Un
fondo di giacobinismo è presente in ogni populismo dal basso, ma nel
tratto peculiare che ne fa un modello dei processi di commutazione di
una democrazia in dispotismo è presente anche in quella declinazione
della post-democrazia nota come populismo dall’alto,
che al carattere disgregante del
populismo dal basso somma quello normalizzante del potere
istituzionalizzato, piegando così il malcontento degli oppressi al
disegno degli oppressori, nella logica che è tipica della
rivoluzione restauratrice, sicché potrà apparire grottesco, ma ha
una sua ratio, che in questi casi l’autoritarismo
riesca ad essere ottimamente spacciato come espressione della volontà
popolare finalmente liberata da freni ad essa posti da superflue
procedure di garanzia, che una controriforma riesca ad essere
ottimamente spacciata come riforma, che al vecchio basti un
maquillage nemmeno troppo elaborato per essere ottimamente spacciato
come il nuovo. In entrambi i casi, che il populismo sia dal basso o
dall’alto,
chi si intesta il merito dell’operazione
deve invariabilmente vestire i panni di un uomo in cui siano
rappresentati in sommo grado tutti i tratti caratteriali della platea
dalla quale aspira a raccogliere il consenso, riuscendo a dare forma di virtù a
ogni difetto che in quella cerchi aspirazione ad un avallo, accreditandosi così come mero strumento della volontà
popolare in ogni passaggio che sia contraddistinto da una resistenza
alla sua azione, sicché possa
agevolmente trovar modo di rappresentare ogni conflitto che ne possa
sorgere come il capitolo di un’epopea di liberazione. Ogni diritto
che intenderà negare a una parte della società dovrà assumere
l’aspetto di un privilegio lungamente e ingiustamente goduto da una minoranza a
scapito dell’intera collettività, in modo tale che il più
generale processo di negazione dei diritti acquisiti dall’intera
società venga diffratto in episodi che possano essere narrati come
vittorie contro caste, lobby, corporazioni, categorie che fin lì
erano riuscite a difendere i propri egoistici interessi a danno del
bene comune: ogni volta, contro ciascun settore che si intenderà
colpire si chiamerà a sostegno tutto il resto della società, reclutato contro un nemico pubblico, e non
sarà neppure necessario che la chiamata ottenga un reale sostegno
perché questo sarà sempre dichiarato solido, ancorché surrettizio, per il solo fatto che l’azione isolerà il bersaglio dell’attacco.
Di qui la necessità di non esplicitare mai nel dettaglio il progetto
di società cui si mira, ma di tenerlo invece nel vago di un felice
organicismo che può essere raggiunto solo se saranno espunti i
particolarismi che ne impediscono la realizzazione: un miraggio di
società, quindi, nella quale i conflitti siano annullati in una
generale condiscendenza, dalla quale possa sottrarsi solo chi coltivi
pulsioni antisociali, vuoi nella forma degli estremismi politici di
opposto colore, che si delegittimano per il solo fatto di avere un
colore (ideologismi), vuoi in quella della devianza morale o psichica (gufi, rosiconi, ecc.), comunque a prezzo della condanna di un senso comune incoronato a buonsenso. Giocoforza,
perché il diritto sia inteso come privilegio, il vecchio presentato
come nuovo, la critica liquidata come disfattismo, l’opposizione
come sabotaggio, l’arroganza
promossa a decisionismo, il cinismo e l’opportunismo
a metodi d’alta
politica, è opportuno che venga dispiegato tutto l’armamentario
della mistificazione semantica, che sortirà il miglior esito quanto
più i processi di formazione dell’opinione
pubblica verranno piegati al servizio del disegno populista, con l’acconcio dosaggio di minaccia e di blandizie, di furto e di mancia, di spietato ricatto e di condiscendenza complice. In ciò,
col singolare paradosso di una democrazia formale a paravento di un regime autoritario che si autolegittima come governo di salute pubblica, siamo dinanzi ad un
altro aspetto del giacobinismo: l’affermazione
della legittimità a piegare le leggi, secondo una incontestabile
logica, ad un incontestabile stato di necessità, che sul piano
semantico trova piena rispondenza nel sopruso della distorsione dei
termini più comunemente usati nel dibattito pubblico, per piegarli a
strumento di persuasione occulta. Chiunque si azzardi a segnalare e a denunciare questo sopruso dovrà aspettarsi di essere trattato almeno come con un petulante scassacazzi, se non addirittura come un guastatore della rinascita della nazione.
Io continuo a pensare che il meccanismo che descrivi bene nel finale sia la prova provata della supremazia dell'economia sulla democrazia, che poi Renzi ne approfitti e si faccia scudo di questa realtà è chiaro. Ma il primo nemico della democrazia è la tecnocrazia economica. Sarò petulante ma così è.
RispondiEliminaAmmesso e non concesso, quale sarebbe la soluzione? Rivoluzione, dittatura del proletariato, eccetera?
EliminaEh, le soluzioni. Non esistono allo stato attuale delle visioni del mondo in grado di imporsi sul primato dell'economia, l'idea di benessere si identifica prima di tutto nella disponibilità di denaro. Renzi sa che per mantenere il consenso deve puntare sulla rinascita economica, quando ci si renderà conto che non può nulla, tanti saluti e avanti il prossimo. E' il destino dell'economia che lo tiene in pugno, tiene in pugno lui come tutti gli altri che verranno. Il popolo, dal canto suo, sarebbe ben disposto a sacrificare la democrazia in cambio dei “quattrini”, questi sono i veri ideali del popolo sovrano, mica la pace nel mondo o l'elevazione del tenore civile del paese, e sulla difesa della roba Salvini ci ha costruito il suo successo elettorale. La democrazia è una scatola vuota, è appunto la forma che si presta all'interesse che via via emerge nella società.
EliminaTutto giusto, pero' appunto le leggi dell'economia reale, ovvero la disponibilità di beni e servizi (non di cartamoneta o titoli di stato, chè la carta non si mangia), prendono il sopravvento sulle leggi della democrazia, nello stesso modo in cui le leggi della termodinamica prendono il sopravvento sulle illusioni di risolvere tutto con "innovazioni" tecnologiche e scientifiche - come se i mulini a vento non esistessero già da secoli, ma mica hanno fatto miracoli. La termodinamica non si può cambiare. E ci dice che le risorse che abbiamo sono quelle, e basta. Semplicemente, cominciano a scarseggiare le risorse materiali, energetiche, lo spazio per vivere. Non ce n'è abbastanza per tutti. E chi sta in alto alla scala sociale non vuole rinunciare, e fa le leggi per togliere a chi sta sotto. Ma non si può rimediare con le leggi della democrazia, è solo questione di tempo. La popolazione aumenta, le risorse no: anzi stanno rapidamente diminuendo. E' brutto dirlo, ma nemmeno una rivolta popolare da cui scaturisse un sistema egualitario e giusto, non risolverebbe il problema. Semplicemente verrebbe spalmata la povertà in misura uguale per tutti. Un po' come nel socialismo reale, insomma.
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