mercoledì 14 novembre 2018

La quarta corda dell’ukulele. E la terza.


Coi sondaggi che già da alcuni mesi registrano un lento ma progressivo calo dei consensi al M5S rispetto al risultato uscito dalle urne il 4 marzo (siamo ormai giunti a una perdita di quasi cinque punti percentuali) è comprensibile che lo stato maggiore pentastellato attendesse coi nervi tesi come corde di ukulele (lascerei in pace il violino, che è strumento serio) lesito del processo che vedeva Virginia Raggi accusata di falso ideologico: una condanna avrebbe messo fine allesperienza capitolina nel modo più indecoroso per un movimento politico che sulla fedina penale pulita ha costruito buona parte della sua fortuna, col rischio di avviarlo a un irreversibile declino.
Prevedibile, dunque, che lassoluzione liberasse tutte le tossine accumulate nell’attesa, altrettanto prevedibile che a farne le spese dovessero essere i giornalisti che più s’erano accaniti su Virginia Raggi, arrivando al dileggio, all’insulto, alla calunnia, con ciò perdendo ogni legittimità di critica alla sua amministrazione.
La rivalsa dei grillini non si è fatta attendere: «sciacalli», «pennivendoli», «puttane», epiteti pesanti, ma solo in apparenza, perché rubricati già da tempo alla voce «giornalista» sul dizionario analogico della maldicenza.
Ancora più scontata la reazione della categoria, seconda nella solidarietà di gregge solo a quella dei tassisti. Niente di nuovo, perché così funziona, la solidarietà di gregge, almeno fino a quando si rivela efficace a proteggere il singolo senza arrecare danno al gruppo. Si pensi a quello che accadeva, fino a qualche anno fa, quando un prete era sorpreso ad incularsi un chierichetto: una cortina di martiri della fede veniva prontamente schierata a fargli da paravento, come se in pericolo fosse la tonaca, non il pedofilo che ci stava dentro, insudiciandola, e allora è stata la tonaca ad esser presa di mira e ad essere insudiciata, chiunque ci stesse dentro. Non conveniva, e la Chiesa, che sa come si sta al mondo, l’ha capito. I giornalisti italiani non ci sono ancora arrivati, e in questa occasione ne hanno dato prova: Luigi Di Maio dava dell’«infimo sciacallo» a chi non s’era risparmiato «titoloni» che «parlavano di corruzione, imminenti arresti, processo alla bambolina» per «dimostrare che il M5S era uguale agli altri»; Alessandro Di Battista dava del «pennivendolo» a quanti avevano «lanciato tonnellate di fango» addosso a Virginia Raggi, «trattandola come una sgualdrina», per concludere che la sentenza dimostrava che «le uniche puttane qui sono solo loro»; e allora via allo sdegno della corporazione tutta, con proteste vivamente risentite, allarmanti appelli in difesa della libertà di stampa, fino al grottesco di una Myrta Merlino in posa da Politkovskaja.
Un vero peccato, perché anche stavolta è andata persa l’occasione di quella seria autocritica senza la quale è impensabile che il giornalismo possa trovar modo di riacquistare anche solo un po’ della credibilità e del prestigio di cui godeva un tempo. Se, infatti, corri in difesa di un mascalzone solo perché ha in tasca un tesserino amaranto uguale al tuo, autorizzi a estendere su di te, e su chiunque corra in sua difesa insieme a te, il giudizio morale che lo condanna: l’ordine professionale te ne sarà grato, ma poi avrai più diritto di lamentarti quando si farà di tutta l’erba un fascio, e dentro, a torto o a ragione, ti ci ritroverai anche tu?

Qui il post potrebbe anche finire, però risulterebbe sbilanciato in favore del becerume grillino, e allora provo a riequilibrarlo.
«Puttane», dice Alessandro Di Battista? Non si generalizza? «Puttana» è la nigeriana da venti euro a pompino e la escort da tremila euro a notte: non è il caso di far distinzione tra l’agiato direttore e l’assai meno abbiente redattore? Vogliamo davvero ritenere irrilevante la differenza che c’è tra il battere per sopravvivere e il farlo per stipare il guardaroba di capi griffati? Non rivela una bestiale ottusità ignorare la differenza di milieu, con quanto ne consegue per il profilo psicologico e quello sociologico, tra «puttana» e «puttana»? Non è segno di inescusabile insensibilità che un Alessandro Di Battista non sappia cogliere le affinità che lo legano alla figura-tipo del giornalista italiano? Si tratta di un tizio che per lo più si è fermato al diploma o ai primi esami universitari, e di solito viene da una famiglia di ceto superiore, ma non ha i numeri o la voglia per seguire la strada dei genitori, oppure viene da una famiglia di ceto medio o basso, e col giornalismo tenta l’arrampicata verso l’alto, insomma o è un alto-borghese sfigato o un piccolo-borghese arrivista. Come può la quarta corda dell’ukulele non vibrare per simpatia con la terza?

7 commenti:

  1. Scusa Luigi ma Dibba è plurilaureato. Ciao
    Giovanni

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    1. Lo so, usavo la figura del falso paragone, che sull’ukulele equivale al barré.

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  2. Ma il violino ha il pregio di possedere una corda (peraltro la prima, non la quarta)che è detta anche "del cantino" . Mi pare che questo nome già sia evocativo. Ancor meglio, però, se ci spostiamo di pochissimo: nel violino ci sono i bischeri. Suppongo che si chiamino così anche per l'ukulele, ma non ne sono sicuro. Poiché i bischeri hanno proprio la funzione di tendere le corde, suggerisco di usare questa metafora, che poi metafora non è.

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  3. Negli ultimi mesi i suoi post mi sembrano in qualche modo filo-5stelle o quanto meno parecchio indulgenti verso di loro. E' un suo diritto, ça va sans dire, ma è anche un mio diritto dispiacermene, data l'ammirazione che nutro da tempo per la sua capacità di analisi.

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    1. Non so cosa fare per non dare quest’impressione. Sia chiaro, ci provo. E non tanto per risparmiar duolo a chi, come lei, ha quest’impressione, tanto meno per amor proprio, visto che a me stesso ho ben chiaro il giudizio che ho del M5S, e non è certo indulgente. Peraltro, a rileggere ciò che ho scritto in questi ultimi mesi, non riesco proprio a capire donde possa scaturire quest’impressione, che d’altronde non è solo sua. È che mi tengo in disparte dal coro di chi ritiene ignoranti e incolti i grillini? È vero, ma non potrà negare che nei loro confronti non mi sono mai risparmiato l’uso di aggettivi come becero o zotico. Poi, sì, è vero, non li ritengo troppo più incolti e ignoranti degli altri politici italiani, che però hanno un sovrappiù di spocchia di cui i grillini ci fanno sconto. Come dire, almeno sono naïf. Più in generale, ritengo siano il male necessario, quello che in fondo ci meritiamo per aver dato fiducia a Berlusconi, prima, e a Renzi, poi. E il “noi” ovviamente lo legga come è da intendere quando lo legge in “Ossi di seppia”. Ecco, forse è questo: sembro indulgente nei loro confronti perché sono rassegnato. Stessa rassegnazione che spiega perché non scrivo nulla su Salvini e su Fontana, per esempio, che pure su sicurezza, immigrazione, famiglia, ecc., potrebbero farmi scrivere pagine e pagine. È che mi sembra di averle già scritte quando polemizzavo coi neocon, con la stagione clericofascista del centrodestra, coi tradizionalisti ratzingeriani, ma lì almeno c’era modo di smontare argomentazioni un tantino più complesse di ciò che per Lega, oggi, si risolve in un cupo borborigmo: e allora a che pro? Dal considerarli quasi la punizione che l’Italia merita, ‘sti gialloverdi, posso ben scivolare nella polemica verso chi si lamenta che siano al governo: è colpa vostra, dico, non lamentatevi, non avete alcun diritto di farlo, li avete partoriti voi. Abbiamo dovuto sopportare voi, la causa, ci tocca sopportare loro, l’effetto.

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  4. Capperi.
    Il capitolino finale è di quelli che non si scordano.
    Trovarla così in forma quasi preoccupa.
    Stia bene, sempre utile passar di qui.
    Ghino La Ganga

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  5. "non è il caso di far distinzione* tra l’agiato direttore e l’assai meno abbiente redattore?"

    no. ogni fantaccino spera (sogna) che gli si riconosca un giorno il bastone del maresciallo.
    non c'è puttana e puttana. il violino e l'ukulele, un pirata e un grande re, per quanto possa dispiacerLe di fatto fanno lo stesso lavoro.
    mi si voglia perdonare la "bestiale ottusità".

    * dica, dica: che differenza c'è fra il giudice e il boia?

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