4. Poco
meno di 5.000 morti, al momento. Poco più della metà di quanti
l’anno
scorso morirono d’influenza.
In cosa è lecito, e in cosa no, comparare, di là dai numeri, i
morti dell’anno
scorso a quelli di quest’anno,
data l’evidente
differenza del modo in cui ce ne fu data notizia allora e ce n’è
data oggi?
In entrambi i casi, c’è
di mezzo un virus. In entrambi i casi, è controverso in che misura
il virus sia assassino di suo e in che misura sia favorito da
vecchiaia e altre malattie, sta di fatto che in entrambi i casi la
percentuale di morti giovani e senza altre malattie è estremamente
basso (sui poco meno di 5.000 di quest’anno
il report dell’Iss
del 20 marzo ne dà solo 6: almeno in questo – solo in questo, se
si vuole – l’influenza
dello scorso anno ha fatto molto
peggio). Questione estremamente interessante, dunque, questa del
«per»
e del «con»,
ma
i morti sono morti, sia che per il 2019 si debba andare a cercarne il
numero sul sito dell’Iss,
sia che per il 2020 ci venga risparmiata la fatica con un martellante
aggiornamento minuto per minuto, agonia e cremazione in diretta. Di
sicuro c’è
che, a voler morire col conforto della generale partecipazione
emotiva, non conveniva farlo l’anno
scorso: rimandare d’una
dozzina di mesi avrebbe assicurato cordoglio istituzionale, milioni e
milioni di prefiche a gratis, funerali in diretta e, soprattutto, il
palpito di Lili Gruber.
Ma oltre a questa differenza, che tuttavia
non è da poco, ce ne sono altre, e sono tante. Del virus influenzale
– l’anno
scorso erano due, l’A(H1N1)pdm09
e l’A(H3N2)
– sappiamo un sacco di cose, mentre del Sars-coV-2 (Covid-19 è
l’affezione che induce)
sappiamo com’è fatto
(struttura, componenti, sequenza genomica), ma troppo poco ancora
relativamente a ciò che, cedendo all’antico
e irrinunciabile vizio
di antropomorfizzare tutto, troviamo giusto chiamare carattere,
comportamento, tattica, ecc.
Un’altra
differenza, e bella grossa, è che per il virus influenzale abbiamo
un vaccino, mentre per questo coronavirus no. A tal riguardo, chi
storce il muso a sentire la Capua o la Gismondo correlare il Covid-19
all’influenza
dovrebbe chiedersi quanti morti farebbe ogni anno il virus
influenzale, se con una copertura vaccinale del 57% ne fa 8.000.
Niente, è domanda che pare non abbia alcuna ragion d’essere.
L’impressione
è che avere a disposizione un vaccino anti-influenzale, che peraltro
pochi sanno non rende immuni al 100%, autorizzi a considerare gli
8.000 morti come problema senza soluzione, la cui causa del decesso,
dunque, sarebbe da accettare come «normale»
causa di morte, routine del morire che non ha niente di particolare
per meritarsi un riflettore. In fondo accade pure per i morti sul
lavoro, che nel 2018 sono stati 1.218 (limitandoci ai casi
ufficialmente dichiarati tali), ma di certo non hanno avuto il quarto
d’attenzione
che i media hanno finora dedicato ai morti «per»
e/o «con»
Covid-19: morti che diremmo «strutturali»,
data l’almeno
apparente intangibilità della «struttura»,
e che in fondo hanno avuto buon gusto e discrezione di non affollare
un mese solo e una sola regione, morivano con la «normalità»
con cui si muore in una guerra a bassa intensità.
Basterebbero
questi elementi a motivare (e diciamo pure giustificare) la
spettacolarizzazione dell’epidemia
in corso, ma, senza comprendere quale funzione abbia – in generale
e nello specifico – lo spettacolo che ce la rappresenta, siamo
ancora lontani dal capire perché, e come, il sasso, rotolando, possa
diventare valanga, travolgendo tutto e tutti, al punto dal non poter
neppure immaginare che dietro la tragedia ci sia un ordito. Sarebbe
stato necessario un piano sofisticatissimo, bastava una comparsa
fuori posto e addio valanga. Perché è chiaro – e nessuno può
negarlo – che da una valanga siamo travolti. Resta solo da capire
se si sia lasciato rotolare il sasso nel modo in cui è rotolato per
ignavia o in obbedienza alla logica che mette l’emergenza
al servizio dello spettacolo, che – è il caso di precisarlo
subito, e dando la parola a Guy Debord, la guida che ci accompagnerà
in questo paragrafo – «non
è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone,
mediato dalle immagini»,
e che «non
può essere compreso come l’abuso
di un mondo visivo, il prodotto delle tecniche di diffusione massiva
di immagini [ma]
piuttosto
[come] una
Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta [e
insomma] di
una visione del mondo che si è oggettivata». In tal senso, è del tutto secondario cosa lo spettacolo metta in
scena, perché l’interesse
che lo sostiene risponde ad un’economia
(in senso lato) che ha immutabile ratio intrinseca, in guerra e in
pace, quando il re della finanza è l’orso
e quando è il toro, quando torna conveniente l’accumulo
e quando la redistribuzione.
Se il lettore è disposto a rinunciare
al pregiudizio che nello spettacolo vede solo intrattenimento
ricreativo, per coglierlo come ri-creazione della realtà,
vedrà che siamo nello stesso girone in cui tempo fa, su queste
pagine, abbiamo trovato il terrorismo. Lì la guida era Brian
Jenkins, unanimamente considerato massimo esperto del problema, e
anche lui, come farà Guy Debord, ci chiedeva l’enorme
sforzo di mettere da parte le passioni, dicendoci che «terrorism
is theater»
e che «terrorists
want a lot of people watching, not a lot of people dead»,
sicché le passioni finiscono non solo per celare la natura del
problema, ma per esserne parte, e decisiva, se non determinante: qui,
nel caso del sasso, con quel che sta tra abbrivio e valanga.
Ci
chiede troppo, Guy Debord, quando ci invita a considerare che,
«nell’insieme
delle sue forme particolari, informazione o propaganda, pubblicità o
consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo costituisce il
modello presente della vita socialmente dominante»
e che «non
è niente altro che il senso della pratica totale di una formazione
economico-sociale, del suo impiego del tempo»
al punto da poterlo definire come «il
momento storico che ci contiene»?
Suona un po’
apodittico, è vero, sarà il caso di chiarire. Lo faccio fare a
Mario Perniola, che in due testi (Contro
la comunicazione,
Einaudi 2004; Miracoli
e traumi della comunicazione,
Einaudi 2009) ha descritto in modo magistrale le ragioni che fanno
dello spettacolo, e della comunicazione massmediatica che ne è il
«theater»,
realtà tanto pervasive da riuscire a sostituirsi, dopo averla
distorta e annullata, a quella dei fatti che si è presa cura di
rappresentarci. Citare i passaggi salienti dei due testi imporrebbe
un larghissimo uso del virgolettato, mi limiterò a una sintesi.
Mario Perniola dice che solo in tempi assai recenti l’umanità
s’è
posta la domanda sul senso di ciò che viveva individualmente e
collettivamente: la risposta era data in partenza dalla condizione
sociale, dal sapere tramandato e dai rituali. Il relativo benessere
che ha segnato gli ultimi due secoli e lo sviluppo delle scienze
sociali hanno consentito, per certi versi imposto, che la domanda
fosse formulata e che la risposta, esatta o no, fosse il progresso:
si era al mondo per progredire, il motore della storia era razionale
e progressivo, ogni regressione era solo episodica, se non apparente.
Via via che ci si allontanava dalla seconda guerra mondiale, che col
suo esito ha segnato il trionfo di questa concezione, essa ha cominciato ad
andare in crisi: «traumi»
e «miracoli»
hanno messo in discussione la linearità del processo storico con la
loro inspiegabilità e la loro imprevedibilità (il maggio francese
del 1968, la rivoluzione iraniana del 1979, la caduta del muro di
Berlino del 1989, l’attentato alle Twin Towers del 2001). Stupore,
eccitazione, sconcerto: stati d’animo che hanno cercato, e trovato
nei media, la soluzione formale della risposta nella postura dello
spettatore che si misura con la suspense e il colpo di scena, il deus
ex machina e l’happy end, il flash back e il déjà vu. In altri
termini, la comunicazione ha dato vita a un simulacro di
partecipazione all’evento che, da un lato, consente di sentirsi
immersi in esso solo a patto di restarne fuori e, dall’altro,
impone che esso si esaurisca nella sua rappresentazione: siamo
l’evento in quanto platea rappresentata in scena. Perciò non ha
nulla di contraddittorio o di paradossale affermare, come fa Mario
Perniola, che «la
comunicazione aspira ad essere contemporaneamente una cosa, il suo
contrario e tutto ciò che sta in mezzo tra i due opposti. È quindi
totalitaria in una misura molto maggiore del totalitarismo politico
tradizionale, perché comprende anche e soprattutto
l’antitotalitarismo. È globale nel senso che include anche ciò
che nega la globalità».
Nel passare a Guy Debord, comunque, è importante chiarire che
«comunicazione»
e «spettacolo»
non
sono coincidenti, perché l’una è forma e l’altro è contenuto,
come ci illustra il § 24 de La
Société du Spectacle:
«Se
lo spettacolo, esaminato sotto l’aspetto ristretto dei “mezzi di
comunicazione di massa”, che sono la sua manifestazione
superficiale più soggiogante, può sembrare invadere la società
come una semplice strumentazione, questa non è concretamente nulla
di neutro, ma la strumentazione stessa è funzionale al suo
auto-movimento totale. Se i bisogni sociali dell’epoca, in cui si
sviluppano simili tecniche, non possono trovare soddisfazione se non
tramite la loro mediazione, se l’amministrazione di questa società
e ogni contatto fra gli uomini non possono più esercitarsi se non
mediante questa potenza di comunicazione istantanea, è perché
questa “comunicazione” è essenzialmente unilaterale; di modo che
la sua concentrazione consente di accumulare nelle mani
dell’amministrazione del sistema esistente i mezzi che gli
permettono di continuare questa amministrazione determinata».
Altrettanto importante è aver chiara la sostanziale univocità degli
elementi che in tale contesto sembrano diversificarsi e perfino
contrapporsi nell’offrirsi come ventaglio di opzioni: «La
falsa scelta nel campo dell’abbondanza spettacolare, scelta che
risiede nella giustapposizione di spettacoli concorrenziali e
solidali, come nella sovrapposizione dei ruoli (principalmente
significati e veicolati da oggetti), che sono contemporaneamente
esclusivi e ramificati, si sviluppa in lotte di qualità
fantomatiche, destinate ad appassionare l’adesione alla trivialità
quantitativa. Così rinascono le false opposizioni arcaiche dei
regionalismi o dei razzismi incaricati di trasfigurare in superiorità
ontologica fantastica la volgarità delle posizioni gerarchiche nel
consumo. Così si ricompone l’interminabile serie dei contrasti
derisori, che mobilitano un interesse sottoludico, dallo sport alle
elezioni. Laddove ha preso possesso il consumo abbondante, emerge
un’opposizione spettacolare principale fra la gioventù e gli
adulti; perché non esiste da nessuna parte l’adulto, padrone della
propria vita, e la gioventù, la trasformazione di ciò che esiste,
non è affatto appannaggio degli uomini che oggi sono giovani, ma del
sistema economico, del dinamismo del capitalismo. Queste sono le cose
che dominano e che son giovani: che sostituiscono se stesse»
(§ 62).
Ancor meglio nei Commentaires
sur la Société di Spectacle:
«Il
potere dello spettacolo, così essenzialmente unitario,
centralizzatore per forza di cose, e completamente dispotico nello
spirito, si indigna assai spesso vedendo formarsi sotto il suo regno
una politica-spettacolo, una giustizia-spettacolo, una
medicina-spettacolo o tanti altri “eccessi mediali” così
sorprendenti. […] Con una certa frequenza, i padroni della società
affermano di essere serviti male dai loro dipendenti mediali; più
spesso rimproverano alla plebe degli spettatori la tendenza ad
abbandonarsi senza ritegno, in modo quasi bestiale, ai piaceri dei
mass media. In questo modo si nasconderà, dietro una moltitudine
virtualmente infinita di presunte divergenze mediali, quello che è
al contrario il risultato di una convergenza spettacolare voluta con
notevole tenacia»
(III).
Ma per il prossimo paragrafo, dove vedremo come tutto questo
si fa esemplare nella gestione mediatica dell’epidemia di Covid-19, torna utile anche un altro punto:
«Si
sente dire che ormai la scienza è subordinata a imperativi di
redditività economica; ciò è vero da sempre. Il fatto nuovo è che
l’economia ha cominciato a fare apertamente guerra agli umani. […]
Prima di arrivare a questo punto la scienza godeva di una relativa
autonomia. Perciò sapeva pensare il suo briciolo di realtà; e in
tal modo aveva potuto contribuire immensamente ad aumentare i mezzi
dell’economia. Quando l’economia onnipotente è diventata folle, e
i tempi spettacolari non sono altro che questo, ha soppresso le
ultime tracce dell’autonomia scientifica, inscindibilmente sul
piano metodologico e su quello delle condizioni pratiche
dell’attività dei “ricercatori”. Non si chiede più alla
scienza di capire il mondo o di migliorare qualcosa. Le si chiede di
giustificare istantaneamente tutto ciò che si fa»
(XIV). In questo frangente, come la monaca di Monza, «la sventurata rispose».
Ma non le torna, che senza nessuna contromisura, questa epidemia farebbe almeno tra 10 e 100 volte i morti dell'influenza stagionale? E questo supponendo che si riesca a trattare tutti i pazienti al meglio, cosa che non succede se le terapie intensive saranno sature.
RispondiEliminaConfrontare i 5000 morti di oggi con quelli dell'influenza a fine stagione non ha senso, perché non siamo a fine stagione con il COVID-19. Probabilmente non si è infettato nemmeno l'1%. Faccia la proiezione a fine stagione per favore e guardi i numeri negli occhi. Questa è la prima volta che non riesco a godermi la sua prosa, dopo l'inciampo non riesco a proseguire nella lettura.
Io non faccio alcuna proiezione. Allo stesso tempo, non traggo considerazioni dal numero di sciatori che NON si sono rotti un femore per essere andati a sciare già ingessati. Quanto poi durerà la stagione del Covid-19 non so, lei ha qualche dritta seria al riguardo? Ancora: a mio modesto avviso i contagiati e i guariti senza mai averlo saputo sono tantissimi, ma è opinione che, in assenza di 60 milioni di tampone, vale quanto quella di chi sostiene che "non si è infettato nemmeno l'1%". Per finire, non le sfuggirà che inciampo è σκάνδαλον.
Elimina"in assenza di 60 milioni di tampone" non servirebbe gli esami del sangue per vedere chi ha sviluppato gli anticorpi?
EliminaAvere a che fare con dell'incertezza non significa non poter dire nulla. La durata della stagione dell'epidemia incontrollata sarebbe di qualche mese. Lo si vede nel lavoro dell'Imperial College
Eliminahttps://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf
ma lo si può capire anche facendo i conti della serva a partire dall'andamento esponenziale. La velocità dell'esponenziale la si può stimare, ad esempio dai decessi, se il numero di positivi al tampone è inaffidabile.
Dire "tantissimi" non è scientifico, perché è inattaccabile. Il mio 1% di sopra non è buttato lì come sembra.
Come scalare il numero dei positivi al numero di veri contagiati lo mostra il lavoro preliminare del CMMID, partendo da stime di letalità.
https://cmmid.github.io/topics/covid19/severity/global_cfr_estimates.html
Se i contagiati veri sono in Italia 10 volte il numero di positivi al test - come dice il CMMID, allora saranno 10 x 50.000, mezzo milione, meno dell'1% della popolazione italiana.
Come sempre nella scienza tout se tient, cioè c'è una coerenza interna confermata da varie discipline che analizzano la questione da vari punti di vista.
Chi non sa, spesso non sa di non sapere. Per le domande cruciali sui numeri in questo tempo non serve ascoltare i virologi, ma gli epidemiologi matematici. Per distinguere le chiacchiere, le sparate, dalle cose serie serve una certa particolare cultura scientifica che è ancora più rara di quella umanistica.
Una riflessione. Il fastidio montante in chiunque abbia un benchè minimo spirito critico e non possegga "una certa particolare cultura scientifica" ma delle solide basi di aritmetica lo dimostra la costante 'tortura' dei dati statistici a disposizione di tutti. Seguendo molto banalmente l'aggiornamento che per comodità ne fa il sito del Sole24ore https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/ emergeva fin dal 10 - 11 Marzo quale fosse la piega che si stava prendendo (in quel momento il raffronto era solo con Cina Iran e Corea del sud). Un potenziale esempio di efficacia da seguire sarebbe stato proprio quello coreano molto simile per numero di abitanti, suddivisione per fasce di età ed altro. Non il migliore possibile ma senz'altro di gran lunga meno disastroso del nostro. Pare ora evidentissimo come scelte diverse potessero essere operate anche da allora: maggior numero di tamponi possibili, isolamento di zone specifiche (i focolai) anzichè intere nazioni, capillare controllo sulla propagazione all'interno degli ambienti sanitari grazie all'adozione di ferrei protocolli e DPI adeguati ecc. Chiaramente l'immediata evidenza di gravissime carenze strutturali nella nostra sanità (basti pensare alla ancora attuale mancanza di DPI non solo per la popolazione ma soprattutto ovviamente per il personale medico) e l'enorme pressapopichismo e contradittorietà delle decisioni prese non ce l'hanno permesso. Totalmente impreparati dopo i primi casi si sarebbe auspicata una reazione differente in momenti in cui la rapidità è fondamentale. Scappata la situazione di mano il lockdown totale è diventato inevitabile così come le disastrose conseguenze di lungo periodo. Nella solita conferenza stampa di ieri ecco una prima svolta ufficiale: le evidenti problematiche di privacy legate al tracciamento telematico dei contagiati del modello coreano sono state "serenamente" illustrate con la richiesta di una call a livello nazionale. Sorvolo a questopunto sulle costanti dichiarazioni legate all'Italia come esempio per il resto del mondo occidentale. Quindi tornando nello specifico ai dati ed al loro costante aggiornamento, sul sito citato è comparso qualche giorno fa nel quadro "Tamponi effettuati/casi giornalieri risultati" il rapporto percentuale tra loro (per comodità di calcolo). Dando quindi per scontato che il numero dei contagiati è di gran lunga superiore (così come purtroppo il numero dei morti) questo mi pare essere l'unico dato certo. Come si potesse quindi sostenere una flessione generale ieri in conferenza stampa quando il numero dei tamponi dichiarati fosse di gran lunga inferiore al giorno precedente(25180 contro 17066) rimanendo una percentuale del 28,1, mi risulta difficilmente comprensibile. Sono le 17.00 e spero ovviamente di aver preso lucciole per lanterne in attesa dei nuovi dati. Comprendo ma assolutamente non condivido chi sostiene che questo cauto ottimismo va comunque trasmesso per non ingenerare ulteriore allarmismo. Ringrazio i pochi che come Castoldi nell'attuale situazione contribuiscono a mantenere alto lo spirito critico sottolineando l'incoerenza del settore informativo di massa ma soprattutto il legame imprescindibile tra cultura umanistica e cultura scientifica che mai come ora può evitare una totale deriva del pensiero.
Elimina
EliminaIL GRANDE BLUFF?
Nel post precedente ho evidenziato come abbia accolto con stupore il segnale della consueta conferenza stampa dalla sede della protezione civile riguardante un regresso dei contagi di domenica 22 Marzo.
Mi lasciava dubbioso che fosse stata comunicata nonostante la dimunizione dei tamponi giornalieri effettuati su tutto il territorio nazionale che fino ai 23336 del giorno precedente era stata in costante aumento.
Ulteriore dubbio l'ho avuto ieri quando ho notato che il dato era sceso a 17066 (!). La percentuale dei positivi però non era variata ma anzi aumentata al 28,1%.
Oggi la triste ulteriore conferma: 21496 con il 24,4 % risultato positivo.
Pare evidente che in un momento in cui il messaggio ufficiale è "abbiamo implementato a 77 i laboratori diagnostici su tutto il territorio nazionale per effettuare il maggior numero di tamponi" qualcosa non torna....
Pare che si stia applicando la strategia consolidata dalla regione Liguria dove la scelta è stata quella di effettuarne il meno possibile e quando effettuati su cadaveri decedutii per covid19 in casa e poi risultati positivi di non conteggiarli nel numero totale da trasmettere (!). Meno di 6000 ad oggi su un milione e mezzo di abitanti. Addirittura arrivando a consigliare ai sindaci di non comunicare il numero dei contagiati alla cittadinanza (come nel caso di Albenga in cui risiedo) per non destare un inutile allarme nella popolazione .
Tornando qundi a verificare il numero dei tamponi effettuati, si nota come in questi ultimi tre giorni di teorico rallentamento la regione Lombardia che oggi ne conti 76695 contro i 73242 di ieri e i 70598 del 22 marzo (+3453 e +2644) su oltre 10 milioni di abitanti raffrontati con quelli del Veneto in costante crescita: 66178 oggi 61115 ieri 57671 il 22 marzo (+5063 e +3444) su meno di 5 milioni. Veneto che da tempo ha dichiarato di scegliere la linea 'coreana' premiante in termini di riduzione effettiva del contagio come scientificamente dimostrato anche dall'esperimento di Vò Euganeo.
Va da sè che fino a quando la regione con il maggior numero di contagiati e decessi (qui il dato diventa particolarmente duro da comunicare ai cittadini specie agli abitani del bergamasco e del bresciano che ben sanno purtroppo quanto sia sottostimato) continuerà ad avere un basso numero di test giornalieri pro capite (quantomeno quelli ufficiali) la conferenza stampa delle 18 potrà ancora per un pò sostenere che la curva a livello nazionale sia in flessione ed in particolare nel territorio in cui in realtà maggiore è la diffusione del virus.
Qualche interrogativo si pone.
Pura coincidenza che contemporaneamente si aumenti la stretta sanzionatoria ed autoritaristica nei confronti della cittadinanza che non rispetta il confino casalingo (fino a 3000 euro) e si inizi a parlare della data del 31 Luglio?
La trasparenza sacrificata alla ragion di stato?
Ma soprattutto.
Che la situazione sia sfuggita di mano?
P.s.: chiedo venia per il refuso Castoldi/Castaldi
IL GRANDE BLUFF?
EliminaNel post precedente ho evidenziato come abbia accolto con stupore il segnale della consueta conferenza stampa dalla sede della protezione civile riguardante un regresso dei contagi di domenica 22 Marzo.
Mi lasciava dubbioso che fosse stata comunicata nonostante la dimunizione dei tamponi giornalieri effettuati su tutto il territorio nazionale che fino ai 23336 del giorno precedente era stata in costante aumento.
Ulteriore dubbio l'ho avuto ieri quando ho notato che il dato era sceso a 17066 (!). La percentuale dei positivi però non era variata ma anzi aumentata al 28,1%.
Oggi la triste ulteriore conferma: 21496 con il 24,4 % risultato positivo.
Pare evidente che in un momento in cui il messaggio ufficiale è "abbiamo implementato a 77 i laboratori diagnostici su tutto il territorio nazionale per effettuare il maggior numero di tamponi" qualcosa non torna....
Pare che si stia applicando la strategia consolidata dalla regione Liguria dove la scelta è stata quella di effettuarne il meno possibile e quando effettuati su cadaveri decedutii per covid19 in casa e poi risultati positivi di non conteggiarli nel numero totale da trasmettere (!). Meno di 6000 ad oggi su un milione e mezzo di abitanti. Addirittura arrivando a consigliare ai sindaci di non comunicare il numero dei contagiati alla cittadinanza (come nel caso di Albenga in cui risiedo) per non destare un inutile allarme nella popolazione .
Tornando qundi a verificare il numero dei tamponi effettuati, si nota come in questi ultimi tre giorni di teorico rallentamento la regione Lombardia che oggi ne conti 76695 contro i 73242 di ieri e i 70598 del 22 marzo (+3453 e +2644) su oltre 10 milioni di abitanti raffrontati con quelli del Veneto in costante crescita: 66178 oggi 61115 ieri 57671 il 22 marzo (+5063 e +3444) su meno di 5 milioni. Veneto che da tempo ha dichiarato di scegliere la linea 'coreana' premiante in termini di riduzione effettiva del contagio come scientificamente dimostrato anche dall'esperimento di Vò Euganeo.
Va da sè che fino a quando la regione con il maggior numero di contagiati e decessi (qui il dato diventa particolarmente duro da comunicare ai cittadini specie agli abitani del bergamasco e del bresciano che ben sanno purtroppo quanto sia sottostimato) continuerà ad avere un basso numero di test giornalieri pro capite (quantomeno quelli ufficiali) la conferenza stampa delle 18 potrà ancora per un pò sostenere che la curva a livello nazionale sia in flessione ed in particolare nel territorio in cui in realtà maggiore è la diffusione del virus.
Qualche interrogativo si pone.
Pura coincidenza che contemporaneamente si aumenti la stretta sanzionatoria ed autoritaristica nei confronti della cittadinanza che non rispetta il confino casalingo (fino a 3000 euro) e si inizi a parlare della data del 31 Luglio?
La trasparenza sacrificata alla ragion di stato?
Ma soprattutto.
Che la situazione sia sfuggita di mano?
P.s. chiedo venia per il refuso Castoldi/Castaldi
Il corto-circuito logico alla base della sua lunga disamina è il paragone tra un evento già accaduto (i decessi derivanti dalla circolazione nella popolazione dei virus influenzali "comuni" negli anni passati), e quindi certo, con un evento che - evidentemente - è in corso, e i cui esiti sono incerti per tutti.
RispondiEliminaNe deriva che per invalidare il suo ragionamento l'unica soluzione possibile sarebbe evitare qualsiasi forma di contenimento nella diffusione del virus.
Guardi, glielo dico da medico, da 63enne e da accanito fumatore, quindi da soggetto discretamente a rischio per beccarmi il Covid-19 e restarci secco: allo stato attuale, al netto delle implicazioni d'ordine etico, non so quale soluzione avrebbe fatto meno morti. Perché, come ho scritto altrove con un eccesso di colore rimproveratomi da un amico, di muore di virus ma anche di fame.
EliminaSul fatto che una soluzione che salvi capra e cavoli non ci sia, non si può che concordare. Per dire, al momento sono state paventate quattro risposte all'epidemia, tutte con potenziali danni enormi.
Eliminaa) Soluzione cinese. Si chiude tutto e si spara a vista ai trasgressori. Utile per abbattere la diffusione del virus in tempi rapidi, normale routine in un paese autoritario, condizione drammatica in Occidente.
b) Soluzione coreana. Si monitora a tappeto e si invade pesantemente la privacy dei cittadini. Buoni risultati e ridotto disagio economico. Potenzialmente inquietanti i risvolti nel medio periodo.
c) Soluzione italo - franco - spagnola. Si chiude, ma con maglie molto larghe. Economia a picco e risultati che forse possono aversi in un periodo di tempo piuttosto lungo.
d) Soluzione stile Boris Johnson. Lasciamo fare all'immunità di gregge. Unico esito possibile, la devastazione del tessuto sociale di una nazione.
Insomma, comunque la si giri sarà un guaio enorme. Che lascerà scorie pesanti in tanti paesi.
scusi, posso chiederle perché l'esito della soluzione Johnson sarebbe la devastazione sociale ? Lo chiedo perché mi sarei aspettato "devastazione sanitaria". Grazie.
EliminaPerché nei fatti il messaggio sarebbe "la vostra salute non è tutelata dallo Stato". Io fatico a immaginare un atteggiamento più destabilizzante di questo, in un paese occidentale. Forse in Somalia o in Ciad passerebbe inosservato. Ma in un paese organizzato equivale sostanzialmente a dichiarare l'anarchia.
Eliminacapisco il suo punto di vista, molto ragionevole. Devo dire però che a me suona un po' come un paradosso che per evitare la "devastazione sociale" sì vietino quasi tutti i rapporti sociali e che si sospenda, per così dire, la società. Sia chiaro che non faccio colpe a nessuno, men che meno al governo, e che non ho soluzioni. Mi piacerebbe però che si potesse discutere laicamente delle conseguenze sanitarie di questa sospensione. C'è una salute fisica e ce n'è una psicologica, c'è la depressione e ci sono i suicidi. In ogni caso una netta diminuzione del pil porterà inevitabilmente ad un aumento della mortalità (sì vedano le statistiche di mortalità greche dopo la cura dell'austerita'). E lo dice uno a cui del pil in condizioni normali non frega niente. Cordiali saluti.
EliminaScusi ma lei se li vede gli operai e gli impiegati andare a lavorare tranquillamente, mentre il virus non contenuto da alcun provvedimento fa vittime in tutto il paese, con gli ospedali pieni che non possono accettare altri malati, e probabilmente i propri cari morenti nelle loro case, soffocati dalla polmonite e torturati da una tosse incessante?
EliminaAl di là delle accorate descrizioni di scenari catastrofici, siamo davanti a un virus che può generare un numero elevato di decessi, le cui misure di controllo possono dal canto loro mettere a repentaglio la democrazia e la libertà di cui godiamo tutti. Basta guardare dietro l'angolo e vedere cosa stanno facendo Netanyahu in Israele e Orban in Ungheria.
EliminaDove sia il punto di equilibrio tra salute e benessere economico-sociale, non lo sa nessuno. Nessuno in tutto il mondo. E credo che i post di Castaldi fossero mirati proprio a mettere in guardia dal fatto che le misure eccezionali che vediamo adottate ovunque abbiano un rovescio della medaglia preoccupante.
Essere compresi è consolante, grazie.
Eliminadistribuzione territoriale dei 5000 morti covid e distribuzione territoriale dei morti da influenza, please
RispondiEliminaMi scusi, ma se l'epidemia fosse stata trattata come un'influenza, quanti sarebbero stati i morti? Proiettando quelli della Lombardia sull'Italia intera, almeno 21 mila, ed anche i numeri della Lombardia sono stati contenuti dalle limitazioni e sono ancora in crescita.
RispondiEliminaDire che l'allarme è troppo perché i morti sono pochi, rischia di invertire causa ed effetto...
magistrale. fine.
RispondiEliminaA risorse sanitarie infinite la, non tanto velata, critica alle misure di contenimento adottate mi sembra razionalmente ineccepibile. Ma quale sarebbe stata la tenuta di uno stato se il suo sistema sanitario, già ora al collasso, avesse lasciato privi di cure la maggior parte dei contagiati?
RispondiEliminaMolte le mie riserve sul "CuraItalia" e soprattutto sulla criminalizzazione dei potenziali untori e conseguenze sociali che renderanno la convivenza ancora più complicata ma il rallentamento dell'epidemia mi pare obbiettivo da perseguire
Spero anche in un analisi sulla questione che sempre più studiosi del diritto stanno sollevando, cioè su come si sta gestendo l'emergenza a suon di "decreti" e probabilmente al di fuori di quando previsto dalla Costituzione per la limitazione delle libertà garantite.
RispondiEliminascusate l'anonimato pusillanime - e capirei anche se questo commento non passasse la, chiamiamola così, moderazione - ma direi io* che il numero dei contagiati e il numero dei morti andrebbero rapportati al numero dei viventi; e, suvvia: so' davero spicci...
RispondiElimina* cinquantottenne, accanito fumatore; non medico, né storico, né statistico. apprendista stoico, tutt'al più.
...scusate l'invadenza, ma non ci sarebbe l'ovvia soluzione di "precettare" tutti gli ultrasettantenni (o ultra65enni con patologie), vietando loro di uscire di casa e facendo il tampone con priorità assoluta e regolarità ai loro familiari ? Assicurando anche un servizio pubblico di assistenza domiciliare ?
RispondiEliminaVuoi togliere pathos allo spettacolo?
RispondiEliminaHa ragione, il vaccino antinfluenza non e' efficace al 100%, ma proprio per questo l'effettiva copertura vaccinale e' inferiore al 57%.
RispondiEliminaIl numero di morti per influenza, pertanto, e' piu' vicino a quello che si avrebbe in una popolazione non immunizzata di quanto quel 57% faccia pensare.
Guardi che 57% è la percentuale di quanti si vaccinano. Di questi, un 5-6% prende lo stesso l'influenza.
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