Volevo
scherzare un po’ sulla faccenda confezionando uno di quei video della durata di
uno o due minuti ai quali mi lascio andare di tanto in tanto, ma poi ci ho
ripensato e ho buttato nel cestino tutto il materiale, salvando solo un fotogramma,
quello che ho riprodotto qui sopra. La faccenda nasce dall’Ansa Magazine #49 dello scorso 17 febbraio, a firma di Michela
Suglia, dal titolo Li accarezzava come
figli (Viaggio tra libri e cimeli del fondo Fallaci), e in particolare dall’intervista
al bibliotecario della Pontificia Università Lateranense, depositaria del
lascito che Oriana Fallaci ha espressamente destinato a quell’ateneo prima di
morire: «li accarezzava come figli» è
frase che esce di bocca proprio a lui e, almeno nel contesto in cui è
pronunciata, sembra che abbia a oggetto tutti i volumi della biblioteca della
scrittrice.
Ora non è che io voglia mettere in discussione l’amore che la
Fallaci potesse realmente avere per quei libri, ma credo che considerasse figli
solo quelli scritti da lei, peraltro presenti in diverse traduzioni tra i 627
volumi del fondo, sicché è lecito pensare che quelli di altri autori non superino i 500-550. L’espressione, d’altronde, torna in due interviste del 1990 e
del 1991 che è facile trovare su Youtube e in cui la scrittrice racconta, più o meno con le stesse parole, di come abbia inizialmente perso tempo prezioso nella sua lotta contro il cancro per dedicarsi alla traduzione
in inglese del suo Insciallah, ma che
non se ne pente, perché «tra me e i miei
libri c’è un rapporto materno e, tra la propria salute e quella del proprio
figlio, quale madre non sceglie la salute del proprio figlio?». Possibile
che tale affetto fosse pari a quello riservato ai libri di cui era in possesso
e di cui non era autrice? Non si può escludere, ma è più verosimile che la
Fallaci abbia espresso lo stesso concetto anche al bibliotecario della
Lateranense e che questi abbia equivocato l’affermazione come estesa a tutti i
volumi della sua biblioteca.
Sia lecito stupirci, en passant, del fatto che
fossero assai meno di quanti ci saremmo aspettati in possesso di chi posava a
vestale della civiltà giudaicocristiana. Neppure sulla qualità dei volumi, poi, sembra si possano rilevare elementi notevoli, se il volume più prezioso è una
malconcia copia del Delle rivoluzioni d’Italia
di Carlo Denina, per giunta in un’edizione posteriore alla morte dell’autore.
Il valore del lascito, insomma, sembra tutto e solo nel fatto che questi libri
siano stati di proprietà della Fallaci, e che qualcuno rechi qualche nota
autografa, qualche altro un post-it a far da segnalibro. Il sospetto è che si
voglia accrescerne il pregio spacciandoli come figli, mentre dei veri figli erano
tutt’al più compagni di scaffale.
senza dimenticare questo:
RispondiElimina«Oriana stava ormai male, tossiva continuamente. La convinsi a farsi visitare allo Sloan Kettering, il maggiore istituto per la cura dei tumori del mondo. Non fu facile ottenere l’appuntamento; ma una bella mattina di una bellissima giornata andai a prenderla a casa e andammo a piedi allo Sloan Kettering. Lì, come per tutti, un segretario le presentò un lungo questionario da compilare. Oriana si infuriò (“Io sono Oriana Fallaci, non un paziente qualsiasi”) e si presentò al luminare con il questionario in bianco; e lui, tempo un minuto, la rimandò a casa. Oriana tornò allo Sloan circa un anno dopo, ma era troppo tardi»
Giovanni Sartori, Corriere della Sera, 25.8.2010
http://malvinodue.blogspot.it/2010/08/io-sono-oriana-fallaci-non-un-paziente.html
Eliminasì, sempre Malvino!
EliminaMah..
RispondiEliminaMe viene in mente quelle professoresse zitelle che nun c' hanno figli e dicono ai loro studenti: "Voi siete i miei figli !".
'Na tragedia...