V. Quanto
fin qui detto ci consente alcune considerazioni che altrimenti
sarebbero suonate apodittiche: (1) non si può avere degrado del
termine ad accezione senza che (prima che) l’avvento della società
di massa abbia mutato la natura del foro in cui erano abitualmente
messe in campo le tradizionali armi della persuasione assicurate
dalla retorica (il propagandum
può perdere definitivamente – irreversibilmente – il suo valore
neutro, per implicare necessariamente la diffusione di «grossolane
deformazioni o falsificazioni di notizie o dati»,
solo in un contesto che consenta di indurre processi regressivi, con
l’impiego di mezzi adeguati a ottenere una diffusione ampia e
veloce, in un uditorio con i caratteri di massa); (2) nell’accezione
così acquisita, la propaganda non perde del tutto il significato del
termine (resta l’«azione
intesa a conquistare il favore o l’adesione
di un pubblico sempre più vasto»),
ma ciò che le serviva a tal scopo («ogni
mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul
comportamento delle masse»)
annulla ogni differenza formale tra persuasione e suggestione; (3)
con ciò la propaganda diventa un’arma eminentemente disonesta e
subdola, che perciò può essere utilizzata solo dal nemico, a dar
conferma della sua malvagità (è un’arma che mira a rafforzare il
consenso nel suo campo e a seminare dissenso in quello avverso); (4)
giacché ogni massa è disomogenea (nei suoi vari settori presenta un
diverso grado di resistenza all’induzione della regressione),
l’efficacia della propaganda (che, degradata ad accezione, abbiamo
detto poter essere impiegata solo dal nemico) si misura sui risultati
del consenso che il nemico ottiene nel proprio campo e del dissenso
che ottiene in quello avverso; (5) l’efficacia della propaganda
(che – occorre ripetere – è solo quella del nemico, una volta
che il termine è stato degradato ad accezione) ha una duplice
valenza: (5') segnala quanta regressione il nemico è in grado di
indurre nel proprio campo (consentendo così di poter considerare
vittime della sua arma quanti in quel campo lo appoggiano); (5'') dà
ragione di quante vittime è in grado di causare in quello avverso,
dove però, anche se considerate tali, acquistano il ruolo di nemico
interno.
Anche
se non esplicitate in questi termini, tali considerazioni paiono già
rintracciabili in un articolo che un altro psicoanalista, Ernst Kris,
scrive appena poche settimane dopo quello di Roger Money-Kyrle: ha
per titolo Il
“pericolo” della propaganda (ne
Gli
scritti di psicoanalisi,
Boringhieri 1977) e anche qui può tornare utile riportarne qualche
brano.
«Se
un’affermazione è resa in forma di slogan, la forza del suo
richiamo può sopraffare quella della ragione; lo slogan richiede una
risposta emotiva».
Ci aspetteremmo che la riflessione prenda una piega metapsicologica
per analizzare i meccanismi grazie ai quali una locuzione o una frase
riescono a far breccia nella struttura psichica di un soggetto, e
invece Kris procede a questo modo: «Lo
slogan del “pericolo della propaganda” ha, effettivamente, dato
vita a risposte di questo genere, la più tipica delle quali è
“attenti alla propaganda”».
Anche qui si indotti a un fraintendimento: Kris sta forse cercando di
farci credere che considerare un pericolo la propaganda sia dovuto a
un moto irrazionale quanto quello che la rende efficace? Ancora una
volta siamo smentiti: «Discuterò
in seguito una simile risposta. Per il momento vorrei trasformare lo
slogan in affermazione e chiedermi che cosa la gente abbia in mente
quando dice che la propaganda è pericolosa».
Dove sta il “pericolo”? «Non
tutti coloro che fanno questa affermazione si riferiscono allo stesso
pericolo, [perché]
generalmente vogliono dire che solo la propaganda dei loro oppositori
è pericolosa».
Ecco – insieme – recuperato il significato originario del termine
e denunciata la natura del suo degrado ad accezione. Ma in cosa
consiste, questo pericolo? A cosa ci si riferisce quando si afferma che
la propaganda è un pericolo? «Al
fatto che l’uomo è suggestionabile; alla tecnica escogitata per
trarre vantaggio da questo fatto; ai gruppi di pressione che usano
questa tecnica».
Qui
possiamo saltare a pie’ pari la lunga parte dell’articolo
dedicata alle cause della suggestionabilità umana (anche se può
essere utile rilevare il punto in cui si afferma che «la
linea di confine tra suggestione e persuasione è difficile da
stabilire»),
per arrivare alla risposta che ci era stata promessa: «La
gente è suggestionabile e lotta contro questo. Dall’esperienza
clinica noi conosciamo il paziente che soffre di angoscia
dell’angoscia, di paura della propria paura. Questo è assai comune
se la sua angoscia si riferisce a desideri passivi. Egli è a
conoscenza della propria passività e vive un secondo livello di
angoscia. La sua conoscenza della sua passività aumenta l’angoscia.
Noi sappiamo quanto sia difficile controllare questi stati […]
[che]
possono rendere […] il paziente più incline a qualche
gratificazione dei suoi desideri passivi. Se l’assalto
proviene da un lato che egli non stava sorvegliando, può avere
successo. In una certa misura, sembra esistere un fenomeno simile
nella sfera sociale».
E qui è interessante considerare il caso portato a esempio.
«La
fobia della propaganda dei primi mesi di questa guerra negli Stati
Uniti [ripetiamo:
l’articolo
è del 1941] non
ha protetto la gente dalla propaganda stessa, anzi l’ha
resa più accessibile a un certo tipo di propaganda: il movimento
antipropaganda è diventato propaganda esso stesso. Come sempre,
però, il desiderio del pubblico di accettare la propaganda di questi
antipropagandisti era ben fondato in qualcosa che ha la natura di un
interesse dell’Io:
la gente voleva restare fuori dalla guerra e voleva essere sottoposta
alla propaganda, e così la fobia della propaganda si sviluppò in un
movimento propagandistico. […] Non sembra esserci ragione di
credere che […] la paura della suggestionabilità e della
propaganda abbia mai funzionato come una vaccinazione. Al contrario,
[…] questa paura paralizza una risposta attiva alla pressione della
propaganda. Questa risposta attiva non è altro che l’essere
preparati in qualunque momento a contrapporre la propria opinione a
quella del propagandista».
In sostanza, suonare l’allerta
per la minaccia posta dalla diffusione di «grossolane
deformazioni o falsificazioni di notizie o dati» ad
opera del nemico (la propaganda pienamente degradata ad accezione)
ottiene il fine di rendere più vulnerabile «la
gente»
del proprio campo a «un
certo tipo di propaganda»,
che sempre propaganda è (nel senso che l’accezione
dà al termine), ma che rifiuta di definirsi tale: la fobia della
propaganda nemica è funzionale a rendere efficace la propaganda
amica, nel contempo rigettando il sospetto che anch’essa diffonda «grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati»; di più, rendendolo colpevole, come indizio di intelligenza col nemico.
.
[segue]
scusi, Malvino, potrebbe chiarire i rapporti tra propaganda e regressione ? In particolare perché ad un certo punto si sente il bisogno di spiegare l'effetto della propaganda con il meccanismo della regressione ? Che l'essere umano sia suggestionabile non dovrebbe stupire. Non pensa che anche questo bisogno di spiegazione derivi in fondo dal fatto che non sia più possibile esercitarne il monopolio ?
RispondiEliminaLa psicoanalisi nasce col dichiarato proposito di superare le pratiche di suggestione (ipnotica), figurarsi volerne avere il monopolio. Il transfert non ha per fine il dare allo psicoanalista un ruolo pedagogico: lo psicoanalista non indica vie. La psicoanalisi nasce per far sì che "dov'è l'Es, lì sarò l'Io", come dice Freud: è proprio il contrario del processo regressivo, che rende vulnerabili alla suggestione (e al gregarismo). Nello stato regressivo si riedita lo stato di minorità e di dipendenza dalle figure che incarnano l'autorità, l'autorità che - insieme - protegge e minaccia, nutre e uccide, l'autorità che vuole supini e obbedienti, ricettivi senza opporre alcuna resistenza. "Regredisci", dice l'autorità, e poi: "Credimi, io sono la Verità".
Eliminagrazie della risposta, ma mi sono reso conto di non essermi spiegato bene. Non volevo discutere del ruolo e dei metodi della psicanalisi in generale, mi chiedevo perché mai, ad un certo punto, sia stato ritenuto opportuno applicare questi metodi alla suggestione esercitata dalla propaganda. In altre parole: perché e a partire da quando si è cominciato a considerare tale suggestione come qualcosa di patologico ?
EliminaPerché la suggestione è seduzione, nel senso etimologico del termine: è un condurre-a-sé, un catturare, anche qui nel senso etimologico, è un rendere captivum, prigioniero, privato della libertà. Si è cominciato a considerare la suggestione in questo modo quando la psicoanalisi ha preso a decostruire gli assi di relazione interpersonale, rilevandone la natura profonda. Da quel momento in poi è diventato legittimo un distinguo tra persuadere e convincere, anche se il discuterne si è spostato in altro ambito, quello della retorica tornata ad essere strumento della logica argomentativa (https://malvinodue.blogspot.com/2019/02/persuadere-e-convincere.html).
Eliminache fai? fanculo agli africani o fanculo a odessa. Quando la propaganda cortocircuita: sei un genio, solo se non ti mondi la testa, con dell'alloro. Alla torta permettimi di aggiungere il bignè: dopo aver sminato, con calma, ilPost ci ricorda che: "e se il grano non verrà esportato in tempi rapidi rischierà di marcire e risultare inutilizzabile": e fanculo a tutti.
RispondiEliminaMB
Qui il 'nemico', man mano che si va avanti a razionalizzare, diventa sempre più astuto e criminale, addirittura anche l'amico può diventare complice del nemico. Risulta sempre più evidente che il ruolo di intellettuali e professionisti è centrale. Accade infatti qualcosa di strano, come ti sarà capitato, soprattutto per quanto concerne scambi con persone con elevato grado di istruzione: se ti hanno già etichettato tra i cattivi (magari solo per un vizio di forma, per convenzioni) pensano che il tuo discorso sia comunque costruito per fregarli indipendentemente dall'argomentazione e da ciò che dici, spesso si conclude con fallacie di vario genere, o con uscite irrazionali, e a rimanere è una paranoia a priori: la paura che il dialogo porti a conclusioni imprevedibili e inaccettabili dal punto di vista morale (non so perché ho poi come la sensazione che 'ideologico' sia invece miseramente finito in 'morale'). Soprattutto per temi il cui grado di indeterminatezza e complessità è alto, tipo l'educazione. Tutte dinamiche già toccate da Socrate e Platone
RispondiEliminaQuindi non ci potrebbe essere qualcosa prima? cioè la predisposizione al dialogo, una sorta di fiducia accordata prima degli argomenti, con tutti i rischi che questo comporta poi nel trattare gli argomenti. O altrimenti diventa setta (paradossalmente più fragile in cui è sufficiente dire sempre di si e il gioco è fatto). Cioè quello che converrebbe chiedersi a questo punto è anche: quale sia l'angoscia e la paura del 'nemico', perché a volte la spersonalizzazione funzionale alla propaganda porta a concepire un'entità malvagia irreale
MB