domenica 23 marzo 2014

Il Berlinguer di Veltroni


Detesto ripetermi, ma ancor più rimandare a ciò che ho scritto con un link. Tuttavia talvolta sento necessario ribadire ciò che ho scritto con troppo anticipo. In questo caso si tratta del Berlinguer di Veltroni, che tra poco farà scendere i lacrimoni anche ai cuori di pietra. Due anni fa era Civati ad accendergli una candela votiva, e anche lui parlava di un Berlinguer che non è mai esistito. Le cose scritte allora valgono anche oggi, e le riporto qui sotto, così mi risparmio una recensione a un film. 

«Ero piccolo, e non capivo granché di politica». Come se oggi, invece… Civati commemora Berlinguer nel 28° della morte e nel leggerlo trovo conferma che peggio dei rottamandi ci sono solo i rottamatori. Almeno i primi hanno capito, anche se troppo tardi e a fatica, che proprio Berlinguer è il peccato originario che li ha portati regolarmente fuori strada ad ogni svolta, per tornare ogni volta più malconci in carreggiata, ma accumulando sempre più ritardo e perdendo sempre più consensi.
Civati, no. «Ci manca, Berlinguer… Sapete, ci manca davvero». Vorrei vederlo nel Pci di allora, quando il dolce Enrico, in culo a ingraiani, amendoliani e cossuttiani, prima cambiava linea del partito dalla sera alla mattina e poi esigeva che la direzione ratificasse e il congresso applaudisse. Macché, Civati è convinto che «Berlinguer diceva, quando esprimeva un pensiero, “i comunisti pensano” o “sostengono” o “intendono”, che si capiva che voleva dire “noi comunisti”, mentre a noi manca il noi». Neanche la Mafai avrà letto, è evidente, e sì che il libricino era smilzo, poteva trovare due ore tra un film e una partita di calcetto, avrebbe capito che noi significava Berlinguer, Rodano e Tatò.
Il Berlinguer di Civati è un poster, un brivido lungo la schiena, un’emozione: non ha mai letto una sua relazione congressuale o un suo paginone su Rinascita, è evidente. Civati è rimasto al «qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona», senza neppure riuscire a leggerci l’ironia che ci metteva Gaber. Come dire, «Berlinguer, ti voglio bene», facevi tanta tenerezza il braccio a Benigni, sei morto in modo così emozionante, ti ho visto su Youtube, non ho capito cosa dicevi, ma suonava così bene.
Dicevi che eravamo «diversi», e lo dicevi così bene che ci abbiamo creduto. Pensavamo che la macchina del partito girasse grazie alle sottoscrizioni che si raccoglievano alle Feste de l’Unità e che quei tuoi strappetti dalla Casa Madre fossero delicati per non lacerarci il cuoricino. Siamo stati costretti a ricrederci, avremmo tanto bisogno di uno come te che riuscisse a farcelo credere ancora, se solo avessimo l’anima bella di allora e il centralismo democratico.
«Quel volto, quella cultura, quella dimensione, non sono più tornate», piagnucola Civati, faccia da Postalmarket, lirismo alla Veltroni. E vaglielo a spiegare che quel volto, quella cultura, quella dimensione erano quelli di un Togliatti in sedicesimo.

6 commenti:

  1. Condivido ogni parola.
    Mi permetto solo di segnalare che l'antecedente lirico - a mio avviso determinante - trovasi nel Jovanotti della grande Chiesa da Che Guevara a Madre Teresa, passando ovviamente per San Patrignano. La sinistra contemporanea si è formata così, canticchiando alla cazzo di cane: senza studio, approfondimenti o riflessioni.
    Chiaro che Enrico Berlinguer risulti quantomeno pari a una Madonna Pellegrina.
    Sempre utile passar di qua, stia bene.
    Ghino La Ganga

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    1. Caro Ghino, Jovanotti, per l'appunto, è intervistato nel film da Veltroni come autorevole opinionista.

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    2. Io me la ricordo quella sera di giugno del '76, quando il PCI raggiunse il suo massimo storico. Eravamo giovani, entusiasti e ottimisti sotto il palazzo a Botteghe Oscure. E quando Enrico uscì sul balcone gli gridammo "E alzalo quel pugno chiuso!" Lui non lo fece ma fummo felici lo stesso. Sarà anche mitologia, caro Malvino, ma la vita, specie quella giovanile è fatta anche di questi momenti. E anche di una certa "fame di mitologia" i cui eccessi del resto furono criticati anche in vita ("Berlinguer non è la madonna" scrisse Eugenio Scalfari). Va bene che sono invecchiato, che l'iconoclastia, il realismo, il cinismo hanno una parte che prima non avevano, però non è che mi sento migliore. Sarà pure vero, come dice Ghino, che "la sinistra contemporanea si è formata così, canticchiando alla cazzo di cane: senza studio, approfondimenti o riflessioni", però questa più che una critica pare un sms, e neanche tanto studiato, approfondito o riflessivo.

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    3. Ci sono certi sms, caro Quattrocani, che sono profondi come versetti delle Upanisad. Non so se posso permettermi di fargli da ermeneuta, ma credo che Ghino intendesse dire che, per non morire di severa ortodossia, la sinistra è morta di troppo facile eccletismo.

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  2. Perdoni il Padrone di casa se riappaio, ma sono stato inaspettatamente tirato in ballo.
    Sicchè replico brevemente, ringraziandoLa per avere assunto le mie difese: per toglierLe subito dalle spalle tale fardello, di seguito provvedo.

    per Luca Massaro:
    non sapevo: grazie per la segnalazione, che mi appare come una conferma.
    Stai bene.
    Ghino La Ganga

    per quattrocani:
    certo che il mio è un sms poco studiato, poco approfondito e ben poco riflessivo : che pretendeva, l'esegesi degli studi di Tortorella sulle riforme istituzionali?
    Se dunque Lei è contento di aver lodato il vivente Berlinguer, sarà ancor più felice di constatare come il Civati lo consideri da morto un santo completo.
    Il fatto che un superficiale come me trovi il tutto grottesco dovrebbe lasciarla indifferente: sia dunque felice per le Sue battaglie a pugno chiuso, mantenga le Sue convinzioni e - soprattutto - stia bene.
    Ghino La Ganga

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    1. No, non pretendevo alcuna dotta esegesi, forse solo un minimo di motivazione per tanta aggressività. Ma l'ermeneutica anskijeghinica di Malvino applicata al suo "cazzo di cane" mi ricorda, non so perché, Umberto Eco:
      "Lo sai che i papaveri son alti alti alti" ("...la poesia italiana si rifugia nel divertimento georgico e didascalico...)
      "E' primavera - svegliatevi bambine - alle cascine messer Aprile fa il rubacuor" (...in cui è chiara la derivazione dai riti di vegetazione, lo spirito della primavera e il sacrificio umano, forse un cuore di fanciulla offerto alla divinità fecondatrice...").
      "E' morto un bischero - all'ospedale - senza le bale - senza cojon" ("...si riconosce la Jota spagnola e quindi la traduzione incompleta di una poesia iberica...").
      Giovinezza, giovinezza - primavera di bellezza ("...le cui dolcissime parole ci evocano l'immagine di fanciulle avvolte in bianchi veli, danzanti nel plenilunio di qualche magico pervigilium...")
      Ogni tempo e ogni persona ha i suoi miti: oggi pare inevitabile la santificazione di Giorgio Gaber, magari fra trent'anni lo sarà quella di Ghino La Ganga. Probabilmente non ci sarò ma nel caso ci arrivassi le prometto che non troverò il tutto grottesco.

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