«Siamo
in parte responsabili anche Marx ed io –
scrive Engels nella lettera a Bloch datata 21 settembre 1890 – del
fatto che [da
parte di qualche marxista] si
attribuisca talvolta al lato economico più rilevanza di quanta
convenga»:
è che «di
fronte agli avversari dovevamo accentuare il principio fondamentale,
che essi negavano, e non sempre c’era
il tempo, il luogo e l’occasione
di riconoscere quel che spettava agli altri fattori»;
vero è – tiene a precisare – che, «secondo
la concezione materialistica della storia, la produzione e
riproduzione della vita reale è nella storia il momento in
ultima
istanza
determinante»,
ma «né
io né Marx abbiamo mai affermato di più».
Una
lezione di grande onestà intellettuale, ma anche un serio monito a
quanti inclinano a un ferreo riduzionismo economicista per spiegare
il mondo, e semmai senza neppure essere marxisti, giacché è noto
che Marx è sempre stato letto poco e male, ma più dai
capitalisti che dai proletari. Questi ultimi, infatti, hanno da tempo
deposto le armi della lotta di classe, fino a smarrirne addirittura
la ragione e il fine, mentre invece tocca sentire un Buffet, terzo in
classifica tra gli uomini più ricchi al mondo, dire che «la
lotta di classe c’è
e al momento la vittoria è nostra».
Il
monito di Engels, per esempio, non fu recepito da Togliatti, che nel
suo Corso
sugli avversari
(Opere,
III, 2, pagg. 531-671 – Editori Riuniti, 1973) non tenne in alcun
conto i caratteri sovrastrutturali del fascismo, limitandosi a darne
una definizione in tutto sovrapponibile a quella data dalla Terza
Internazionale: «Il
fascismo è una dittatura apertamente terroristica degli elementi più
reazionari, più sciovinisti e imperialisti del capitale
finanziario»;
è «agli
ordini del suo padrone, la borghesia»,
che se ne serve per «esercitare
una pressione armata sulle classi lavoratrici»;
e questo accade quando le contraddizioni interne alla borghesia
giungono a un punto tale che essa, «impossibilitata
a governare con i vecchi sistemi»,
«è
costretta a liquidare le forme di democrazia».
Questo
forse può andar bene – ma neppure tanto – per dar conto del
fenomeno al suo affacciarsi sulla scena del XX secolo, quando era
fascismo agrario, ma basta a descriverlo per intero, soprattutto nei
suoi sviluppi? Si può dar conto del suo diventare in tempi così
brevi, come lo stesso Togliatti è costretto a riconoscere, un
«partito
di massa»,
con un consenso ampio e un profilo decisamente interclassista, senza
riconoscergli un saldo aggancio a quella complessa sovrastruttura che
per certa infelice pubblicistica è la «natura
dell’italiano»,
e
che al variare delle condizioni storiche sembra mostrare continuità
in una dimensione etico-estetica che riesce a rappresentarsi, seppur
fallacemente, come metastorica?
Senza
dubbio, il riduzionismo economicista di Togliatti trascura «quel
che spettava agli altri fattori»,
ma il fatto che «attribuisca
al lato economico piú rilevanza di quanta convenga» è
solo un limite di analisi o di fatto si traduce in uno strumento di
lotta politica? Riducendo il fascismo a mero strumento del capitale
in funzione antioperaia, non cercava forse di insinuare che il più
genuino e il più efficace antifascismo potesse essere solo quello
anticapitalistico, e cioè quello comunista? A quale altra logica può
rispondere, altrimenti, il mettere tra gli «avversari»
su cui tiene il suo «corso»
–
le sue Lezioni
sul fascismo – anche
i socialisti, i socialdemocratici, i repubblicani e gli azionisti? Il
riformismo – chiede Togliatti – non è forse da considerare come
«principale
sostegno della borghesia» in
quanto trappola per ingabbiare il movimento operaio, suadendolo ad
accettare la logica del capitale e stornandolo dalla rivoluzione che
invece mira a sovvertirla? E non è stato il riformismo a spaccare, e
quindi a indebolire, il movimento operaio italiano, con ciò
spalancando di fatto le porte al fascismo?
Lasciar
fuori dall’analisi
del fascismo ogni altro fattore che non fosse quello economico gli
serviva in sostanza a presentare il comunismo come sola valida
alternativa al fascismo, preparando in favore del Pci la vulgata di
una Liberazione tutta comunista. Effetto collaterale: lasciare a
sinistra del Pci chi si sarebbe poi sentito pienamente autorizzato a
una ripresa della «Resistenza
interrotta»,
ovviamente armata.
Non
so se quello giallo-verde possa essere considerato un nuovo fascismo.
Tenderei ad escluderlo, anche se non c’è
dubbio che nel M5S ci sia stato, e in parte ancora sussista, qualcosa
di sansepolcrista, mentre nell’humus
leghista sono evidenti germi di nazionalismo, autarchia e xenofobia.
A ridarci in farsa la tragedia del fascismo manca la sincresi tra
questi elementi, che è difficile possa darsi in assenza di
catalizzatore: non c’è
un genio politico come Mussolini, ci sono due talentuosi sfessati che
vivono l’avventura
alla giornata, manca soprattutto un Pareto col suo «ora o mai più».
E tuttavia facciamo finta di essere alla riedizione di un 1921,
quando erano in pochi a intuire cosa si parava e in tanti a ritenere
che il fascismo sarebbe imploso proprio per la velocità con la quale
era cresciuto: facciamo finta che i sondaggi annuncino la nascita di
una cosa vecchia, ma ovviamente completamente nuova, un fascismo 2.0
che riesca a costituirsi in regime. Bene, cosa gli consentirà di
essere «partito
di massa»?
Di quali tratti della «natura
dell’italiano»
saprà
rivestirsi?
E poi: come sarà spiegabile un tale fenomeno con un’analisi
che faccia propria la ratio di un ferreo riduzionismo economicista?
Non si fosse capito, il tema è posto al sociologo, allo psicologo
delle masse, all’archeologo
che cerca archetipi. E sì, anche al marxista che voglia attribuire
«al
lato economico più rilevanza di quanta convenga».
Lei ha ragione: Marx è sempre stato letto poco [pochissimo] e male [malissimo]. Non è vero però che è stato letto più dai capitalisti che dai proletari: i capitalisti leggono solo bilanci e listini di borsa, i proletari nemmeno quelli. Vero che è stato letto e mistificato un po’ da tutti gli intellettuali. Lei, a mio avviso, non ha nessun motivo di sentirsi escluso da tale novero, come del resto questo Suo post dimostra ben oltre, forse, le intenzioni.
RispondiEliminaLa lettera di Engels a Bloch così prosegue: «Se ora qualcuno distorce quell'affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura - le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa - costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. - le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. È un’azione reciproca tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico s’impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali (cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo). In caso contrario, applicare la teoria a un qualsiasi periodo storico sarebbe certo piú facile che risolvere una semplice equazione di primo grado».
Non credo che sia il caso che Le sottolinei i passi più rimarchevoli.
Il lungo paragrafo che segue a questo che ho qui riportato, esemplifica bene il metodo eglesiano e marxiano. Poi segue ancora: «Ma in secondo luogo la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce sempre dai conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali a sua volta è resa quel che è da una gran quantità di particolari condizioni di vita; sono perciò innumerevoli forze che si intersecano tra loro, un gruppo infinito di parallelogrammi di forze, da cui scaturisce una risultante - l'avvenimento storico - che a sua volta può esser considerata come il prodotto di una potenza che agisce come totalità, in modo non cosciente e non volontario. Infatti quel che ogni singolo vuole è ostacolato da ogni altro, e quel che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha voluto. Così la storia, quale è stata finora, si svolge a guisa di un processo naturale, ed essenzialmente è soggetta anche alle stesse leggi di movimento. Ma dal fatto che le singole volontà - ognuna delle quali vuole ciò a cui la spinge la sua costituzione fisica e le circostanze esterne, in ultima istanza economiche (le sue proprie personali o quelle generali e sociali) - non raggiungono ciò che vogliono, ma si fondono in una media complessiva, in una risultante comune, da questo fatto non si può comunque dedurre che esse vadano poste = 0. Al contrario, ognuna contribuisce alla risultante, e in questa misura è compresa in essa [MEOC, XLVIII, pp. 492-93].»
In definitiva si tratta della dialettica caso-necessità. Ma Lei mi pare abbia già espresso in altra occasione un suo giudizio, assai negativo, su Hegel. Non Le restano che Pareto & C..
Il suo tono somiglia un poco a quello di San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, ma sorvolo per andare alla sostanza. Mi cita brani di un testo che ho letto e che stanno semplicemente a glossa di quello che ho citato io, che mi rimprovera di non aver capito. Sorvolo anche su questo, mi coglie in una congiuntura che mi dispone alla massima tolleranza. Sicché mi limito soltanto a rammentarle che la dialettica che innerva le tesi con cui Engels si sforza di dare uno statuto filosofico alla scienza di Marx sono costruite tutte su un intricato sistema di ipotesi ad hoc in cui storia, scienza e prassi rimandano l'una all'altra nella pretesa di trovare ragione in se stesse. In ultima analisi, siamo di fronte a un dogmatismo, che d'altronde cerca e trova senso nella promessa al "perfetto marxista" di una compiuta fusione tra sapere e potere, tra possesso della certezza e assoluta efficacia realizzativa. Dell'hegelismo, a ben vedere, resta solo l'-ismo. E meno male, direi, ma è ancora troppo.
EliminaI miei profondi rispetti.
RispondiEliminaEngels mentiva. Non c'è traccia di nessun "altro fattore" in tutta la sua produ- zione e in quella di Marx. E' come se Berlusconi dicesse: è vero non l'ho mai detto però ho sempre pensato che i comunisti in fondo non sono così cattivi.
A parte questo, Malvino, non ho capito nulla del suo post. Le lezioni di Togliatti sono tenute a Mosca nel 35 a giovani dirigenti comunisti o aspiranti tali. Che bisogno poteva mai avere Togliatti in quel contesto di "insinuare" che il comunismo fosse l'unica reale alternativa al fascismo. Il suo bisogno era
piuttosto evitare che qualcuno potesse avere anche solo il sospetto che lui non la pensasse esattamente così. Ed è appunto per evitare questo sospetto che ripete ad ogni piè sospinto la definizione di fascismo della Terza Internazionale:
«Il fascismo è una dittatura apertamente terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti e imperialisti del capitale finanziario»
Inoltre, lungi dal semplice riconoscere a malincuore il fatto che il fascismo sia diventato in tempi così brevi fenomeno di massa egli analizza il modo in cui questo sia potuto accadere, mettendo in luce il ruolo della piccola borghesia. E questo è l'aspetto più originale delle elezioni, quello che forse qualche sospetto nel senso detto sopra avrebbe potuto causarlo.
Certo non parla di nessuna "natura dell'italiano" che si vorrebbe fallacemente metastorica, ma non si capisce proprio perché avrebbe dovuto o potuto usare una
simile categoria.
Poi lei chiede cosa consentirà ad un nuovo fascismo che prenda l'avvio dall'esperienza giallo verde di essere «partito di massa» ?"
Ma il sostegno di cui gode il governo giallo-verde si configura già ora come un partito di massa ! Questo nuovo ipotetico fascismo che da tale esperienza dovesse nascere non avrebbe che da conservare il sostegno di cui già quest'esperienza gode.
Infine lei chiede:
"come sarà spiegabile un tale fenomeno con un’analisi che faccia propria la ratio di un ferreo riduzionismo economicista?"
Ma a questo è facilissimo rispondere. In un'ottica radicalmente economicista tale fenomeno sarà spiegabile dai favorevoli come una legittima difesa del popolo nei confronti del ricatto della finanza internazionale, dai contrari come un colpo di reni della fazione più arretrata della borghesia italiana.
Sono d'accordo con lei: in Marx e in Engels ogni "altro fattore" viene toccato solo per rimandarlo alla "ultima istanza". Proprio per questo, dunque, la lettera a Bloch è importante: è un onesto tentativo, seppur "a babbo morto", di correggere il tiro senza cambiare carabina. E' questo che probabilmente spaventa lo zelota: che concedere qualcosa alle sovrastrutture possa scuotere l'impianto della struttura, che la "scienza" possa perdere la perdere la forza del "dogma".
EliminaSul resto non sono d'accordo: Togliatti non era un fesso, e che in cuor suo trovasse corretta la tesi della Terza Internazionale sul fascismo, o semplicemente vi si adeguasse, è evidente che sappia piegarla a un fine che, seppur lontano nel 1935, imponeva per tempo la predisposizione di un mezzo adeguato. E certo, non parla affatto di "natura dell'italiano", figurarsi. Io stesso sono stato costretto a metterla tra virgolette per fare riferimento a quella che è una vera e propria chimera letteraria. (In passato, su queste pagine, ne ho scritto come del vicolo cieco in cui finiscono le scienze sociali quando non sanno dove andare a parare.) E come tale che l'ho chiamata in causa: come scorciatoia per eludere la complessità delle sovrastrutture che le danno forma.
Di poi, lei afferma: "Il sostegno di cui gode il governo giallo-verde si configura già ora come un partito di massa". Mi pare faccia eco a quanto ho scritto nel post precedente a questo: "Porgo l’orecchio a queste voci ed è in esse, assai più che in quelle di Di Maio e di Salvini, che trovo l’embrione di una dittatura: leghisti e grillini hanno il consenso che di solito la plebe dà a chi incarica di far riscatto, previa vendetta". E però siamo ancora lontani da una organica fusione dei temi sollevati dalla Lega con quelli sollevati dal M5S. D'altronde anche D'Annunzio e Marinetti sembravano incompenetrabili.
Buona, invece, la risposta che mi dà alla domanda "come sarà spiegabile un tale fenomeno con un’analisi che faccia propria la ratio di un ferreo riduzionismo economicista?". Lei scrive: " In un'ottica radicalmente economicista tale fenomeno sarà spiegabile dai favorevoli come una legittima difesa del popolo nei confronti del ricatto della finanza internazionale, dai contrari come un colpo di reni della fazione più arretrata della borghesia italiana". Ecco, queste risposte potranno bastarci a spiegare "per intero" il "fenomeno"? E' per questo che tiravo in ballo il riduzionismo economicista di scuola marxista: ancorché non risulti (tatticamente) strumentale, può proporsi a metodo (pienamente) valido?
Mi limitavo a porre un problema, non davo risposte.
"Ecco, queste risposte potranno bastarci a spiegare "per intero" il "fenomeno" ?
RispondiEliminasecondo me potrebbero bastare a condizione di poter dimostrare che qualunque altra soluzione politica avrebbe inevitabilmente portato ad un aggravamento inaccettabile delle condizioni di vita del popolo italiano. Uso "inevitabilmente" e "dimostrare" in un'accezione tecnico-scientifica, la stessa che userei nella frase: "se siamo su un'auto a folle velocità e i freni sono rotti possiamo dimostrare che ci andremo inevitabilmente a schiantare." E' vero però che stabilire quali condizioni di vita siano accettabili e quali no rimane questione controversa. In genere non credo nel riduzionismo economicistico ma a volte possono verificarsi delle condizioni macroeconomiche dalle quali è dimostrabile tecnicamente (cioè con gli strumenti della scienza economica )che, se non si attuerà una certa azione di politica economica x, seguirà inevitabilmente una drastica riduzione del pil. Se poi risultasse evidente che nessuna formula politica, tranne la dittatura, fosse in grado di attuare tale azione, saremmo credo giustificati a spiegare la sostanza del fenomeno (cioè l'avvento di una dittatura prescindendo da quale dittatura) con un motivo esclusivamente economico.
(scusi se approfitto, ma mi sono accorto di aver formulato la questione in termini troppo astratti, che potrebbero indurre a pensare sia semplice ipotesi di scuola). In genere non c'è motivo di ritenere che una dittatura possa mettere in atto una misura economica legale che non possa essere messa in atto anche da un governo legittimo. Ma la situazione odierna presenta un'eccezione ed in questo senso credo che presenti caratteristiche storiche di originalità. C'è una misura economica (cioè che lo stato ripaghi il debito stampando moneta) che, pur non essendo costituzionalmente vietata, è esclusa per principio da tutti i partiti di opposizione, mentre è ammessa, seppure in linea teorica e come "ultima ratio", dai partiti di governo. Ove si dimostrasse (e ci sono autorevoli voci in tal senso) che tale misura sia l'unica in grado di permettere di ripagare il debito pubblico e ove fosse evidente l'impossibilità di un qualunque governo di attuarla per via legale (per esempio a causa di ingerenze da parte del PdR), potrebbe essere approvata dall'opinione pubblica l'eventualità di attuarla per via illegale...
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