Com’era
possibile scrivere una storia delle paranoie di cui certi uomini politici si
servono per costruire «complotti immaginari al fine di mascherare la realtà [e]
occultare le responsabilità personali» (pag. 9), lasciando fuori quella di quel
«piccolo ma pugnace partito ridotto a setta osannante il capo» (pag. 75) che da
decenni è solito «attribuire al complotto dei media i fallimenti delle sue
iniziative politiche» (pag. 68)? E com’era possibile lasciar fuori l’ultima
paranoia, quella che informa la teoria della trattativa Stato-Mafia, senza
affidare il capitolo a chi nella rassegna stampa che tiene quotidianamente a
Radio Radicale da sempre è il suo più acuto critico? Com’era possibile mettere
insieme le due cose senza incresciosi infortuni? La soluzione pare segnata da
un pochino d’ansia, visto che il volume riporta l’avvertenza in capo (pag. 4) e
in coda (pag. 207), ma i due autori sono persone che sanno il fatto loro.
Ottimo libro, lo consiglio a tutti.
Ho una domanda però. Avendo il sottoscritto una visione della politica decisamente bismarckiana (oggi si direbbe 'alla House of Cards') ritengo sia normale in situazioni di emergenza trattare a livello semi ufficiale con chi dovrebbe essere escluso dalle trattative. Altrimenti non esisterebbero i servizi segreti interni. L'ortodossia è una bellissima cosa fino al momento in cui la realtà ti pianta la mazzata sui denti.
RispondiEliminaLei si riconosce in 1)nessun elemento dello Stato (che lavorava per lo Stato) ebbe nessun contatto con nessun elemento della criminalità organizzata 2)bisognava finirla con le stragi, per cui proporre un cessate il fuoco era necessario 3)facciamo una bella mangiata di gruppo e liberiamoci di qualche giudice scassaballe.
La 3) penso di escluderla, mica deve vendere i libri di Travaglio, rimangono le prime due oppure una 4) che non mi viene in mente?
In generale, penso anch'io, come te, che "sia normale in situazioni di emergenza trattare a livello semiufficiale con chi dovrebbe essere escluso dalle trattative". Nello specifico, faccio mie le opinioni di Massimo Bordin: "Non si vuole qui sostenere che sul torbido e cruento periodo vissuto dal nostro Paese nella transizione fra la prima e la cosiddetta seconda Repubblica tutto sia chiaro e non ci sia bisogno di indagini ed eventualmente processi. [...] Ed è inammissibile prescindere dalla capacità di penetrazione della mafia nella società e dunque anche nella politica. [...] La mafia esiste davvero, così come esistono i suoi rapporti con la politica e la società. Dunque il processo di Palermo non può essere preso come un prototipo di deteriore teoria del complotto sulla base del suo oggetto. Il problema sta sullo svolgimento del tema, nel modo in cui l'interpretazione dei fatti viene piegata a un'ipotesi. Nel fare questa operazione l'inchiesta [...] finisce per adottare procedimenti logici propri delle teorie complottistiche pur di arrivare al risultato che si prefigge".
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