Giunge
a termine l’indagine sulle apparizioni della Madonna a Medjugorje,
che Ratzinger aveva affidato nel 2010 ad una commissione presieduta
da Ruini, e da un passaggio di un’omelia tenuta in Santa Marta
qualche giorno fa pare che Bergoglio, cui spetta prendere una
decisione che sciolga i dubbi sull’attendibilità dei veggenti, sia
intenzionato a negar loro ogni credito. Anche se la Madonna di
Medjugorje non si è mai fatta scappare la ben che minima
affermazione che fosse discutibile sul piano teologico o su quello
dottrinario nei messaggi consegnati ai veggenti in questi ultimi
trentaquattr’anni – la prima apparizione risale al 1981 – era
prevedibile che questa dovesse essere la più naturale conclusione
della controversa questione che a lungo ha imbarazzato la Chiesa di
Roma, tra il timore di avallare quella che potesse da un momento
all’altro rivelarsi come impostura, con catastrofica ricaduta, e la
tentazione di continuare a sfruttare quanto più possibile quella che
nel tempo è diventata una fonte di devozione mariana d’un ordine
di grandezza inferiore solo a Lourdes e a Fatima, sorvolando
sull’indotto. Non mancherà modo, col tempo, di costruire uno di
quei deliziosi artifici logici, in cui la Chiesa di Roma è
insuperabile maestra, che preservi a Medjugorje la dimensione di
santuario, pur negandole l’attestazione di luogo in cui sia apparsa
la Madonna (si pensi alla brillante trovata di trasformare la Sindone
da «reliquia» a «icona», senza perderci né un
soldo né un devoto), ma al momento occorreva trovare una soluzione
che evitasse le rovinose conseguenze di un possibile incidente: le
apparizioni duravano da troppo tempo, non c’era modo di avere un
pieno controllo del fenomeno, i veggenti si erano trasformati in
imprenditori della filiera mistica, la soluzione più prudente era
quella di metterci una pezza, tanto meglio se della stoffa con la
quale Bergoglio si è confezionato il suo abito di prete tutto opere
e zero trasfigurazioni.
Una
notiziola, tutto sommato, buona a ricamarci sopra solo il pezzo di
colore sulla rettocolite ulcerosa che le parole di Bergoglio
causeranno a Brosio e a Socci, almeno così pare da quanto i nostri
vaticanisti sono riusciti a tirar fuori dalla faccenda, fatta
eccezione per quei due o tre che si danno arie da bignamino e che
comunque non sono riusciti ad andare oltre la solita logora solfa
sulle forme della religiosità popolare rimasticando le lezioni di
Dulles, Metz, De Rosa, Di Nola, ecc. Nessun sorcio che abbia ritenuto
utile spiegare ai propri lettori quale fosse il senso di
un’apparizione della Madonna, nel 1981, a Medjugorje. Vero è che
si dovevano ripercorrere sei secoli di storia, ma almeno si poteva
fare un tentativo. Proverò a farlo io.
Tutto
prende le mosse negli ultimi decenni del XIV secolo, quando a
Gregorio XI, ultimo dei papi che terrà sede ad Avignone, viene la
brillante idea di dare all’Ordine francescano un ruolo di peso
nella regione di Mostar in Erzegovina, allo scopo di creare nella
zona una struttura diocesana che assicuri alla Chiesa un vescovo di
nomina romana che costituisca un saldo presidio in quella turbolenta
area dei Balcani. Brillante idea per modo di dire, perché, volendo,
c’era da attendersi che un Ordine come quello francescano, teso fin
dalle origini a darsi il massimo di autonomia di struttura e di
modello pastorale, non fosse il miglior strumento per quel fine. Ad
accentuare ulteriormente questa propensione, che potremmo dire
naturale nell’Ordine francescano, ecco che intorno alla metà del
XV secolo la dominazione ottomana arriva fino all’Erzegovina e
chiude il cordone ombelicale che ancora nutriva l’Ordine del
mandato romano. I francescani pagano l’imposta che la Sublime Porta
pretende dagli infedeli perché questi possano continuare a vivere
dove si trovano senza doversi convertire all’islam e fino alla
caduta dell’Impero ottomano, che ci sarà solo quattro secoli dopo,
godono della perfetta indipendenza da Roma, come incistati in una
enclave. I guai cominciano nel 1878, quando l’Erzegovina passa
sotto il controllo del cattolicissimo Impero austro-ungarico, dal
quale la Chiesa di Roma ottiene il favore di costruire una rete
diocesana che presto viene in attrito con quella che di fatto ne
diventa un duplicato. I dissapori diventano presto roventi, ma solo
nel 1923, e con un calcolo che ancora una volta rivela infelice, la
Santa Sede arriva ad una ricomposizione della controversia, con la
concessione della gestione delle parrocchie all’Ordine francescano,
che da parte sua dovrà impegnarsi al reclutamento e alla formazione
del clero diocesano. Calcolo infelice, perché per chi era radicato
in quella terra da secoli diventava fin troppo facile coltivarsi
un’ecclesiologia tutta particolare: nazionale, anzi nazionalista,
come si ebbe modo di constatare quanto gli ustascia filonazisti di
Ante Pavelic trovarono nei francescani degli entusiastici
sostenitori. Tutto era destinato a capovolgersi con la riunificazione
delle etnie balcaniche nella Yugoslavia di Tito, che non fece troppe
differenze tra preti romani e frati erzegovini, e rese vita difficile
agli uni e agli altri. Col Concilio Vaticano II il regime divenne
meno arcigno, fino ad addivenire ad un accordo con il Vaticano che
avrebbe potuto, in via teorica, mettere fine alla contesa tra Roma e
i francescani, nel senso che Tito assicurava a Paolo VI, nel 1975, il
pieno riconoscimento dell’autorità romana sull’equivalente
diocesano del territorio di Mostar-Duvno. In via teorica, perché
l’accordo fece incassare a Tito le simpatie della borghesia
cattolica cittadina, ma fece incassare a Roma il risentimento della
vasta comunità di cattolici delle aree rurali, che si strinsero
ancora di più ai francescani, considerati vittime del cinico
contratto tra papisti e marxisti. Invece che sanarsi nella piena
presa di potere dell’autorità papale su quei territori, il
contrasto si accentuò fino a episodi di franca ostilità, con
qualche vampata di violenza, che ben presto portò i preti di Roma a
lasciare le parrocchie in mano ai frati francescani. Situazione
insostenibile per il Vaticano, che arrivò a sospendere il superiore
dell’Ordine francescano della provincia, senza per questo riportare
il grosso del gregge sotto la ferula del vescovo.
È
questo il clima in cui i francescani vanno preparando la
controffensiva che prende la forma di una deriva mistica, diffondendo
l’attesa di un segno straordinario, che non potrà non mancare.
Niente di nuovo, il misticismo è sempre stata un’arma potentissima
in mano a chi volesse costringere Roma a mitigare le sue prerogative
temporali, d’altronde cos’è che meglio ridimensiona le decisioni
del clero se non un messaggio che Dio affida ad un bambino innocente,
ad un eremita che vive di preghiera e rinuncia, a chi nella clausura
dà prova manifesta del suo disinteresse per tutto ciò che è
mondano? Se poi il mistico riesce a far folla, e folla fervente, come
gli si può negare almeno un minimo di attenzione, fosse solo
nell’attesa di verificare se il suo seguito cresce o si disperde,
dando al tempo dell’attesa la forma del monitoraggio di ciò che
potrebbe tornare utile come evento straordinario?
Questa
è stata Medjugorje, fino a qualche giorno fa. I veggenti,
trentaquattr’anni fa bimbetti, son diventati adulti. Se avevano una
logica in una delicata partita geopolitica, oggi l’hanno ridotta ad
un inservibile rituale del quale si può pure fare a meno, peraltro
ai francescani tornano utili solo come attrazione turistica, che non
è poco, ma neanche è tutto. È che probabilmente Medjugorje ha
fallito proprio per l’enorme fortuna che ha avuto. Nel farsi,
l’evento ha smarrito il fine per il quale gli si era dato senso,
superfetando in mezzo sempre più fine a se stesso. A spegnerlo ci
voleva poco, e non a caso sarà stato proprio per questo che a
presidente della commissione di indagine è stato messo un politico
come Ruini. A chi meglio di lui poteva tornare esatto il calcolo di
quanta utilità e di quanto rischio fosse prevedibile attendersi da
una Madonna ormai tanto anodina che al suo confronto diventava più
eloquente pure una macchia di umidità con le sembianze di Padre Pio?
Quante cose ho imparato da questo post. Grazie!
RispondiEliminae nel caso avresti chiuso il blog! avremmo messo al rogo il garante †
RispondiEliminaInteressante la storia di come si è giunti ad inventare l'ennesima apparizione. Incredibile invece che la gente possa continuare a digerire con convinzione questa merda
RispondiEliminaQuesta mi mancava completamente, grazie mille. E io che pensavo di avere visto il massimo della paraculaggine francescana in Bolivia, quando il meglio stava vicino a casa.
RispondiEliminaMi associo ad Olympe. Post notevole. Passar di qua è indispensabile.
RispondiEliminaStia bene.
Ghino La Ganga
Applausi a scena aperta per Malvino, ricostruzione veramente interessante
RispondiEliminaFabry82
e ora che fine farà Radio Maria? Ogni tanto mi diverte ascoltare le lezioni di esorcismo di Padre Amorth. Da appassionato di film horror, si intende...
RispondiEliminaArticolo istruttivo e da incorniciare. Mi stia bene, dott. Castaldi.
RispondiEliminaBene. Ma a questo punto due parole pure su SanGennarobbell', che sanguina a intervalli regolari?
RispondiElimina[http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-napoli-39932/]