venerdì 29 aprile 2022

«Sì, è un double standard, embè?»

 


L’esperienza della pandemia dovrebbe aver reso chiaro anche al più ingenuo degli onesti che la radicalizzazione delle opposte fazioni sottrae inevitabilmente spazio a ogni posizione terza che intenda prendere in considerazione gli argomenti di qua e di là messi in campo. Per più d’un verso, questo è inevitabile non meno di quanto sia comprensibile. Sulle questioni che toccano le parti più sensibili della nostra sfera emotiva, infatti, non si è disposti a considerare con obiettività gli argomenti che ci pare le feriscano, sicché diventa necessario, vitale, fatale, respingerli con forza, negandone ogni validità, quand’anche n’abbiano, con le più comuni fallacie logiche, che hanno aquistato così radicato uso da sembrare legittime, purché efficaci. Intervenire nel dibattito a segnalarle come tali, oltre che inutile, è pericoloso, anche nel caso si intenda farlo con equanime imparzialità con quelle impiegate dall’una e dall’altra fazione, perché, ora l’una, ora l’altra, si sentiranno entrambe minacciate da chi si avverte come chi voglia disarmarle. Mazza, coccio di bottiglia, morso al polpaccio, tutto è legittimo nella rissa: a segnalare che si tratti d’armi improprie non si ricava altro che la reputazione di essere insensibile alle altrui sacre ragioni, nel migliore dei casi, se non addirittura, nel peggiore, il sospetto che così si voglia favorire l’odiato nemico, e a lui si sia nascostamente, subdolamente, nequiziosamente solidale. Perciò dobbiamo essere infinitamente grati a chi ci risparmia la premura di segnalare che il tale abbia fatto uso di un ad hominem, il tal altro di uno strawman, ed entrambi siano in patente contraddizione con quanto affermato un anno, un mese, una settimana prima, e non di rado anche con quanto sostenuto nella stessa frase. Tanto più grati se a risparmiarcelo è proprio uno dei partecipanti alla rissa. Meglio, poi, se nella rissa ha ruolo di rilievo e fama di persona dabbene.
Sulla questione ucraina, perciò, la mia personalissima gratitudine va a Giampiero Massolo, uomo dal prestigioso curriculum diplomatico e oggi presidente – tutt’insieme – di Fincantieri, Ispi e Atlantia, nonché autorevole membro della Trilateral e del comitato esecutivo dell’Aspen Institute, oltre che insignito delle più alte onorificenze della nostra amata Repubblichetta. Superfluo dire, dato il profilo, a quale fazione il buon Massolo offra i suoi preziosi servigi: da quando virologi, epidemiologi e pneumologi hanno lasciato il posto a generali, esperti di geopolitica e di relazioni internazionali, è tra i più assidui tra gli ospiti di quei talk show monotematici, che tra un blocco pubblicitario e l’altro, anima e scheletro verace dello spettacolo che cannibalizza la realtà espellendo immagini, quasi sempre corredate da pregnanti soundtrack di sottofondo, assicurano al cittadino trasformato in spettatore il bolo della cosiddetta informazione. Filogovernativo, il buon Massolo, anzi filissimo, e ovviamente pro-Usa e pro-Eu, a dispetto dei contrasti di interesse ormai sempre più evidenti tra Usa ed Eu, e però pro-Nato, a tappeto sotto cui celare i contrasti, perché la sala del trono d’Occidente risulti pulita e linda.
Nel corso dell’ultima puntata di DiMartedì (La7, 26.4.2022), a Fulvio Grimaldi e ad Alessandro Dibattista che agli Usa rinfacciavano d’essersi macchiati, in largo e in lungo per il mondo, degli stessi, e anche peggiori, crimini oggi imputati alla Federazione Russa, col che all’ambasciator toccava portar la pena di double standard addebitato all’Occidente tutto, il buon Massolo ha replicato: «Il mondo non è fatto come noi lo vorremmo, ma è fatto così come è fatto. Bisogna ammettere che il double standard esiste e quindi è molto difficile paragonare le singole situazioni, perché ogni situazione riflette quello che è un contesto delle relazioni internazionali, dove non esistono le buone intenzioni, ma esistono degli interessi che si contrappongono o si sposano».
Lessico convoluto solo allo sprovveduto, ma franco e schietto, nei limiti ovviamente posti nel porgerlo come perla nel bivalve grigiume della diplomatica ostrica: sì – ha ammesso – accusiamo Putin degli stessi crimini commessi dagli Usa da Hiroshima in poi, e Putin lo vogliamo condannato, e gli Usa assolti, e sì, questa è doppia morale, oltre che morale doppia, ma non starò qui a dire che agli Usa l’assoluzione è dovuta perché l’impero americano rappresenta il Bello, il Buono e il Giusto; no, vanno assolti perché ne abbiamo sposato gli interessi, che oggi si contrappongono a quelli russi.
A fronte delle patetiche macchiette che ci rifilano la solita e ormai logora bubbola di un matrimonio stretto per affinità elettive, viva Massolo, che dice chiaro e tondo che quello con gli Usa è un matrimonio d’interesse. Via le bellurie di libertà e democrazia, ché più le guardi da vicino e meno le trovi dove i gonzi sostengono stiano: siamo tenuti alla fedeltà nuziale, perché ci conviene; e, in subordine, perché sennò lo sposo ci mena; di divorzio neanche a parlarne, quand’anche il comune interesse scemasse, sennò, oltre a menarci, lo sposo ci ammazza, o eventualmente ci fa ammazzare, assoldando un sicario.
È così che andrebbero condotti i talk show: un Dibbattista, un Orsini o un Canfora a lamentare il double standard, e un Massolo a ribattere: «Sì, è un double standard, embè?»; e fine lì. Ma non si può: ne soffrirebbero i blocchi pubblicitari.