Con
un referendum che aveva visto vincere la Repubblica sulla Monarchia
per meno di due milioni di voti, è comprensibile che i vincitori
volessero evitare che la guerra civile tra fascisti e antifascisti si
riaccendesse, previo rimpasto delle parti in campo, tra monarchici e
repubblicani. Si risolsero, così, col dare al Presidente della
Repubblica un profilo assai simile a quello di un
monarca, conferendogli molti dei poteri che lo Statuto Albertino
aveva conferito al Re, lasciandogli comunque in simulacro quelli che
andavano di fatto al Parlamento, al Governo e alla Magistratura,
nella classica tripartizione che andava a rompere l’unità
del potere autocratico, seppur mitigato da un ottriato. Perfino nella
scelta del primo Presidente della Repubblica si preferì puntare su
chi potesse vantare notoria fede monarchica, per attenuare il trauma
di vedere assiso al Quirinale altri che un Re, e si scelse Enrico De
Nicola, che, ritenendo sacrilego usurpare il Quirinale, elesse a sua
sede Palazzo Giustiniani.
Come il Re dello Statuto Albertino entrato
in vigore nel 1848, anche il Presidente della Repubblica della
Costituzione entrata in vigore nel 1948 rappresentava l’unità
nazionale, promulgava le leggi, scioglieva le Camere, era a capo
delle Forze Armate, dichiarava lo stato di guerra, aveva potere di
grazia. Di tutto il resto conservava un qualche succedaneo: dove
poteva sanzionare le leggi, ora poteva rimandarle alle Camere; dove
nominava i giudici, ora diventava Presidente del Consiglio Superiore
della Magistratura; dove la sua persona era «sacra e inviolabile»,
ora il Codice Penale dichiarava «vilipendio» l’offesa
alla sua persona, al pari di quella alla religione.
La storia non concede controprove, sta di fatto che questi
accorgimenti risultarono efficaci a tener buoni i monarchici. Ma oggi
– oggi che i nostalgici della Corona sono solo quattro gatti del
tutto inoffensivi – ha senso un Presidente della Repubblica che
surrogando il potere di nominare un numero illimitato di senatori a
vita che lo Statuto Albertino assegnava al Re (art. 33) vede
riconosciuta dalla Costituzione la facoltà di nominarne cinque (art.
59)? Ha senso, oggi, che un Presidente della Repubblica possa godere
della stessa discrezionalità di veto sulla nomina dei ministri che a
Vittorio Emanuele III consentì di far fuori Facta per far posto a
Mussolini?
Sull’ipotesi di rafforzare i poteri del Presidente della
Repubblica, in un più generale progetto di riforma costituzionale
che trasformasse la nostra Repubblica parlamentare in una Repubblica
presidenziale, non si è mai gridato allo scandalo, anzi, la questione continua ad essere dibattuta di tanto in tanto, fin dai tempi di Pacciardi. E allora che c’è
di blasfemo nell’ipotesi di aprire un dibattito sull’opportunità di ridimensionarli? Beppe
Grillo è Beppe Grillo, d’accordo, ma cosa c’è di eversivo nella sua proposta di rivedere le prerogative che la Costituzione assegna al Capo dello Stato?
Più in generale: di quanta residua Monarchia ha bisogno la nostra Repubblica?
io abolirei la figura del PdR, fisserei costituzionalmente a 4 anni la durata delle camere, abolirei l'istituto della sfiducia, applicherei l'attuale meccanismo di elezione del PdR all'elezione del Presidente del Consiglio. La democrazia dell'alternanza non funziona, meglio quella dichiaratamente consociativa.
RispondiEliminaÈ anche il modo rozzo di porre questi temi, "togliamolo perché non serve la nostra causa", giocare con gli equilibri democratici costituzionali come scomodi orpelli, unito ad un atteggiamento ondivago ed altalenante verso ogni istituzione, a seconda della convenienza. Sulla ricostruzione della genesi del PdR: sono d'accordo, però a parer mio quella forma presidenziale ha acquistato nei decenni manifestazione autonoma e riconoscibile. Poteri non poteri, non poteri percepiti come poteri. Con varie eccezioni, la carica nel tempo ha in qualche modo smorzato le frequenti isterie della politica italiana, pur forte di essere espressa da questa. È una forma di potere che si è affrancata, con vantaggio, dalla genesi monarchica, finendo per offrire di tanto in tanto una sponda a chi volesse fare argine alle continue tendenze autoritarie, in particolare degli esecutivi, talvolta parlamentari. Spesso presa a simbolo da chi era popolo all'opposizione, quanto a ragione sarebbe da valutare, sembra rivestire un ruolo di raccordo tra i poteri e tra i poteri e il popolo. Ciò è in parte accaduto persino con presidenti a mio avviso pessimi, che pur facendo scelte politiche discutibili, hanno goduto di quel riconoscimento di dignità istituzionale che li ha resi spesso immuni persino ai mal di pancia c.d. "anticasta".
RispondiElimina"Beppe Grillo è Beppe Grillo" non è un dettaglio di poco conto. C'è un tempo opportuno per ogni cosa. Ed è vero che non dobbiamo più preoccuparci dei monarchici ma non mi sembra che il rischio di eversione delle regole imposte dalla Costituzione Repubblicana sia meno serio. Anzi.
RispondiEliminaAl Quirinale, quindi, tutto il potere possibile finché dura la tempesta e ripenseremo al dibattito sui massimi sistemi quando le acque si sarenno calmate.