5. È
estremamente impegnativo assumere, con Guy Debord, che lo spettacolo
«è
il momento storico che ci contiene» (La
Société du Spettacle,
11) come «visione
del mondo che si è oggettivata» (ibidem,
5), perché questo implica che l’evento non ci si offre, ma ci
prende, e non in senso figurato, come quando diciamo che quel tal
romanzo ci cattura, ci avvince, ma in senso letterale: l’evento ci
fa suo, ci include, ci assorbe, come spaccato di un «rapporto
sociale fra individui mediato dalle immagini»
(ibidem,
4).
Estremamente impegnativo, questo assunto, perché la
sempre maggiore difficoltà che si ha nel distinguire una fiction
da un reality,
un catastrophic
movie
da un articolo de The
Economist,
non può lasciarci indifferenti, ma ci obbliga a una scelta analoga a
quella che Morpheus offre a Neo (Matrix,
1999), e Marx al lettore de Die
deutsche Ideologie (I,
I, 1): mandar giù la pillola blu dello «jetzig
Zustand» o
quella rossa della «wirkliche
Bewegung»?
In altri termini: sentirci liberi e responsabili fruitori dello
spettacolo che sembra scorrerci davanti o spalancare gli occhi sulla
terribile realtà che ci rivela il farne parte (appartenergli)?
Tanto
più terribile, questa realtà, se poi, con Richard Dawkins,
assumiamo che il «meme»
che ce la rappresenta (ce ne dà informazione), «proprio
come un virus può parassitare il meccanismo genetico di una cellula
ospite»,
è quello che ci ha «letteralmente
parassitato»,
trasformandoci in «un
veicolo per la
[sua] propagazione»
(The
Selfish Gene,
XI).
C’è chi ha descritto in modo assai brillante il modo in cui
l’informazione prende forma di epidemia e, in un mondo
globalizzato, di pandemia, coniando pure il termine che ne sottolinea
la stretta analogia: «infodemia».
Si tratta di David Rothkopf, che in un suo saggio breve (When
the Buzz Bites Back –
The
Washington Post,
11.5.2003) scrive: «A
few facts, mixed with fear, speculation and rumor, amplified and
relayed swiftly worldwide by modern information technologies, have
affected national and international economies, politics and even
security in ways that are utterly disproportionate with the root
realities». Anche in quel caso l’«infodemia»
aveva per oggetto un’epidemia
(Sars), anche in quel caso a sostenerla era un virus (Sars-coV),
anche in quel caso l’«infodemia»
correva il rischio di far danni «far
greater than the disease itself».
«Over
the past two years –
scriveva David Rothkopf – information
epidemics have left many airlines and the global tourism industry in
intensive care. But their future effects may be greater still.
Unchecked, they could usher in a period of profound new forms of
economic inefficiency, opportunities for the irresponsible and for
demagogues to practice new forms of social disruption or
manipulation, and a set of serious new problems for policymakers
dealing with challenges from public health to international affairs».
Diciassette anni dopo, sembra una profezia o il plot
di un fumetto distopico?
Vediamo più in dettaglio: «These
Internet- or media-borne viruses create global panics, trigger
irrational behavior, blur our vision of important underlying
problems, strain our infrastructure, buffet markets and undermine
governments».
Direi dia un quadro abbastanza fedele dello spettacolo che non ci è
stato offerto ma ci ha preso (una «visione
del mondo che si è oggettivata»,
come si è detto).
Ma in cosa consiste? «It
is a complex phenomenon caused by the interaction of mainstream
media, specialist media and internet sites; and “informal” media,
which is to say wireless phones, text messaging, pagers, faxes and
e-mail, all transmitting some combination of fact, rumor,
interpretation and propaganda. It can be rendered more difficult to
understand by multiple languages, cultures and attitudes toward the
free and open flow of information. It involves consumers of
information ranging from officials to private citizens who have
varying abilities to see the whole information picture, varying
degrees of sophistication about what to do with the information they
have, little opportunity to authenticate data before acting on it,
and little if any training in understanding or controlling the
rapidly changing information picture».
Cosa ne consegue? «The
result is distortion, confusion and a sometimes profound incongruity
between the underlying facts and their implications. For example,
without minimizing the potential danger posed by Sars, it is worth
remembering that the number of deaths from the disease worldwide is
still a tiny fraction of, say, the number of Americans who choke to
death each year on small objects, which is estimated at 4,700. Yet,
fear of the disease has devastated Asian economies».
Diciassette anni dopo, ci risiamo, ma stavolta la «devastation»
si annuncia assai più ampia. E tuttavia farlo presente sembra voler
«minimize
the potential danger posed»
dal Sars-coV-2: opporsi all’«infodemia»
sembra voler favorire la pandemia. In altri termini, chi contesta lo
spettacolo corre il rischio di beccarsi una querela dal Patto
trasversale per la scienza,
una scienza che, dopo aver smarrito le virtù di umiltà e prudenza,
esibisce i muscoli da bouncer
sulla soglia della realtà-spettacolo, dove va in scena la stucchevole retorica che si
compiace di mettere l’Adagio
di Samuel Barber come sottofondo al servizio che au
ralenti mostra
una colonna di camion carichi di bare, e sul quale poi Myrta Merlino
spalmerà tutto il suo sentimentalismo.
Gentilissimo Castaldi, sa quanto la stimo. L'altro giorno sospettava che io avessi sbagliato post dove commentare. Questa volta vado oltre: scelgo questo solo ed esclusivamente perché ultimo in ordine temporale. Ha a che fare con la sua premessa del tutto, quindi penso sia rilevante anche qui, anzi qui più che in ogni post precedente.
RispondiEliminaIo sono sicuro che lei convenga visceralmente che grandezze omogenee vadano confrontate con grandezze omogenee. L'Istat estrapola la mortalità dell'influenza a grandi linee al seguente modo: nei mesi in cui circola, misura l'anomalia nei decessi. Tutto lì, finito lì. 8000 l’anno in media.
Pretendo, ora a dinnanzi, che lo stesso criterio venga e sia un futuro usato per stabilire il tasso di mortalità del Covod-19, e che lei ora qui lo riconosca.
Nel grafico al link che qui voglio segnalare c’è l'anomalia bergamasca nei decessi. Tutti, tutti, secondo la sua stessa definizione, attribuibili a nient'altro che al Covid-19.
Vede, di anno in anno, la mortalità bergamacsa? Quegli spuntoni in piccolo, a ciclo circa periodico, sono le anomalie annuali che l'Istat attribuisce d'imperio all'influenza stagionale. Sulla destra, quello spillo magro e lungo, quelli che tra uno o due anni l'Istat si vedrà costretto ad attribuire e ceritifcare da attribuire al Covid-19.
https://public.tableau.com/profile/isaia.invernizzi?fbclid=IwAR1Cdi4Ahb9_sqOB5XdUW25eXPPrHxLw6vllTfeJ_xwLD_wZGEGRWyMRHoA#!/vizhome/LandamentodeidecessinellacittdiBergamo/Dashboard1
Gentilissimo De Gregorio, non alcuna difficoltà nel riconoscere l'anomalia bergamasca e nell'attribuirla al Covid-19. Temo, però, che lei commetta l'errore di dare alla mia "premessa del tutto" un significato che non ho inteso darle e che onestamente non mi pare sia giusto che altri le diano. Fin dal titolo scelto per la serie, è evidente l'intenzione che avevano questi post: analizzare il modo in cui il Covid-19 ci era "comunicato", e a quale ragione rispondesse questo modo; cosa comportassero le misure messe in atto per fronteggiare l'epidemia, se fossero adeguate e quali conseguenze comportassero; se e quanto quel che vediamo precipitare di giorno in giorno sia dovuto solo al Sars-coV-2 o ai tanti aiutini che gli sono stati dati, e proprio nel tentativo di frenarlo, ricorrendo al panico, all'informazione sovraccarica di emotività. Spiace leggere nel suo commento una larvata imputazione di negazionismo, mi auguro non vada a denunciarmi a quel Comité de Salut Public che risponde al nome di Patto Trasversale per la Scienza.
EliminaNon le farei mai. Al più potrei aver letto con limitata attenzione, anche perché ho tante cose da fare tutte insieme, o sono forse emotivamente coinvolto. O forse, ancora, leggendo i commenti, temo che alcuni suoi lettori colgano un messaggio differente da quello che lei qui precisa. Con immutat stima.
EliminaGiusto una considerazione. Non credo che l'argomentazione in stile "e allora le foibe?", che anche Rothkopf sembra accennare (quando parla dei morti per soffocamento da piccoli oggetti) sia utile nel dibattito o possa contribuire a razionalizzare il tutto. Il COVID-19 picchia duro e picchia tante persone, e questa è la ragione essenziale per cui ha riempito le nostre vite. Fosse stata un'epidemia con diffusione limitata, o qualcosa che interessava solo altri paesi, non ce ne sarebbe fregato nulla.
RispondiEliminaLei proprio non riesce a vedere errori nella gestione dell'epidemia sul piano sanitario e su quello della comunicazione? Sono errori che l'hanno amplificata, nella percezione e nei fatti. Il tragicomico è che quella italiana sembra la ricetta ideale, e gli altri paesi che ne sono colpiti ci vengono dietro, passando dal burioniano "c'è maggior rischio di essere colpiti da un meteorite" al buroniano paragonare il Covid-19 alla peste. Picchia duro, questo virus, ma quante persone finirà per picchiare non lo sappiano ancora. Sappiamo che finora ha picchiato soprattutto il Nord Italia, in tre o quattro aree soprattutto, anche lì passando dall'andare subito al pronto soccorso, che è stato un formidabile amplificatore del contagio, al "non venite, non venite, restate a casa", col rischio di sottostimare il numero dei morti a casa, e comunque di sovrastimarne la percentuale se rapportata a quella dei solo positivi al tampone, che fa sottostimare il numero totale dei contagiati asintomatici. E intanto isteria in diretta h24, divulgatori del pochissimo che a tutt'oggi si sa del Sars-coV-2, tuttavia divulgato indulgendo al sensazionalismo. E poi i profittatori, i pornografi del dolore, il sentimentalismo sadico... Trattato allo stesso modo, anche il raffreddore sarebbe riuscito a fare 3-400 morti.
EliminaChiarisco meglio il senso del mio commento. Su quello che scrive sono perfettamente d'accordo, il mio appunto è che dire "anche la malattia x, y, z,... fa N, 2N, 1/2N morti" non sia una strategia comunicativa utile. Perché non fa percepire alle persone che si tratta di una problematica nuova che richiede precauzioni nuove. E passare dall'"andiamo tutti a sciare" al panico, è un attimo. Senza contare che tutto questo calcolo dello 0.5, 1, 2, 5% mi sembra per certi aspetti una gara a chi ce l'ha più lungo, che infatti vede lanciati professionisti di ogni disciplina, al grido di "guarda quanto è bello il mio modello".
RispondiEliminaCredo che la strategia comunicativa migliore finora sia stata quella tedesca. Test a manetta, competenza e chiarezza. E soprattutto, si percepisce la presenza dello Stato. Le misure straordinarie sono prese, ma nessuno pensa di essere in mezzo al cataclisma oppure che la democrazia sia sotto attacco, come invece è possibile pensare da noi.
Sono d'accordo, ma i tedeschi sono tedeschi e gli italiani - purtroppo - sono italiani. E in questo genere di cose - purtroppo - è lecito generalizzare.
EliminaAlmeno a livello nazionale, il parallelo con l'influenza stagionale, a mio modesto parere, è traballante: questo virus parrebbe innanzitutto molto più contagioso, oltre e prim'ancora che più letale; inoltre nei casi seri, una frazione rilevante del totale, sembrerebbe richiedere un'assistenza medica complessa; la sensazione che ne derivo è che, non giocando altre carte, siamo di fronte ad un fenomeno che potrebbe mettere in ginocchio qualunque sistema sanitario nazionale.
RispondiEliminaNon sono sicuro se lei, Malvino, sostenga o abbia sostenuto l'idea di continuare ad andare lavorare; tale idea (che peraltro è collassata istantaneamente in stupida nel momento esatto in cui è stata fatta propria da Renzi), anche se sollevata sulla scorta di preoccupazioni serie, quali l'altrimenti si muore di fame, calata in questo scenario a me fa pensare alla scena delle corazze Farina; in ogni caso, sembrerebbe essere stata la prima opzione dei grandi maestri del business as usual; non toccherà aspettare molto per capire quanto sia stata opportuna (è uno dei pochi vantaggi della crescita esponenziale: i nodi vengono al pettine abbastanza velocemente, esempio).
In ogni caso, almeno limitatamente al fronte interno, l'idea che siamo oggettivamente in un quadro di emergenza non mi pare isterica o allucinatoria. Dopo di che, può essere che ci si sia complicati la vita per via del fatto di aver reagito in maniera poco lucida e poco competente. En passant, nel caso sia così, non so se abbia senso sorprendersene: il processo di selezione delle persone che prendono le decisioni che riguardano la cosa pubblica (quella che un tempo si chiamava classe dirigente) è ormai sempre più simile ad un'estrazione casuale; e tale processo si autosostiene. Ma la mia sensazione è che, dato il primo focolaio, ce la saremmo vista brutta comunque. È, poi, vero che moltissime cose attendono ancora una spiegazione — una delle quali sono i nostri numeri, al momento ancora piuttosto singolari — ma se si vuol sostenere che siamo andati a finire nelle sabbie mobili proprio perchè abbiamo immaginato di esserci già finiti, quindi tentato maldestramente di uscirne (una sorta di profezia che si autoavvera), allora servirebbe qualche argomentazione più robusta della sproporzione di attenzione mediatica.
Sui media, onestamente non mi è chiaro cosa si voglia sostenere. Mettiamo da parte il fatto che siamo nell'era della percezione: pensare che la condizione naturale dell'industria dell'informazione sia quella di concedere pari attenzione a problemi che, nella forma e nelle dimensioni, possano ragionevolmente essere considerati simili è, nella migliore delle ipotesi, ingenua; per quale motivo dovrebbe essere così? "deontologia"? "metodo scientifico"?; ma soprattutto, anche ammesso che la pietra di paragone scelta da Malvino per l'attuale caso sia adeguata, non abbiamo già un considerevole numero di precedenti che attestano l'esito opposto?