Stupisce
che a Luigi Manconi possano essere scappate tante cavolate,
tutte in una volta e per giunta così grosse, come quelle che oggi stipavano il suo Clericali e no (Il Foglio, 29.4.2014).
La
più grave: «La teoria della riduzione del
danno […] si nutre anche di un fondamento teologico quale la concezione del
“male minore”». Si tratta di un errore grosso come una casa, perché «di due mali scegliere e perciò compiere il minore
non è lecito, se si tratta di due mali morali ossia di due operazioni che sono
in se stesse violazione della legge morale»: «un male [infatti] non
diventa bene o lecito, perché c’è un altro male più grande, che si potrebbe
scegliere», sicché «la comparazione
con un altro peccato non toglie la malizia del primo» (Dizionario di Teologia Morale – Editrice Studium, 1969). Tanto più
grosso, l’errore, se questo insussistente «fondamento
teologico» viene chiamato a fornire «una
motivazione cristiana nel volere, sia pure solo in casi estremi, la
legalizzazione dell’aborto»: come si può ignorare, infatti, che l’aborto è
sempre «gravemente contrario alla legge
morale» (Catechismo della Chiesa
Cattolica, 2271), anche quando la gravidanza sia frutto di stupro o di
incesto, e perfino se metta a rischio la salute fisica o psichica della gravida?
Luigi Manconi sembra non esserne a conoscenza.
Seconda,
per gravità di errore, l’affermazione che segue ad una considerazione
banalmente ovvia, e cioè che l’«anticlericalismo non equiv[alga] a spirito
antireligioso e anticristiano»: Luigi Manconi aggiunge «bensì al suo esatto
contrario». Ora, è un dato incontestabile che esista un anticlericalismo che «auspica
il rinnovamento all’interno della Chiesa», e che nasce proprio al suo interno, in reazione ad un
clericalismo inteso come «degenerazione dell’esperienza di fede», non di rado proprio grazie all’opera di membri del suo clero: è l’anticlericalismo
tipico dei movimenti di riforma da cui la Chiesa è periodicamente scossa, ma
non è il solo. C’è anticlericalismo, infatti, che non si limita a denunciare le
colpe del clero come manchevolezze del mandato apostolico, ma che contesta lo
stesso mandato, nelle sue forme e nei suoi contenuti: è l’anticlericalismo che
rigetta ogni dimensione trascendente, e che a buon titolo può dirsi «antireligioso
e anticristiano», anche con un certa fierezza, diciamo. Luigi Manconi sembra
non esserne a conoscenza.
Nel
terzo, nel quarto e nel quinto errore, invece, incorre quando affronta una
vicenda che nei giorni scorsi ha conquistato qualche spazio sui media, dopo averlo disperatamente cercato.
Luigi Manconi afferma che fare scioperi della fame e della sete, peraltro a
singhiozzo, possa intendersi come «testimonianza cristiana e, per certi versi,
cristologica». Un cristiano potrebbe considerarla affermazione blasfema, qui
possiamo limitarci a correggerla dicendo che questo tipo di testimonianza sta
al martirio dei cristiani e alla passione di Cristo come l’opistono isterico
sta a quello tetanico. In quanto al fatto che «l’organismo che dimagrisce e
ingrassa, che si ritrae e si espande, che si rattrappisce e si gonfia, che
deperisce e infragilisce e che si riprende e si rafforza, costitui[rebbe] la
più importante manifestazione d[i una] capacità di compassione» come
«rappresentazione autentica del dolore e “teatro della crudeltà” della vita
vera che viene mortificata fino all’annichilimento nei luoghi di privazione
della libertà», vien da chiedersi se per caso Luigi Manconi abbia intenzione di
prenderci per il culo, tanta è
l’enfasi che mette nel farci la perifrasi di una patetica sceneggiata all’ennesima replica. Scrive, infine: «Tutto ciò può apparire a molti insopportabile narcisismo
e monotona reiterazione. E forse lo è». Dove l’errore, il più lieve della serie, sta nel «forse», che è di
troppo.