VI. Per
quale ragione è solo con la II guerra mondiale che il termine
propaganda
perde del tutto il significato che sta nel suo etimo (dove ciò che
occorre pro-pagere
ha
valore neutro) e acquista quello che implica esclusivamente la
pratica di diffondere «grossolane
deformazioni o falsificazioni di notizie o dati» (con
ciò diventando arma disonesta usata solo dal nemico)? Credo che la
risposta stia nel fatto che con la II guerra mondiale i regimi
cosiddetti liberaldemocratici sono stati costretti a confrontarsi con
quelli cosiddetti totalitari, a riconoscere che gli strumenti di
reclutamento ideologico erano sostanzialmente simili (necessariamente
simili, potremmo concedere, nell’ottica
della logica bellica, dove il fine della vittoria non lascia spazio a
scrupoli morali sui mezzi da impiegare) e a doverlo negare (dove con
negare qui è da intendere il processo col quale in psicoanalisi si
fa riferimento a quel meccanismo di difesa col quale l’inconscio
opera una distorsione della realtà finalizzata a neutralizzare i
suoi aspetti spiacevoli e dolorosi; trattandosi di una negazione che
opera sul piano lessicale, spezzando la relazione tra significante e
significato, si potrebbe più congruamente parlare di forclusione).
Traggo
questa conclusione dal tentativo, vedremo quanto fallimentare, di far
distinzione tra una «propaganda
democratica»
e una «propaganda
totalitaria»,
«propaganda
buona e propaganda cattiva»,
sulla base dell’assunto
che «i
metodi usati per influenzare l’opinione
pubblica sono strettamente legati al sistema di governo».
I corsivi sono tratti da un articolo di Ernst Kris che segue di pochi
mesi quello già citato, e che ha per titolo Alcuni
problemi della propaganda di guerra: note sulla propaganda nuova e
vecchia,
anch’esso
contenuto nel volume edito dalla Boringhieri (Gli
scritti di psicoanalisi,
1977); ed è lo stesso Kris a dimostrarci quanto sia fallimentare
questo tentativo, che pure è speso «senza
fingere un distacco che non pretend[e]
di
avere»
e nella consapevolezza che «in
ogni società esiste qualche mezzo di controllo sociale di questa
natura che stabilisce un contatto tra i capi responsabili e la
collettività»,
che «la
situazione dell’“essere
in guerra” è una situazione che tende a stigmatizzare ogni
comunicazione di questo tipo»,
che di qui e di lì dal fronte c’è
un «alto
grado di uniformità della propaganda di guerra»,
di qui e di lì dal fronte ultimativamente riducibile all’«argomento
“la nostra causa è giusta, noi vinceremo”».
Quale
sarebbe, allora, la differenza tra la «propaganda
democratica»
e la «propaganda
totalitaria»,
tra «propaganda
buona e propaganda cattiva»?
«La
propaganda totalitaria è chiaramente basata sull’assunto
che il messaggio del capo dovrebbe essere totalmente “accettato
come ideale dell’Io”
e l’identificazione
dovrebbe aver luogo nel Super-io. La propaganda democratica, al
contrario, è basata su un concetto in cui si distribuiscono più
pianamente due tipi di identificazione: una nel Super-io e una
dell’Io».
Come ci è data plasticamente questa differenza? «Se
uno dei capi totalitari si indirizza al suo popolo, regolarmente egli
parla in un’adunanza
di massa
[il che indurrebbe una condizione di suggestione ipnotica]
[…] [Al
contrario]
i capi democratici parlano stando seduti nel loro studio. Si
rivolgono agli individui della loro nazione, i loro discorsi sono
“quattro chiacchiere in famiglia, intorno al focolare domestico”.
Non esiste una differenza di prestigio o potere, ma una differenza di
responsabilità tra l’oratore
e l’ascoltatore,
al quale è lasciato di soppesare, verificare e riflettere».
L’articolo,
occorre rammentare, è del 1941: torna utile, oggi, ammesso che lo
fosse allora, a dimostrarci che la propaganda totalitaria è cattiva
e quella democratica è buona? Ammesso che torni utile, c’è
da constatare che con ciò la propaganda buona non è più efficace
di quella cattiva, al punto che è lo stesso Kris a segnalare che in
campo democratico ci sono molti ad essere «favorevoli
a un’intensificazione
della propaganda, all’uso
di tutti i mezzi possibili della pubblicità per creare entusiasmo: i
più radicali tra di essi sostengono che i metodi adottati dai
nazisti sono i migliori possibili».
Si è nel torto a credere che costoro, oggi, abbiano vinto?
[segue]
Una volta stabilito il significato e funzionamento di propaganda sarà necessario comprendere appunto i mezzi di diffusione, perché potrebbero forse cambiare la natura stessa di propaganda. E i mezzi tecnici sono cambiati, e parecchio, e stabilire quali dinamiche rimangano però immutate
RispondiEliminaper fare solo un esempio: le ultime due elezioni in USA sono state decise da società tipo Cambridge Analytica, una dinamica che secondo me non è stata studiata fino in fondo, non si tratta solo di analisi ma anche di una nuova fase di spostamento proattivo del consenso
MB
Pero' scusi, lei che sembra essere un esperto molto autorevole nonche' abilissimo nel rinvenire queste trame non puo' tenerci cosi' sulle spine - quando afferma "societa' tipo Cambridge Analytica" si sforzi e ci faccia i nomi di quelle che effettivamente hanno inquinato le elezioni, sono informazioni utilissime e se non oserei dire decisive, per esempio per le indagini che sta svolgendo la Commissione inquirente sui moti patriottici del 6 Gennaio.
EliminaPerò però scusi un corno, si parla proprio di retorica e sa che ho un debole per i complimenti, soprattuto se sarcastici. Sullo scandalo Cambridge Analytica hanno parlato praticamente tutti i giornali, i nomi sono Cambridge Analytica e Facebook. I moti patriottici riguardano centinaia o migliaia di individui con Cambridge Analytica parliamo di decine di milioni di persone (su una platea totale di 530 milioni): quattro ordini di grandezza. Non è questione di tifo anti qualcuno o per quell'altro ma semplicemente lo stato dell'arte della tecnica e della propaganda, che vale per tutti, che gradualmente ha preso il posto della democrazia.
EliminaLa questione posta a Malvino è come cambia la propaganda al variare del mezzo di diffusione, una questione non banale.
MB
scusi, i 530 milioni chi sarebbero?
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