«Io
credo che questo non sia un voto che riguardi il governo, ma riguardi
l’Europa...
Non è un referendum sul governo»,
così la Boschi, il 20 maggio dell’anno
scorso (*). Il mese dopo, all’Assemblea
nazionale del Pd, con alle spalle un fondale sul quale c’era
un enorme 40,8%, Renzi diceva che in quel risultato non ci
fosse
solo il buon risultato di un gruppo dirigente e del governo, ma il
rinnovo di un mandato cui allegava l’hashtag
#italiariparte
(*).
Il
voto per il Quirinale? «Non è un referendum su di me o sul governo» (*), ma questo lo scorso 26 gennaio. Poi, quando Mattarella non ha avuto neanche il tempo di prestare il giuramento, ecco che la sua elezione deve leggersi come segno che il Parlamento abbia i numeri per approvare le riforme volute dal governo e il risultato ne rilanci l’azione (*).
Oggi, alla vigilia delle Regionali, «le elezioni locali hanno valenza locale» e «il voto non è un test su di me» (*). Rammentarlo a futura memoria? Ma non diciamo sciocchezze. A un paese di merda, prima di tutto, manca la memoria. Quella a lungo termine, ma anche quella a breve.
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