L’accezione
estensiva può portare un termine anche assai lontano dal suo
significato proprio, e la procedura che opera questo allontanamento
sfrutta sempre lo strumento di una figura retorica. Non ci
sorprenderà, dunque, che metafora o metonimia, iperbole o litote,
possano conferire a un termine un’accezione che distorce anche
sensibilmente il significante. A posteriori, tuttavia, il significato
dell’accezione estensiva sarà sempre riconoscibile come
quiescente, potenziale, in quello proprio del termine.
Si
prenda, per esempio, un termine come scrittura, che da mera
«operazione dello scrivere»
una figura retorica come l’antonomasia
fa diventare Scrittura,
e cioè «Parola di Dio».
Al significante, che ci parla di cosa indubbiamente scripta,
l’accezione
estensiva dà il significato di cosa eminentemente orale (Verbum),
ma ci è chiaro che solo una «voce divina»
può dettare un «testo sacro»:
l’orale
quiesceva nello scritto, la figura retorica lo ha destato e reso
attivo.
Quale
figura retorica dà a senso,
che viene da sensus,
participio passato di sentire,
che vuol dire percepire,
e cioè cosa eminentemente soggettiva, l’accezione
estensiva di «contenuto logico oggettivamente valido»
(Treccani), «criterio
ultimo di giudizio» (De Mauro),
«congruenza con un ordine logico, con la verosimiglianza,
e anche con la realtà effettiva e attuale» (Devoto-Oli),
con quella valenza di dato oggettivo che così spesso va a esprimere
in locuzioni del tipo «il senso della vita»,
che da «quel che percepisco sia la vita»
diventa «quel che la vita oggettivamente è»,
«il vero e inconfutabile significato della vita»,
ecc., con ciò conferendo oggettività a un termine che esprime la
pura soggettività del sentire?
La sineddoche – la figura retorica che ci dà la parte per il tutto
– e questo accade anche per altre accezioni di senso,
come quella di direzione («il
senso di marcia»), quella di
logicità («il
senso di una proposizione») e
quella di conformità
(«ai sensi della vigente normativa»):
un vettore diventa orientamento, una congruenza diventa sistema, una
corrispondenza diventa adeguamento.
Ho
chiuso l’ultimo
post dicendo che il cosiddetto bene comune non è mai comune, ma –
di sponda – lo diventa sempre. Bene, accade come per
il senso,
che da soggettivo percepire di una cosa riesce a imporsi come suo
vero e inconfutabile significato: la «sponda»
è
la
figura retorica. Potremmo azzardare, dunque, che tutte le forme di
vita associata sono piani su cui si saggia l’efficacia
delle figure retoriche, selezionando quelle in grado di rendere
generalmente accettabile la trasformazione del significato proprio di
un significante in quello della
sua accezione
estensiva. Non mi si fraintenda, però. Non intendo insinuare che le
dinamiche relazionali siano riducibili a quelle che nel foro pubblico
decidono le sorti evoluzionistiche dei significanti, mi limito a
suggerire che il successo e il fallimento delle operazioni messe in
atto per rendere efficace questa o quella figura retorica siano la
più trasparente sovrastruttura del conflitto sociale. Ne
conseguirebbe che il conflitto sociale può essere letto attraverso
le figure retoriche che si fronteggiano sul piano del linguaggio
corrente, e che l’esito
può esserne previsto dall’andamento
delle loro sorti in campo nei momenti di crisi.
[segue]
Il buon senso è meravigliosamente sempre in conflitto di interesse.
RispondiEliminaPerdoni l’intrusione. So che lei è stimato dal Mantellini, e volevo chiederle una raccomandazione, che dalle parti di Forlì si chiama intercessione. Gli è che mi è capitato di scrivere che lui è sempre col ditino alzato e il pistolino un po’ barzotto. Lui mi ha cancellato il commento, e probabilmente bannato. Gli dica che, sebbene relapso, vorrei un’altra chance. Sono perciò disponibile a modificare quello che ho scritto, anzi, lo può modificare lui: scriva pure duro, durissimo, come il sasso. Purtroppo, sul diminutivo non posso transigere: non ci crederebbe nessuno.
RispondiEliminaGrazie.
Ahimè, temo di aver perso la stima del Mantellini, al punto che su Twitter m’ha perfino defollowato. Deve aver riletto la mia recensione e stavolta deve averla capita. Sempre stato permalosetto, come è natura di noi del Cancro, ma ultimamente assai di più. Non so cosa possa avergli causato questa ipersensibilità alle critiche, ma credo stia subendo i guasti della sovraesposizione. Di fondo, tuttavia, c’è la ben nota presunzione di superiorità antropologica che è da sempre un tratto peculiare dell’area culturale di appartenenza. Non posso accontentarla, dunque, pregiato Erasmo.
Eliminasiete davvero belli, davvero!
Eliminanon vi merita