martedì 31 maggio 2022

Propaganda (I, II, III)

 

 

«È più facile resistere allinizio che alla fine»
Leonardo da Vinci


I. I più autorevoli dizionari della lingua italiana danno una definizione di propaganda pressoché univoca: (qui riporto quella del Devoto-Oli, ma quelle dello Zanichelli, del Treccani, del De Mauro, del Palazzi e del Sabatini Coletti sono sostanzialmente sovrapponibili) è l«azione intesa a conquistare il favore o ladesione di un pubblico sempre più vasto mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento delle masse» (linsieme delle pratiche finalizzate a qualcosa in più del semplice reclutamento del consenso, se non letteralmente inteso: adesione di massa a un sentire che implica la generale condivisione di uno stato danimo e delle pulsioni volitive che esso genera); subito però si avverte (e a nessuno degli autori citati fa difetto lavvertenza, anche da loro presentata come accezione) che «spesso il termine può polemicamente alludere a grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati, diffuse nel tentativo di influenzare lopinione pubblica».
Ora, noi sappiamo che le accezioni di un termine altro non sono che il prodotto della sua articolazione storica, la quale non di rado porta i significati di volta a volta assunti da un termine a trovarsi anche assai distanti dal suo significante, come è evidente nel constatare che talvolta le definizioni delle accezioni posso arrivare anche a tradire vistosamente letimo del termine, a espressione di un avvenuto degrado, necessitato da una forzatura dell’adattamento all’uso (si pensi, per esempio, a sensus, che è participio passato di sentire, ma le cui accezioni più comuni arrivano ad essere quanto mai lontane dalla percezione: modo, significato, direzione).
Bene, suppongo che non sfugga laffinità di articolazione storica che lega due termini come retorica e propaganda, per quanto attiene al degrado del loro significato originario in accezione più comunemente intesa. Non sfuggirà, altresì, che questa affinità trova ragione nella funzione che entrambe svolgono nel discorso pubblico, quella della persuasione.
Almeno fino al XVII secolo, infatti, la retorica rimane l’aristotelica τέχνη ρητορική, ma poi di lì comincia a significare sempre più spesso vana magniloquenza (si licet, magna vaniloquenza). Con ciò siamo alla grande crisi di quella che era stata per secoli, insieme, arte e scienza, precipitato politico della logica e ragione del discorso pubblico. Sia chiaro: di una decadenza della retorica si comincia a parlare molto presto (già Quintiliano parla di una corrupta eloquentia) e tuttavia fino al Barocco nessuno mette in discussione che la materia sia fondamentale in un qualsivoglia cursus studiorum; qualche sporadico interesse nel Settecento, poi quasi più nulla. Si dovrà aspettare la seconda metà dello scorso secolo perché, grazie a Chaїm Perelman, la retorica torni ad essere oggetto di ricerca e di studio, riacquistando così dignità di disciplina, riannodando il suo antico legame con la logica. Oggi, laccezione ha il suo gran bel daffare, ma il significato originario del termine ha trovato recupero e ripristino.
Con la propaganda il processo di degrado è analogo, ma arriva assai più tardi: fino alla II guerra mondiale il termine rimanda esclusivamente al suo significato originario, che fin lì si è mantenuto intatto per secoli, nel corso dei quali propagandum è semplicemente quel che bisogna pro-pagere (piantare-progressivamente-oltre, fissare-sempre-più-in-là) per allargarne e consolidarne la presa. Nelle epistole di Cicerone, per esempio, non propagandum vulgo è quel che occorre non sia diffuso fuori dalla ristretta cerchia degli ottimati; e così sarà per tutta l’antichità, mentre nel Rinascimento (nel Prologo del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, per esempio) propagandum sta spesso accanto ad augendum, per lo più riferito alla natura dell’imperium, che ha bisogno di consolidamento, non meno che di accrescimento, per non venir meno. Le cose non cambiano nel XVII secolo (si pensi all’istituzione della Congregatio de Propaganda Fide da parte di Gregorio XV, che diventerà Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli solo nel 1967, quando il termine ha ormai assunto l’accezione che lo squalifica), né nel XVIII secolo (gli Illuministi non disdegneranno l’uso di una locuzione come «propagande philosophique» per parlare della loro attività), e neppure nel XIX secolo (gli anarchici insurrezionalisti della seconda metà dell’Ottocento rivendicheranno con fierezza il valore esemplare dell’attentato terroristico e dell’omicidio politico come «propagande par le fait»); perfino nel corso della I guerra mondiale non si ha difficoltà nel concedere che propaganda non sia solo quella nemica (è pienamente operativo dal 1918, nell’esercito italiano, un Servizio P, dove P sta appunto per Propaganda).
È solo dagli anni ’40 del Novecento che a propaganda si comincia a dare sempre più spesso il significato che implica l’uso di quelle «grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati» che abbiamo trovato nella voce del Devoto-Oli riportata allinizio di questa riflessione. Di lì in poi non troveremo più in nessun luogo l’espressione «propaganda nemica», largamente impiegato per esempio nel corso della I guerra mondiale, giacché ora laggettivo è diventato pleonastico: solo il nemico fa propaganda, solo il nemico diffonde notizie false, la propria propaganda è altro (informazione, comunicazione, diffusione, divulgazione, promozione, ecc.). È qui che laccezione ha preso pieno possesso del termine, ma è qui, al contempo, che quell«ogni mezzo idoneo a influire» che abbiamo trovato nella definizione del Devoto-Oli ha bisogno di un distinguo dordine morale rispetto a ciò che è «idoneo»: è la malvagità del nemico ad implicare luso di mezzi disonesti. Laccezione, così, prende pieno possesso del termine per stornare con disdegno il sospetto che il fronte amico faccia impiego di analoga disonestà.
Dicevamo di unaffinità di articolazione storica tra retorica e propaganda, ma dal veloce excursus qui rappresentato è tuttavia evidente che tra i due termini il degrado segua un processo manifestamente diacronico, per la diversa natura delluditorio cui esse si rivolgono. In propagare, infatti, è implicito che debba esservi una massa ad assorbire quanto diffonde da una fonte: si ha propaganda, dunque, quando la persuasione si rivolge a un uditorio inteso come massa (nessuna corrispondenza in retorica, dove luditorio è sempre un forum); e non ha alcuna difficoltà nel dichiararsi tale (chi fa propaganda non ha alcuna difficoltà ad ammettere che stia facendo propaganda) fino a quando il suo attore non è costretto a fare i conti con un competitore che per fine ha il persuadere lo stesso uditorio, propagare il proprio messaggio nella stessa massa (a lungo, invece, il retore non ha alcuna difficoltà nel dichiararsi tale nella competizione che ingaggia con un suo pari, e che per fine ha la persuazione dello stesso forum). È il comparire della massa come nuova forma di uditorio a dar ragione, di qui in poi, di una propaganda interna e di una propaganda esterna, il che presuppone che la massa abbia caratteri simili ovunque essa si rappresenti come uditorio, di qua e di là dalla linea che separa l’amico dal nemico: l’«azione intesa a conquistare il favore o ladesione» di una porzione sempre più ampia delle masse di qua e di là dalla linea che separa l’amico dal nemico presuppone analoga idoneità di mezzi «a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento delle masse». Questo, tuttavia, implica anche altro: il «tentativo di influenzare lopinione pubblica» non è più tenuto a fare alcuna differenza tra le opinioni pubbliche che stanno di qua e di là dalla linea sulla quale si gioca il conflitto per la conquista del consenso, e le «grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati» tornano utili allo stesso modo per entrambe, giacché la loro psicologia e il loro comportamento non differiscono.
Ma non è dal V sec. a.C. che, con Eschilo, si ripete che «in guerra la verità è la prima vittima»? Per quale ragione, allora, per propaganda, il degrado da significato ad accezione non si è verificato prima? Perché è solo con la II guerra mondiale che una questione come quella della psicologia delle masse, in verità sorta già a cavallo dei due secoli, con Le Bon prima e con Freud poi, acquista un interesse che esorbita da quello accademico, per diventare un problema di prima grandezza in un evento tanto importante come quello bellico. Se questo non accade già con la I guerra mondiale, che non può certo definirsi evento meno rilevante, e rispetto al quale la propaganda pure svolge un ruolo significativo (più nel determinare l’evento, occorre dire, che nel sostenerlo), è per la semplice ragione che nel lustro ’14-’18 la diffusione di cinema e radio è ancora assai limitata: il medium non è ancora pronto a propagare; la massa (la società di massa) già c’è, ma il medium è ancora inadeguato, e l’uditorio, ancorché esteso, resta per lo più forum; e perciò è ancora la retorica ad essere impiegata come mezzo per reclutare consenso, e di retorica, infatti, la I guerra mondiale, non meno che di sangue, gronda. Ad ammazzare la verità, prima della II guerra mondiale, ci pensa la retorica; dopo, sarà compito della propaganda.
Può darsi che lipotesi sia un azzardo, la lascio al giudizio di chi legge questa pagina, ma oserei affermare che la propaganda diventi tanto più problematica, con ciò assumendo il carattere di insidiosa minaccia, quanto più i mezzi coi quali trova diffusione si ampliano al punto da non poter evitare che opposte propagande si contendano lo stesso uditorio. Semplifico: fino a quando il propagandum non teme concorrenza perché limperium o la fides hanno il monopolio del medium (oppure: perché la philosophie e il fait ne scelgono uno che si fa tanto intrinseco al messaggio da sussumerlo), la propaganda non ha alcunché di problematico; acquista problematicità, e in misura tanto considerevole da poter assumere carattere di arma, quando è nella nostra disponibilità non meno di quanto lo sia in quella del nostro nemico, di chi con noi concorre a persuadere un uditorio, per reclutarlo nella milizia che combatte in favore del proprio interesse. Non cè da stupirsi, allora, se il massimo della problematicità si abbia con la propaganda bellica, dove arma, nemico e milizia smettono di avere senso figurato. Qui siamo allallargamento del campo di battaglia alla società civile e la lezione di Sun Tsu («tutte le operazioni di guerra sono basate sullinganno») diventa valida anche per la propaganda, non caso proprio nel momento in cui la guerra prende a oggetto, quasi di regola, anche la popolazione civile.
Avviene, tuttavia, che con l’acquisire il significato che la degrada a strumento di inganno e a vettore di menzogna, la propaganda perda quello originario nel quale invece è sospeso ogni giudizio di merito sul messaggio che è da diffondere, e accade, così, che propaganda sia solo quella del nemico, e definirla tale miri innanzitutto a dissuadere l’uditorio dal prestarvi fede; ne consegue che farsi persuasi delle ragioni del nemico, espresse dalla sua propaganda, implichi giocoforza esserne, insieme, vittima e complice. Nasce, così, l’interdetto implicito alle ragioni del nemico, veicolate dalla sua propaganda: se esse sono giocoforza menzogne, anche il solo darvi ascolto implica stoltezza o malvagità, stupidità o tradimento.


II. Con quanto fin qui ricostruito riguardo al percorso di un termine come propaganda, non c’è da stupirsi che i problemi posti dalle pratiche propagandistiche non abbiano trovato ragione di una riflessione articolata prima della II guerra mondiale. Ad affrontare per la prima volta il tema in modo articolato, almeno a quanto mi risulta, è un articolo apparso nel 1941 sul British Journal of Medical Psychology (Vol. XIX) a firma di Roger Money-Kyrle (in italiano, il testo, relativamente breve, è reperibile in Scritti 1927-1977 – Loescher, 1985, col titolo La psicologia della propaganda). Credo possa tornar utile riportarne qualche stralcio per aver modo di considerare come viene affrontato il tema.
«La propaganda è sempre stata il mezzo attraverso cui le diverse organizzazioni politiche e religiose hanno cercato di imporre la loro volontà, ma nel passato la sua estensione era limitata e la sua diffusione relativamente lenta. […] Negli ultimi anni, con lavvento di quotidiani poco costosi, del cinema e, soprattutto, della radio, gli ascoltatori e i lettori, da poche centinaia, sono improvvisamente diventati milioni. La capavità di penetrazione della propaganda si estende adesso al mondo intero, e nessuno, a meno di vivere su unisola deserta, può sottrarsi alla sua influenza. Per questa ragione la psicologia della propaganda, o, ciò che è forse la stessa cosa, la psicologia della suggestione di massa, ha improvvisamente assunto un’enorme importanza».
Qui mi fermerei un istante a considerare due termini che mi paiono centrali in questa parte dell’articolo: penetrazione e suggestione. Il primo, credo, dà ragione della modalità di diffusione del messaggio cui la propaganda è tenuta a far ricorso per la stessa natura della massa, nel cui corpo la propagazione può avvenire solo per infiltrazione. Il secondo, invece, dà ragione della natura che la persuasione assume quando il forum prende le dimensioni e le caratteristiche della società di massa. Anche qui, per suggestione, occorre considerare la forzatura dell’adattamento all’uso che porta l’etimo del termine a esprimere con la sua accezione un significato che lo contraddice: la proposta che sta nel suggerimento diventa l’imposizione cui mira l’insinuazione. Percorso opposto, a ben vedere, con quello che porta il persuaso (per-suasus, indotto a fare) a essere convinto (colui che nell’essere persuaso vince con il persuasore, e con ciò conquista in prima persona la verità che questi gli offre, senza alcuna indutio insidiosamente suavis). Ma cosa dà modo alla suggestione di agire?
«Se l’uomo fosse completamente razionale e se fosse influenzato solamente da quella propaganda che dice la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, non ci sarebbero problemi. Ma, sfortunatamente, evidenza e giudizio non sono le sole determinanti delle sue convinzioni e dei suoi sentimenti. L’uomo è sempre stato un animale credulo che si lascia facilmente convincere e infiammare dall’oratoria: talvolta può lasciarsi quasi ipnotizzare, accettando qualsiasi cosa venga asserita con sufficiente forza e autorità».
Qui credo occorra appuntare l’attenzione sull’uso di quella che di fatto è parte della formula di giuramento che il soggetto chiamato a rendere testimonianza nel corso di un processo è tenuto a recitare prima della sua deposizione («la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità»). Money-Kyrle vuol farci credere che, almeno in teoria, sia possibile una propaganda in grado di essere fedele testimone di come scorranno gli eventi bellici? Sta mettendo in discussione quanto affermano Eschilo e Sun Tsu? No, perché, anche volendo, non può: nel corso della I guerra mondiale ha servito il Regno Unito nella Royal Air Force e, mentre scrive quanto qui riporto, lavora per il Ministero dell’Aeronautica come reclutatore di nuove leve. Non c’è bisogno di psicoanalizzare lo psicoanalista per capire che la sua riflessione debba lasciare spazio all’almeno teorica possibilità che la propaganda possa diffondere verità. Un po’ più difficile capire perché per farlo abbia comunque bisogno della suggestione, che qualche capoverso prima ha definito intrinseca alle pratiche propagandistiche, ma forse è quanto segue a sciogliere il nodo del double standard.
«Dire, come gli psicologi amano fare, che l’uomo è suggestionabile, è semplicemente dare un nome alla qualità che stiamo cercando di spiegare. Vogliamo capire perché alcune persone si lasciano più facilmente suggestionare dalla propaganda di altre, e perché il livello della loro suggestionabilità dipende sia dalla loro relazione con chi fa propaganda che dalla natura della propaganda».
Dichiarati i fini dell’indagine, Money-Kyrle passa a considerare le «differenze nella suggestionalità generale», che mette in relazione a due ordini di fattori: il livello di istruzione («le persone istruite sono meno influenzabili dalla propaganda delle persone che non lo sono, poiché hanno maggiori informazioni con cui confrontare ciò che viene loro raccontato») e quello di maturità psicologica rapportato al grado di superamento della dipendenza vissuta da ogni bambino («alcuni crescono e diventano indipendenti, altri rimangono psicologicamente bambini per tutta la vita, sempre dipendenti da sostituti delle figure parentali, sia umani che divini»). Ma, ovviamente, «la suggestionabilità della propaganda dipende anche dalla fonte di provenienza», soprattutto dove essa assuma l’autorità di cui da bambini abbiamo fatto esperienza nella relazione con le figure parentali: siamo più suggestionabili a ciò che ci viene detto da qualcuno che riesca a surrogare il padre o la madre, e dunque la propaganda riesce maggiormente a suggestionarci se è propaganda patria e corre in madrelingua, il che implica che, «se siamo suggestionabili da un’autorità, siamo anche controsuggestionabili dall’autorità che a essa si oppone», e così «non soltanto ci troviamo in disaccordo con la parte avversa […] ma non siamo neppure in grado di credere alla sua buona fede». Le cose, tuttavia, si complicano, perché con ciò la «parte avversa» arriva ad assumere il proiettato dei nostri nemici interni: «quando due gruppi diventano reciprocamente paranoidi in questa maniera, diventa pressoché impossibile discriminare tra sospetti veri e sospetti falsi; infatti i falsi sospetti di una parte innescano contromisure nell’altra, e così si autoconfermano».


III. È chiaro che la riflessione di Money-Kyrle non può che muovere dall’assunto freudiano che «la contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale o delle masse, contrapposizione che a prima vista può sembrarci molto importante, perde, a una considerazione più attenta, gran parte della sua rigidità» (Psicologia delle masse). Anche chi non è troppo addentro all’edificio della teoria freudiana sa cosa porta a evidenziare, questa «considerazione più attenta»: la pulsione sociale non è originaria, né indecomponibile, e gli esordi del suo sviluppo sono sempre rintracciabili in un ambito più stretto, come quello della famiglia. Questa non è la sede per discutere questo assunto, col quale peraltro lo stesso Freud ammette non si risolve per intero l’«enigma della massa». Di fatto, tuttavia, i suoi caratteri rimandano senza dubbio a un momento regressivo: «la mancanza di autonomia e di iniziativa del singolo, il coincidere della reazione del singolo con quella di tutti gli altri, […] l’indebolimento delle facoltà intellettuali, il disinibirsi dell’affettività, l’incapacità di moderarsi o di differire, la propensione a oltrepassare tutti i limiti nell’espressione del sentimento che tende a scaricarsi per intero nell’azione» (ibidem). Questo il substrato su cui la suggestione opera, ma cos’è, per Freud, la suggestione? «È una manifestazione parziale dello stato ipnotico, il quale risulta validamente fondato su una disposizione conservata nell’inconscio sin dalle origini preistoriche della famiglia umana» (ibidem).
Non so quanto possa essere ancora convincente, oggi, questa definizione, con quanto di controverso grava su un termine come ipnosi, che in fondo è stato largamente impiegato, fino a quando è stato possibile, per accantonare i problemi posti dalla natura apparentemente impenetrabile della suggestione. D’altronde è con lo stesso Freud che la psicologia comincia ad abbandonare la pratica ipnotica, come dichiarata «rinuncia alla suggestione». Con Lacan si arriverà finalmente a decostruire il meccanismo della suggestione sul piano del linguaggio: se «l’inconscio è strutturato come linguaggio», la suggestione opera su esso in forma di fallacia. Tornando a Money-Kyrle, allora, l’equivalenza tra la «psicologia della propaganda» e «psicologia della suggestione di massa» può dirsi fondata sull’efficacia persuasiva delle fallacie che più agevolmente riescono a eludere la logica della retta argomentazione. Ammesso e non concesso che possa esserci una «propaganda che dice la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità», quella che diffonderà «grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati» sarà riconoscibile dal ricorso alle fallacie che più efficacemente sono in grado di indurre lindividuo a quello stato regressivo che è proprio della massa; e quelle che operano sulla controsuggestione (largomento è rigettato o ritenuto confutato, ancorché inadeguatamente, solo perché prodotto dalla parte avversa: fallacia ad hominem, argomento fantoccio, colpa per associazione, due torti fanno una ragione, appello al caso particolare, ecc.) non sono meno efficaci di quelle operano sulla suggestione (largomento è fatto proprio, e spesso riprosto, solo perché prodotto da autorevoli rappresentanti della parte amica: ricorso allautorità, ricorso alla tradizione, fallacia ad populum, pressione dei pari, petizione di principio, ecc.).
Abbiamo detto che non può esserci una «propaganda che dice la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità», quindi, seppur in varia misura, «grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati» sono di regola diffuse dalla propaganda amica e dalla propaganda nemica. Sul piano della regressione, non riuscire a riconoscere quelle diffuse dalla propaganda amica equivale a non riuscire ad ammettere di averle riconosciute tali. 


[segue]