È
il suo libro migliore, davvero molto bello, a tratti commovente, ma d’una
commozione mai umida, mai ruffiana. Alla scrittura, da sempre d’ottima qualità,
qui s’unisce la materia, ricchissima, estremamente varia, sapientemente
ricomposta. Come per ogni autobiografia, e anche questa non fa certo eccezione,
si potrebbe, volendo, star lì a perdere un’infinità di tempo a dissezionare e a
catalogare reticenze che velano e iperboli che sparacchiano, ma la compiutezza
del narrato fa passare la voglia: Massimo Fini si racconta e si fa prendere
sulla parola. Una pessima copertina, occorre dire. Un sottotitolo fin troppo
indisponente, che scimmiotta – chissà se ironicamente o no – lo Zarathustra
nietzschiano, e dunque è civettuosamente depistante. Un indice dei nomi, poi, che in fondo a un’autobiografia sta sempre troppo come a piedistallo. Tolto questo, un libro eccezionale. Complimenti. E grazie.
Piuttosto che leggere Massimo Fini, il relativizzatore non delle religioni o di altri ameni "assolutismi" ( la cui relativizzzione sarebbe opera buona e giusta) , ma dei diritti umani fondamentali; quelli per esser chiari della dichiarazione UNIVERSALE 10 Dicembre 1948, mi faccio togliere un rene e lo dono a un combattente curdo ferito in battaglia
RispondiEliminaAlessandro Riccio
Mi è piaciuto, anche se lo direi un libro di un sedotto più che di un seduttore. Zagreo
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