1. L’anno
scorso, in Italia, il virus influenzale ha fatto 198 morti, ma i casi
gravi sono stati 809, 601 dei quali sono finiti intubati. E tuttavia
è stata un’ottima
annata, perché il numero dei morti è stato assai inferiore alla
media, che tra il 2007 e il 2017 si è attestata intorno ai 460 morti
all’anno,
con due picchi nel 2015 (675) e nel 2017 (663). Questi, però, sono
numeri dell’Istituto
Nazionale di Statistica (Istat), che l’Istituto
Superiore di Sanità (Iss) ritiene ingannevoli, perché non includono
i morti per complicanze polmonari e cardiovascolari causate
dall’infezione
da virus influenzale, che porterebbero il totale di decessi «diretti»
e «indiretti» a una media annuale di circa 8.000 morti.
Quanta
copertura mediatica è stata fin qui assicurata al virus che
puntualmente, ogni anno, tra dicembre e marzo, fa un numero di morti
che è diciotto volte maggiore di quello che abbiamo avuto per
attentati e stragi lungo tutto l’arco
nei
cosiddetti «anni di piombo» (1969-1984), undici volte maggiore di
quello dei morti sul lavoro nel solo 2018, sei volte maggiore di
quello dei morti per incidenti stradali nel solo 2019 e più del
doppio di quello che si ebbe col crollo delle Twin Towers? Se mi si fa passare l’eufemismo,
direi non troppa.
Sarà perché a morire d’influenza
sono soprattutto soggetti molto anziani e già affetti da gravi
patologie? Tenderei a escluderlo, perché i morti sono morti, come
tante persone perbene hanno ultimamente tenuto a precisare,
reduarguendo chi si azzardava a dire che quella da Covid-19 è
un’infezione
«appena un po’
più grave di un’influenza»,
e come un’influenza
ammazza soprattutto «vecchi e malati»: santo redarguire, perché la
vita è sacra, sempre, da neonato e da ultraottantenne (a voler tener
da parte chi si allarga sostenendo che lo sia anche da embrione), ed
è da bestia far differenza se la si perde perché crivellati dai
colpi di una Skorpion brigatista o dilaniati da una bomba
neofascista, se per terremoto o tsunami, se da carabiniere ucciso da
rapinatore o da rapinatore ucciso da carabiniere. E allora perché su
8.000 vite che il virus influenzale ci strappa ogni anno non si è
mai vista una Maratona Mentana o una puntata monotematica di Piazza
Pulita?
Sarà perché, a parità di soggetti infettati, ne muoiono
più per Covid-19 che per virus influenzale? Se è così, tutto
torna, perché pare che l’indice
di letalità sia tra lo 0,1 e lo 0,2% per il virus influenzale, ma
del 3,4% per il Covid-19. E dico «pare», perché in realtà, anche
qui, i numeri potrebbero essere ingannevoli: sicuro come la morte, il
numero dei morti; non altrettanto quello degli infetti. Quel 3,4%,
infatti, è rapportato ai casi in cui c’è
inoppugnabile certezza di infezione da Covid-19 per la positività di
un test di laboratorio, mentre quello 0,1-0,2% lo è in relazione a
diagnosi cliniche, basate per lo più sui sintomi.
Insomma, quando
dico che l’anno
scorso, in Italia, abbiamo avuto 8.104.000 casi di sindrome
influenzale che hanno fatto circa 8.000 morti, faccio un’affermazione
sostanzialmente assai diversa rispetto a quando dico che a tutt’oggi
abbiamo 197 morti su 4.636 affetti da Covid-19, perché in realtà
non so nulla di quanti essi siano in realtà: sono 4.636 su 23.345
tamponi effettuati, ma potrebbero essere molti di più sugli oltre 60
milioni di italiani, visto che una considerevole percentuale di
soggetti infetti è (o è stato) asintomatico o paucisintomatico,
guarito spontaneamente come è accertato accada in un gran numero di
pazienti affetti da Covid-19, o destinato a guarire spontaneamente
senza aver mai saputo di aver avuto a che fare con un coronavirus
potenzialmente micidiale. Che su 1.000 affetti da Covid-19 ne muoiano
34, dunque, non c’è
alcuna certezza: non possono essere di più, ma potrebbero essere
molti di meno, e questo anche a fronte di un potenziale di
trasmissibilità dell’infezione,
quello che gli epidemiologi indicano con la sigla R0, e che per il
Covid-19 è uguale a 2, mentre per il virus influenzale è inferiore.
Di certo c’è
solo che a tutt’oggi
– cito dal sito dell’Iss,
consultato alle 21.49 del 6.3.2020 – «i morti da Covid-19 sono
197», che «l’età
media dei pazienti deceduti è 81 anni, in maggioranza uomini e in
più di due terzi dei casi affetti da tre o più patologie
preesistenti»
e che «per tutte le fasce d’età
il tasso di letalità da Covid-19 è inferiore a quello registrato in
Cina».
Tutto ciò premesso, riproporrei la domanda: perché il
Covid-19 sta godendo di una copertura mediatica tanto spropositata
rispetto ai suoi numeri? Anzi, la riformulerei in altro modo: data
una media di 8.000 morti da influenza e complicanze correlate per
ogni arco di tempo compreso tra un 1° dicembre e un 31 marzo (121
giorni), si immagini un tg delle 20.00 di un giorno della prima
settimana di marzo del 2019 che apra strillando «oggi abbiamo avuto
altri 66 morti da influenza» (8.000 diviso 121 fa appunto 66, e
dunque la cosa ci sta tutta); sarebbe informazione o che altro?
Qui
mi fermo. Al prossimo post un tentativo di risposta.
Ospedalizzazione più alta? I posti in Terapia Intensiva sono quelli che sono.
RispondiEliminagrazie per il post che risponde alle mie domande su twitter.
RispondiEliminasi sbrighi a scrivere l'altro perché io che ho 49 anni, vivo a roma, cardiopatico con pregresso infarto, non ho ancora capito se devo fare finta di niente e vivere normalmente o chiudermi in casa o, essendo chiusa lourdes, andare in ginocchio al divino amore o venire a napoli a baciare il sangue del santo in occasione della prossima sciolta.
"Stiamo assistendo a un fenomeno epocale, la fuoriuscita di un virus pandemico dal suo habitat silvestre e la sua diffusione globale che diventa un’onda inarrestabile, invade le nostre vite, le nostre case e i nostri affetti. È questo il Cigno nero che scuoterà violentemente il sistema? Lo vedremo"
RispondiEliminaIlaria Capua, corriere di oggi
Fantastico! Ci stiamo facendo la stessa domanda da giorni con mia moglie, ma non avendo strumenti o informazioni adeguate e non essendo appassionati di dietrologia, non riusciamo a capire cosa muova l'informazione. Attendiamo con ansia il prossimo post. A proposito mi sono trasferito da qualche mese da Singapore a Dubai e in questo momento non ho la possibilita' neanche di andare a trovare mia madre ultraottantenne in Italia o i miei figli in altre parti d'Europa, sarei immediatamente posto in quarantena al mio ritorno. Grazie come sempre, Saluti Muzio
RispondiEliminaC'entra quell'espressione spesso sulla bocca di molti, ma che non tutti comprendono: crescita esponenziale. Si può anche supporre che la mortalità sia inferiore al 3,4%, anzi, sicuramente lo è (molto probabilmente tra 0.5% e 1%, ma non è del tutto escluso che sia ancora inferiore): il dato certo è che i morti stanno crescendo esponenzialmente, così come i casi in terapia intensiva. Questo non dipende dal tasso di mortalità e resta ad oggi un solido dato numerico. Il tempo di raddoppio è compreso tra 2.5 e 3 giorni.
RispondiEliminaPrendiamo il caso più ottimistico, cioè 3 giorni. Supponiamo che ad un mese dalla scoperta del focolaio ci siano stati 1.000 morti (cifra che più o meno sarà verosimilmente raggiunta tra una settimana). In quanto tempo ce ne saranno altri mille, essendoci voluto un mese per arrivarci? Tre giorni. E dopo altri tre giorni quanti saranno i morti? Altri duemila, portando il totale a 4.000. Quindi, dopo un mese più dodici giorni? Saremo arrivati a 16.000. Doppiata l'influenza(*) in meno di un mese e mezzo. All'incirca quanti saranno transitati (avrebbero dovuto transitare) per la terapia intensiva? 80.000 (ottantamila). E qui vediamo che il gioco si rompe, almeno stando a quanto mi è stato raccontato di recente: non abbiamo 80.000 letti di ICU da distribuire per la durata di un mese e mezzo. Quindi i morti sarebbero molti di più, causati da persone che non potranno essere curate, pur avendo qualche chance di guarigione altrimenti.
Ovviamente, la crescita esponenziale non può durare in eterno. Ci può essere una curva di flessione dovuta agli immunizzati, alla finitezza della popolazione totale, o quella indotta dalle misure di contenimento.
(*) L'altra domanda che mi pongo è la seguente: le morti che oggi vengono attribuite al Covid-19 assomigliano più alle morti dirette dell'influenza, qualche centinaio all'anno, o a quelle indirette, 8.000 all'anno? O si pongono a metà strada? Per quanto io ne possa capire, la maggior parte assomigliano più a quelle che nel caso dell'influenza sarebbero censite come dovute ad influenza come causa diretta di morte.
Osservazioni sensate, le sue, caro De Gregorio. Il problema è che l'indice di letalità è calcolato sulla base dei positivi al test, che, pur essendo stato effettuato in un numero di casi che per la sola Italia è superiore a quello dei tamponi in tutta la Ue, non tiene conto degli infetti, ma asintomatici e paucisintomatici. In teoria, potrebbe essere meno letale dell'influenza. Ripeto: in teoria. D'altronde è teorica anche la progressione che lei prospetta, e sulla cui base fondano le misure prese dal governo. In ogni caso, mi auguro sarà d'accordo nel giudicare nefasta la linea adottata nella comunicazione del problema, soprattutto tra il 22 e il 29 febbraio: è lì che sono stati piantati i semi del panico che oggi infuria. Prenda Burioni: da un rischio minore a quello di beccarci un meteorite al vero e proprio terrorismo. Peraltro da un virologo, figura che sta solo di lato all'epidemiologo.
EliminaSulla domanda che chiude il suo commento, la rimando al dato dell'Iss: «l’età media dei pazienti deceduti è 81 anni, in maggioranza uomini e in più di due terzi dei casi affetti da tre o più patologie preesistenti»; dai 75 anni in su sono più del 90%.
Io mi occupo di numeri ed è un po' complicato spiegare perché è inverosimile che la letalità sia persino pari o inferiore a quella dell'influenza, anche se io per primo ho ammesso che il 4% non è realistico ed è certamente sensibilmente inferiore. Il dato attuale rilevante è la crescita esponenziale sia dei pazienti ricoverati, sia di quelli in terapia intensiva, sia dei morti: non mi sto quindi basando sui contagi, non conoscendone il reale numero. Nessuno dei tre mostra flessione. Ha ragione che è teoria, e che questa flessione prima o poi ci sarà. Ma quando? E grazie a quale fattore?
RispondiEliminaNel frattempo le linee guida etiche hanno già suggerito ai medici di operare scelte che tengano conto dell'aspettativa di vita. Con l'influenza capita mai? Intendo, di non mandare in terapia intensiva un ottantacinquenne che ne avrebbe bisogno solo perché ha 85 anni? Chiedo, eh.
Tornando alla domanda finale: quale è secondo l'Iss l'età media e profilo dei pazienti morti per influenza come causa diretta? Non sarà mica all'incirca la stessa di quella che riporta? Io ho inteso che causa indiretta è, per esempio, una polmonite batterica successiva all'infezione virale (è solo un esempio). Nel caso fosse la polmonite virale a causare il decesso, allora l'influenza sarebbe conteggiata come causa diretta. Non ci troviamo più spesso, qui oggi, in questo secondo caso?
Dopo 20 gg. dalla conclamazione siamo a poco più di 600 ricoverati attuali, non tutti gravi, gli stabilizzati ora la regione Lombardia li vuole dimettere. Il picco di decessi di ieri andrebbe valutato caso per caso, e senza clamori fomentatori di panico come fa certa stampa che grida: + 57 %. attendiamo i dati dei prossimi due-tre gg. e vedremo meglio qual è l'incidenza. se la letalità dovesse risultare del 2-3% in persone prevalentemente anziane e con patologie pregresse, vorrà dire che questa influenza è meno letale della SARS del 2009.
EliminaIl problema etico di chi favorire in caso di mancanza di mezzi e/o tempo si pone al chirurgo che sia chiamato a far fronte a due "codici rossi" e può operarne solo uno alla volta. La scelta è sempre drammatica, ovviamente, ma ritengo che "solo perché ha 85 anni" sia locuzione ingannevole: ha 85 anni e l'altro "codice rosso" ne ha 25, a parità di urgenza si opera per primo chi ha più aspettative di vita.
EliminaPer quanto complesso, sarei davvero interessato a capire perché il dato, che teoricamente è possibile, in realtà non possa esserlo. Lo dico sinceramente, perché potrebbe farmi rivedere certe ipotesi.
In quanto alla questione morte diretta/indiretta, che senza dubbio è interessante sul piano clinico, direi abbia importanza del tutto secondaria quando si tratta dei grandi numeri. E mi spiego con un esempio, per evitare di essere frainteso. Qui (http://old.iss.it/emol/index.php?lang=1&tipo=17) si legge: "In Italia circa 500.000 pazienti su 9.300.000 di ricoverati l’anno sono affetti da un'infezione contratta in ospedale. Vale a dire che una percentuale compresa tra il 5 e il 17% dei pazienti ospedalizzati si ammala ogni anno di un’infezione e il 3% ne muore. Polmoniti, setticemie e infezioni da catetere, le più diffuse". Di fronte a un numero di morti che così oscilla tra i 15.000 e i 48.000 ogni anno, cosa cambia? E cautelativamente cosa facciamo, chiudiamo gli ospedali?
Intanto chiedo scusa perché il mio precedente voleva essere una risposta alla sua precedente risposta. Spero questa volta di non sbagliarmi.
Elimina@ Olympe
Poniamola così: i modelli statistici consentono di confrontare quanto coerenti sono tra loro le crescite esponenziali delle varie categorie di soggetti (morti, terapia intensiva, ricoverati, positivi al test). Dal grado di non coerenza si riesce a fare una stima, per carità grossolana, del numero effettivo di contagiati (soggetti realmente positivi), e quello che viene fuori è da quattro ad otto volte quello ufficiale (soggetti testati e risultati positivi).
In due giorni consecutivi c'è stato prima un decremento di crescita e poi un'impennata dei morti, ma presi congiuntamente confermano il trend esponenziale dei giorni precedenti.
@ Malvino
Per quel che ho capito, la direttiva non dice di scegliere tra due casi (semplificando), ma di lasciare preventivamente liberi letti di terapia intensiva, anche se non occupati, in presenza di un caso critico con bassa aspettativa di vita residua e/o patologie pregresse. In altre parole si sta operando nella previsione di crescita degli accessi tale che quei posti, oggi ancora liberi, potrebbero servire, tra due, tre o quattro giorni a persone con outcome previsto più favorevole, ma non ancora gravemente malate.
Così mi riallaccio alla seconda parte: comprendo perfettamente le osservazioni totalmente razionali. Ma qui la novità sarebbe trovarsi di fronte a centinaia, forse migliaia di casi che potrebbero non ricevere le cure adeguate a causa dell'insufficienza strutturale ad accoglierle. Si tratterebbe comunque di una novità, almeno come fenomeno così concentrato in poco tempo, perché una cosa è l'idea di rischiare di uscire deceduti da un ospedale perché qualcosa è andato storto nel tentativo di essere curati, altra è (almeno psicologicamente) uscirne allo stesso modo perché non si è nemmeno tentato di essere curati.
L'Istituto Superiore della Sanità dice che l'anno scorso abbiamo avuto 8.000 morti per l'influenza, e non è volata una mosca. Non è dato sapere quanti di essi, prima di morire, siano passati per un reparto di terapia intensiva, né quanti siano stati intubati, nel sacrosanto imperativo di non lasciar nulla di intentato. Morti perché infettati da chissà quale untore, liberissimo di muoversi sull'intero territorio nazionale. Morti nel silenzio, senza godere del partecipe cordoglio della nazione tutta, la quale anzi continuava a tossire e starnutire in faccia alla nonnina, che di rimando, come s'usa, diceva: "Salute!". Qui siamo al 9 marzo e i morti sono meno di 400.
EliminaSarà... Questo probabilmente è un neoassunto che non si ricorda del lavoro dell'anno scorso: https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_07/coronavirus-stiamo-creando-terapie-intensive-anche-corridoi-cb01190a-60be-11ea-8d61-438e0a276fc4.shtml?refresh_ce-cp&fbclid=IwAR3TKWq0vEhilblxPRIE0oPkklP8wyoNZ-3dFUSlWOGcmVyazIwJhY0ASCo
EliminaMirko
Sta per uscire il bollettino odierno. Nella sola Lombardia è prevedibile, all'incirca, l'aggiunta di un'ottantina di nuovi morti. Il totale sull'Italia dovrebbe superare i 500 in totale. Ho ascoltato una testimonianza di chi lavora in altro ospedale sostenere che al Niguarda non intubano più sopra i 60 anni di età (notizia che andrebbe verificata, ovviamente). Per un totale reale di contagiati che potrebbe contare al massimo un cinquantamila soggetti all'incorca, toh, facciamo anche centomila, su sessanta milioni di residenti.
Eliminai dati ufficiali della P.C.:
Eliminahttps://diciottobrumaio.blogspot.com/2020/03/i-dati-della-protezione-civile-e-le.html
Malvino, provo ad avanzare un ragionamento per assurdo basato sui numeri e la statistica, che per quanto rozzo dovrebbe rendere l’idea. Osservazione: l’andamento continua a mostrarsi esponenziale, senza flessioni. Supponiamo, quindi, che la mortalità sia dell’1 per mille, ipotesi che falsificheremo. Ci limitiamo ai soli casi della Lombardia. Supponiamo, altresì, che il tempo dal contagio alla morte, passando per comparsa dei sintomi ed aggravamento, sia rispettivamente almeno di 12,5 giorni e di 10 giorni. Ipotizziamo, dai dati che si osservano, un tempo di raddoppio di 2,5 giorni. Osserviamo infine che, se una frazione finita della popolazione è già stata contagiata, allora l’andamento esponenziale deve subire una flessione osservabile (basti immaginare, a titolo di esempio, che il 10% della popolazione immune equivarrebbe grossomodo ad una riduzione apparente di R_0 a circa il 90% del suo valore vero, con conseguente flessione della pendenza esponenziale, fino al raggiungimento di una curva logistica).
EliminaIl giorno 25/02/2020 in Lombardia emergevano 6 casi di morte. Nelle due ipotesi di tempo intercorso dal contagio, vuole dire rispettivamente che 12,5 giorni prima, oppure 10 giorni prima, i contagiati lombardi erano all’incirca almeno 6.000, per ipotesi di mortalità all’1 per mille. Alla data stessa della prima rilevazione, quindi, il 25/02, i contagiati (causa crescita esponenziale) dovevano già essere diventati, rispettivamente, 96.000 oppure 192.000.
Dal giorno 25/02 a questa mattina dobbiamo contare altri 5 raddoppi. Quindi, nelle due ipotesi, rispettivamente, i contagiati reali della Lombardia dovrebbero essere:
192.000 x 32 = 6.144.000;
96.000 x 32 = 3.072.000.
Sono numeri entrambi drammaticamente incompatibili con la crescita esponenziale ancora osservata, poiché è impensabile continuare ad osservare una crescita esponenziale intonsa, come da fasi iniziali, senza variazioni di pendenza, quando più della metà, o più di un quarto della popolazione è già immune. Si falsifica, a spanne, l’ipotesi di un per mille di mortalità.
Semplificando, scegliamoci un tempo tipico che intercorre tra contagio e morte del paziente. Lei cosa dice? Io sento dire che è ben superiore alle mie due ipotesi di 10 o 12,5 giorni, almeno circa due settimane invece. I morti lombardi di oggi sono grosso modo i nuovi contagiati di un paio di settimane fa, all’incirca il 23/02 o 24/02 Rimanendo nella sua ipotesi di un per mille, vuole dire che in quell’epoca avevamo circa almeno 80.000 contagiati reali (essendo 80 i morti di oggi in Lombardia). Tuttavia di positivi ancora il 25/02 se ne contavano sul campo 216, con un fattore moltiplicativo di quasi 400 tra reali e “scoperti”. Oggi che ne contiamo 5.500, con criteri di ricerca simili, concluderemmo che ci sono 10.000.000 di contagiati, tutta la Lombardia. E perché continuano ad ammalarsi gravemente sempre in più?
Possiamo allentare le nostre ipotesi: allungare un po’ il tempo di raddoppio ed ipotizzare una letalità più “fulminante”. Arriveremmo comunque ad una stima sulle centinaia di migliaia di già immuni, che dovrebbe vedersi in una precisa flessione della crescita esponenziale, che non si osserva.
Rimando, per un discorso più tecnico, a questo post, dove con argomenti matematici e statistici si stima intorno ai 43.000 il numero reale dei contagiati in Italia (ma il doppio sarebbe anch’esso verosimile, a mio parere):
https://www.facebook.com/groups/812159452609316/permalink/814056145752980/
i ragionamenti di De Gregorio mi paiono statisticamente corretti. In tempi di dati manipolati, o semplicemente di dati usati da insipienti, lo considero un grande complimento.
RispondiEliminaio penso che ci siano momenti e situazioni in cui nessuno capisce cosa sta succedendo e cosa fare. Purtroppo, però, moltissimi credono di sapere di chi è la colpa.
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