Quando
ho saputo che Mario Calabresi passava dalla direzione de La Stampa
a quella de la Repubblica, ho
pensato a quella volta che Graziano Delrio fu pizzicato mentre usciva
dalla residenza romana di Carlo De Benedetti. Silvio Berlusconi era
ormai un uomo finito e il giornale che lo aveva combattuto per
vent’anni
non aveva più senso, doveva tornare di altra utilità, e con Matteo
Renzi al governo la sua conduzione doveva cambiare mano. Chi era il
più renziano dei direttori sulla piazza? Mario Calabresi. Del tutto
irrilevante che lo fosse perché stregato dalle strabilianti virtù
del Rottamatore o perché è così che voleva Sergio Marchionne: ora
che la Repubblica
doveva cambiare linea, Mario Calabresi era l’uomo
giusto a Largo Fochetti.
Scelta che può dirsi più che azzeccata,
basta prendere in mano il numero mandato oggi in edicola: la notizia
che tutti gli altri quotidiani mettono in prima pagina – la pessima
accoglienza che Napoli ha riservato al Presidente del Consiglio – scivola dopo
il caso Vespa-Riina. Al primo colpo di vanga col quale Matteo Renzi
comincia a scavare la sua fossa corrisponde l’ultimo col quale può
dirsi definitivamente seppellito il giornale-partito di Eugenio
Scalfari: intatta resta solo la testata, e tanto basta a Enrico
Porro, che da anni cura il blog Pazzo per Repubblica,
per continuare a esserne un fan, senza neppure riuscire a cogliere la
strana gerarchia che oggi è data alle notizie.
È proprio vero: la
lettura dei giornali è la preghiera del laico, ma a forza di
recitare il rosario tutte le mattine si finisce per perdere il senso
delle parole che fanno l’Ave
Maria. Più sei fedele ad un quotidiano, meno riesci a coglierne gli
scarti, neppure più t’accorgi
delle inversioni a U.
Ho smesso di pregare anche da laico.
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