martedì 23 ottobre 2018

Di quanta residua Monarchia ha bisogno la nostra Repubblica?


Con un referendum che aveva visto vincere la Repubblica sulla Monarchia per meno di due milioni di voti, è comprensibile che i vincitori volessero evitare che la guerra civile tra fascisti e antifascisti si riaccendesse, previo rimpasto delle parti in campo, tra monarchici e repubblicani. Si risolsero, così, col dare al Presidente della Repubblica un profilo assai simile a quello di un monarca, conferendogli molti dei poteri che lo Statuto Albertino aveva conferito al Re, lasciandogli comunque in simulacro quelli che andavano di fatto al Parlamento, al Governo e alla Magistratura, nella classica tripartizione che andava a rompere lunità del potere autocratico, seppur mitigato da un ottriato. Perfino nella scelta del primo Presidente della Repubblica si preferì puntare su chi potesse vantare notoria fede monarchica, per attenuare il trauma di vedere assiso al Quirinale altri che un Re, e si scelse Enrico De Nicola, che, ritenendo sacrilego usurpare il Quirinale, elesse a sua sede Palazzo Giustiniani.
Come il Re dello Statuto Albertino entrato in vigore nel 1848, anche il Presidente della Repubblica della Costituzione entrata in vigore nel 1948 rappresentava lunità nazionale, promulgava le leggi, scioglieva le Camere, era a capo delle Forze Armate, dichiarava lo stato di guerra, aveva potere di grazia. Di tutto il resto conservava un qualche succedaneo: dove poteva sanzionare le leggi, ora poteva rimandarle alle Camere; dove nominava i giudici, ora diventava Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; dove la sua persona era «sacra e inviolabile», ora il Codice Penale dichiarava «vilipendio» loffesa alla sua persona, al pari di quella alla religione.
La storia non concede controprove, sta di fatto che questi accorgimenti risultarono efficaci a tener buoni i monarchici. Ma oggi – oggi che i nostalgici della Corona sono solo quattro gatti del tutto inoffensivi – ha senso un Presidente della Repubblica che surrogando il potere di nominare un numero illimitato di senatori a vita che lo Statuto Albertino assegnava al Re (art. 33) vede riconosciuta dalla Costituzione la facoltà di nominarne cinque (art. 59)? Ha senso, oggi, che un Presidente della Repubblica possa godere della stessa discrezionalità di veto sulla nomina dei ministri che a Vittorio Emanuele III consentì di far fuori Facta per far posto a Mussolini?
Sull’ipotesi di rafforzare i poteri del Presidente della Repubblica, in un più generale progetto di riforma costituzionale che trasformasse la nostra Repubblica parlamentare in una Repubblica presidenziale, non si è mai gridato allo scandalo, anzi, la questione continua ad essere dibattuta di tanto in tanto, fin dai tempi di Pacciardi. E allora che c’è di blasfemo nell’ipotesi di aprire un dibattito sull’opportunità di ridimensionarli? Beppe Grillo è Beppe Grillo, d’accordo, ma cosa c’è di eversivo nella sua proposta di rivedere le prerogative che la Costituzione assegna al Capo dello Stato?
Più in generale: di quanta residua Monarchia ha bisogno la nostra Repubblica?

3 commenti:

  1. io abolirei la figura del PdR, fisserei costituzionalmente a 4 anni la durata delle camere, abolirei l'istituto della sfiducia, applicherei l'attuale meccanismo di elezione del PdR all'elezione del Presidente del Consiglio. La democrazia dell'alternanza non funziona, meglio quella dichiaratamente consociativa.

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  2. È anche il modo rozzo di porre questi temi, "togliamolo perché non serve la nostra causa", giocare con gli equilibri democratici costituzionali come scomodi orpelli, unito ad un atteggiamento ondivago ed altalenante verso ogni istituzione, a seconda della convenienza. Sulla ricostruzione della genesi del PdR: sono d'accordo, però a parer mio quella forma presidenziale ha acquistato nei decenni manifestazione autonoma e riconoscibile. Poteri non poteri, non poteri percepiti come poteri. Con varie eccezioni, la carica nel tempo ha in qualche modo smorzato le frequenti isterie della politica italiana, pur forte di essere espressa da questa. È una forma di potere che si è affrancata, con vantaggio, dalla genesi monarchica, finendo per offrire di tanto in tanto una sponda a chi volesse fare argine alle continue tendenze autoritarie, in particolare degli esecutivi, talvolta parlamentari. Spesso presa a simbolo da chi era popolo all'opposizione, quanto a ragione sarebbe da valutare, sembra rivestire un ruolo di raccordo tra i poteri e tra i poteri e il popolo. Ciò è in parte accaduto persino con presidenti a mio avviso pessimi, che pur facendo scelte politiche discutibili, hanno goduto di quel riconoscimento di dignità istituzionale che li ha resi spesso immuni persino ai mal di pancia c.d. "anticasta".

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  3. "Beppe Grillo è Beppe Grillo" non è un dettaglio di poco conto. C'è un tempo opportuno per ogni cosa. Ed è vero che non dobbiamo più preoccuparci dei monarchici ma non mi sembra che il rischio di eversione delle regole imposte dalla Costituzione Repubblicana sia meno serio. Anzi.
    Al Quirinale, quindi, tutto il potere possibile finché dura la tempesta e ripenseremo al dibattito sui massimi sistemi quando le acque si sarenno calmate.

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