahimè - con infelice esito. Io affermo che il popolo tedesco continua ad avere vivo - fino a dover ricorrere ai più imbarazzanti espedienti per rimuoverlo - il senso di colpa per ciò che è stato il nazismo, e al punto da temere che qualche spora possa esserne residuata nelle pieghe della sua anima, sicché possa bastare poco a schiuderla. Tutto il contrario di noi italiani, non le pare? Ed è qui la differenza, no? Ripeto: "Questa massa non riuscirà mai a elaborare il fascismo come colpa, né l’antifascismo come riscatto, ma pretenderà di poter rivendicare a pieno titolo il diritto di dare il suo consenso, sempre, a chi è tanto forte da poterlo pretendere: si tratta del paese che riesce a concepire la propria libertà solo in questo cortocircuito della responsabilità, come qualcosa che gli spetti a gratis". Diametralmente all'opposto dei tedeschi, che della lezione ancora portano i segni. Chi crede che sia meglio vaccinato contro le tentazioni di marca autoritaria?
EliminaP.S.: Si può lodare una pellicola di Leni Riefenstahl anche avendo un sincero animo democratico. E poi, la prego, giù le mani da Antonioni, che adoro.
...Spiancente, se sul discorso lato-Italia mi trova d'accordo dissento invece sul lato Germania... ha mai letto Anschluss di Vladimiro Giacchè? Se non si tratta di nazismo in salsa neocapitalista non vedo che altro possa esserlo. Il resto sono solo, ancora una volta, travestimenti di Stato per fare i propri porci comodi dietro il paravento del "Macome è potuto succedere?" Non sono mai cambiati, proprio come noi.
EliminaStia bene.
Sulla questione tedesca.
RispondiEliminaDa anni, in Germania, libri, tv e cinema non sembrano affatto restii nell'affrontare il nazismo, come qualche commentatore più su accennava. Anzi, si riesce pure a essere ironici, come nel caso di
"Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler", una pellicola del 2007 col grande e compianto Ulrich Muhe. Il fatto, invece, che un film come "La caduta" non abbia un omologo italiano incentrato sulla figura di Mussolini, a mio avviso, deve far riflettere. Quando uscì, gran parte della critica tedesca lo lodò - e ugualmente fece il pubblico nelle sale cinematografiche - perché forniva un Hitler quasi destabilizzante: un uomo sì iroso, sì minato nel fisico, ma nient'affatto squilibrato: uno che alla sua "causa" ci ha creduto lucidamente fino alla fine. Alla Faccia, in senso postivo. Due anni fa, poi, uscì una fiction della ZDF (emittente pubblica), "Unsere Mütter, unsere Väter", trasmessa in Italia nel 2014 in due puntate, col titolo di Generation War; la guerra, qui, veniva narrata dal punto di vista di alcuni giovani tedeschi, nello specifico un gruppo di amici - tra i quali un ragazzo ebreo - di entrambi i sessi. Anche qui, il tema della colpa, come ha potuto notare chi ha visto questa fiction fatta per altro benissimo, viene affrontato senza remore d'alcun tipo e senza negare la crudeltà di ciò che fu il nazismo applicato. Tale sceneggiato fu accusato di rivisitazione storica, di minimizzazione della colpa - sotto alcuni aspetti non senza ragioni, in effetti - ma è normale che questo accada quando si ha il coraggio (anche se non è la parola adatta) di affrontare questa tematica da una angolatura differente, perché ciò dimostra una metabolizzazione non avvenuta solamente sulla mera stigmatizzazione ma proprio sulla comprensione delle cause che scatenarono il mostro. Infine, il mercato librario tedesco attuale è inondato di libri che riguardano la guerra in Ucraina, con particolare attenzione ai battaglioni di volontari che si dichiarano neonazisti - e lo sono anche nella simbologia - e quelli nazionalisti, che osannano figure collaborazioniste quali Stepan Bandera. Insomma, via, non vedo tutta questa pudicizia nella visitazione di tale argomento, in Germania.
La serie di cui Lei parla, al di là della qualità tecnico-artistica, era molto autoconsolatoria e tendeva verso il "eh, ma non eravamo tutti cattivi; eh, ma erano cattivi anche gli altri" (nel caso in questione, partigiani polacchi ,per esempio). E, giustamente, dalla Polonia vennero forti critiche. "Mein Führer" non passò del tutto inosservato, sollevò molte polemiche sempre in base al principio "Su queste cose non si scherza". Senza dimenticare che il regista, oltre a essere ebreo, era anche svizzero, non tedesco.
EliminaSe poi parliamo di "Der Untergang", vero che ne esce un Hitler "umanizzato", come è giusto che sia, ma anche alcuni "bonzi" nazisti ne escono un po´ ripuliti, penso a quel grande opportunista che fu Speer. Non è giusto affermare che in Italia non siano stati fatti film simili: già "Mussolini ultimo atto" di Lizzani, anni 70 mi pare, potrebbe essere paragonato a "Der Untergang". E vogliamo dimenticare "Vincere" di Bellocchio, che a me non è particolarmente piaciuto, ma affronta non pochi aspetti della personalità del Mussolini pre-fascista e, poi, Duce.
Sulla question Ucraina non sarei così ottimista sull´atteggiamento di opinione pubblica e media in Germania.
Saluti
Massimo
Sulla fiction: si riferisce allo strisciante antisemitismo dei partigiani polacchi? Se sì, non è affatto una forzatura storica. Sui forti pregiudizi polacchi nei confronti degli ebrei concordano perfino gli storici. E si figuri che perfino nel '46 ci fu un pogrom a Kielce in cui furono trucidati degli ebrei.
RispondiEliminaSu "Mein Fuher...": lei scrive che "non passò del tutto inosservato... ". La sua è una critica rispetto a ciò che ho scritto o altro? Se lo è, dov'è che ha letto il contrario? Stessa cosa dicasi per la questione ucraina: dove ha letto che sono "ottimista"?