lunedì 23 aprile 2012

Sensologia

Quasi ogni giorno è Giornata Mondiale di qualcosa, della Donna, della Gioventù, della Poesia, della Tubercolosi, del Gatto, del Pupazzo di Neve, e ormai siamo all’inflazione, con qualche divertente sovrapposizione, come al 15 aprile, che è insieme Giornata Mondiale del Dialogo e Giornata Mondiale del Silenzio. Nate per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su temi di interesse generale che i promotori sentono trascurati, le Giornate Mondiali sono ormai diventate ricorrenze vuote di senso, come inevitabilmente accade con tutto ciò che si consegna all’abitudine. Buone tutt’al più a riempire una o due pagine di giornale, com’è accaduto ieri, Giornata Mondiale della Terra, e qui sorge il problema che è posto in quella che Mario Perniola ha definito sensologia, e cioè «la trasformazione dell’ideologia in una nuova forma di potere che dà per acquisito un consenso plebiscitario fondato su fattori affettivi e sensoriali» (Contro la comunicazione, Einaudi 2004). Un efficace esempio ci è offerto dalle due pagine del Corriere della Sera di ieri.
Accanto ad un articolo di Fulco Pratesi, che illustrava le «dieci azione concrete per aiutare l’ambiente» proposte dal WWF (acquista prodotti locali, mangia meno carne, bevi acqua del rubinetto, ecc.), c’era lo spazio per dar voce a tre esperti di clima, energia e nutrizione, ma si è preferito darla a Erri De Luca, Mauro Corona e Antonio Pascale: «i consigli di tre scrittori», e che consigli.

Erri De Luca proponeva di fare a meno del riscaldamento domestico suggerendo questa alternativa: «Si può sfruttare una fonte inesauribile di caloria [sic!], la più potente che esiste nel corpo umano. Si tratta dell’amore. Due che si amano sentono freddo solo quando si sciolgono dagli abbracci. L’amore è un’energia pulita e rinnovabile nel modo più impensato: spendendola tutta intera nell’arco del giorno, amando a più non posso fino all’esaurimento della scorta…». Suppongo sia superfluo ogni commento nel merito, d’altronde Erri De Luca è fatto così, basta aver letto qualche sua pagina: direi che sta alla letteratura come un maestro di sci sta a una danarosa in menopausa, lirico come il terzo Negroni, intenso come la vaselina.
Non da meno Mauro Corona, che consigliava di «tornare tutti agricoltori», perché «non possiamo più pretendere di andare a comprare il cibo ma imparare a farcelo». Anche qui penso non valga neanche la pena di sollevare obiezioni, d’altronde Mauro Corona è fatto così, basta avergli dato uno sguardo di sfuggita, la prosa si intuisce.
Dulcis in fundo, Antonio Pascale: «Staccate dalla presa il caricabatteria del cellulare: consuma o,o1 kWh al giorno, in un anno la stessa quantità di energia che occorre per un bagno caldo». Un buon consiglio, senza dubbio, ma era il caso di esagerare aggiungendo «contribuirete a salvare il mondo»?

Che senso ha chiedere un parere informato a tre scrittori di cassetta, invece che a tre esperti, su temi come quelli in discussione con la Giornata Mondiale della Terra? In forza di quale convinzione si dà peso, come abbiamo visto, al banale o all’assurdo? Siamo alla «trasformazione dell’ideologia in una nuova forma di potere»: dando «per acquisito un consenso plebiscitario fondato su fattori affettivi e sensoriali», quelli razionali e scientifici diventano irrilevanti. Superflui gli esperti, occorre che «le  acrobazie e le incongruenze della comunicazione mediatica siano recepite come manifestazioni della potenza e della fecondità creativa della vita», servono i poeti da brindisi, meglio se alticci. 

mercoledì 18 aprile 2012

È già accaduto, accadrà ancora

È già accaduto. Si ebbe un improvviso crollo della fiducia nei partiti, poi la magistratura fece il resto, e la Dc eslose in frammenti, il Psi si polverizzò, i partitini cosiddetti laici si nebulizzarono, il Pci e il Msi s’affrettarono a cambiar nome, faccia e anima, però perdendo pezzi, e non irrilevanti. Tra le macerie si fecero spazio quanti avevano capito per tempo che il sistema fosse inemendabile, poi va’ a capire se fin da subito sapessero che tutto dovesse cambiare, come dicevano, perché tutto restasse uguale, come s’è visto. Oggi siamo solo all’inizio di un’altra ondata di “antipolitica” ed è ancora presto per dire se i 12 milioni di italiani che non sanno chi votare daranno o no alla morte della Seconda Repubblica il tratto devastante che ebbe la morte della Prima. Sappiamo che a cogliere l’attimo, allora, furono Berlusconi, Bossi e Di Pietro, immaginiamo che stavolta tocchi a Grillo, forse a Passera, o sarà il vuoto di cui i politologi negano l’esistenza.
A più d’uno, allora, sembrò arrivato il momento giusto perché i radicali raccogliessero i frutti della loro lunga e faticosa semina antipartitocratica, ma Pannella fu preso da quella che Massimo Teodori ha acutamente definito “irresistibile pulsione alla dissoluzione” (Marsilio, 1996). Accadrà anche stavolta, non c’è alcun dubbio. Anche stavolta, i radicali non riusciranno ad impedire a Pannella di buttare al vento l’occasione di presentarsi agli italiani come matura classe dirigente o via, non esageriamo, il menopeggio sulla piazza: non tantissimo, sia chiaro, ma levando i vecchi tromboni e le trombette nate vecchie, nemmeno poco. Anche stavolta, non c’è alcun dubbio, chi si azzarderà a denunciare la delirante megalomania di Pannella, a segnalare nel suo velleitarismo la malata vocazione all’irrilevanza – sola condizione che gli consente di sentirsi martire, sola a dargli la sensazione di esser vivo – sarà scomunicato e costretto ad allontanarsi, per non subire l’intollerabile molestia della quale è regolarmente fatto oggetto il membro di una setta che osi mettere in discussione le decisioni del capo carismatico.

[Di recente ho letto l’inchiesta sul reverendo Jim Jones e la sua setta del Tempio del Popolo che Ron Javers e Marshall Kilduff firmarono per The San Francisco Chronicle a poche settimane dal suicidio di massa del 18 novembre 1978 (The Suicide Cult, Bantam Books 1978) e ho trovato non meno di due dozzine di punti di concordanza con la storia della “cosa radicale”.]

«Pensar male» e «pensar bene»

L’implicazione d’ordine morale è inevitabile – direi necessitata – nella definizione del «malpensante», cioè di chi è «incline a pensare male, a formulare giudizi negativi sugli altri» (Devoto-Oli), di chi «tende a vedere il male ovunque o ad avere una cattiva opinione degli altri» (De Mauro), di chi «per propria natura è incline a pensare male del prossimo e a interpretare nel senso peggiore le azioni e i comportamenti altrui» (Treccani): ogni definizione del «malpensante», infatti, non può fare a meno di usare un termine – il «male» – che non ha alcun senso fuori dall’ambito morale. In quest’ambito, com’è noto, il «male» (ma anche il «bene») pretende statuto di assoluto e nel farsi avverbio rimanda inesorabilmente al «pessimo» (e all’«ottimo») che impronta il pregiudizio «pessimistico» (o quello «ottimistico»), sicché «pensar male» (o «pensar bene») si fa strumento obbligato della costruzione di un sistema entro il quale tutto regge, ma solo se si assume che l’uomo sia «intrinsecamente cattivo» (o «intrinsecamente buono»). Il «malpensante», dunque, sarebbe chi inclina a un pregiudizio «pessimistico» sulla natura umana, facendole con ciò quel torto che difficilmente gli uomini perdonano, soprattutto se hanno bisogno di essere confortati dall’«ottimismo» del «benpensante». È del tutto ovvio, dunque, che sul «malpensante» pesi la tacita condanna di quanti hanno bisogno del conforto che è il tacito patto dei «benpensanti». È altrettanto ovvio, però, che fuori dalla tautologia sulla quale poggia ogni morale, e per la quale «il male è male» e «il bene è bene», «pensar male» non abbia alcun senso. In altri termini, solo a un «benpensante» è dato il poter rilevare un errore morale nel «malpensante»: solo chi ha bisogno di pensare che l’uomo sia «intrinsecamente buono» può permettersi di liquidare il «pensar male» come semina di ingiusto sospetto. (Qui conviene sorvolare sulla natura di questo bisogno, ma abbiamo già detto che ha per oggetto un conforto. Senza dilungarci troppo sul movente psicologico che mira a questo genere di conforto, possiamo però identificarlo come istanza difensiva e consolatoria, tra le procedure nevrotiche post-traumatiche: il «benpensante» ha bisogno di sentirsi «buono tra i buoni» per costruirsi un involucro protettivo che lo difenda dalle minacce esterne e dalle paure interne.)
Ciò premesso, devo dire che non mi riconosco nel «malpensante» sul quale G. scaglia i suoi strali di «benpensante» (non lo linko e non lo cito per esteso, adeguandomi al suo canone allusivo). Dichiaro la mia estraneità a quell’ambito morale entro il quale è d’obbligo decidere se l’uomo sia «intrinsecamente buono» o «intrinsecamente cattivo» e infatti ogni volta che «penso male» di qualcosa o di qualcuno faccio esercizio di un sospetto che è metodo scettico applicato alla logica interna a un sistema: formulo un giudizio negativo o esprimo una cattiva opinione non già sul piano morale ma su quello logico, sicché non dico mai «questa tal cosa (questa tal persona) è cattiva», ma «forma o sostanza di questa tal cosa (affermazioni o azioni di questa tal persona) non mi convincono della ratio che ostentano», e dunque il mio sospetto non si appunta mai su ciò che le rivelerebbe «cattive», ma su quanto, a mio parere, sempre argomentato, le rivela intrinsecamente contraddittorie, dunque soggette ad implosione logica se sgusciate dal mallo ipocrita. Offro le mie argomentazioni ad ogni confutazione, ma non posso ritenere valida quella che pretenda di eluderle dichiarandole viziate da un pregiudizio che a ben vedere è solo la negativa di un proiettato: rigetto, infatti, le definizioni del «malpensante» con le quali ho aperto questo post, perché implicano l’uso di categorie che non ritengo efficaci nella formazione del giudizio che si sussume al «pensare».

lunedì 16 aprile 2012

[...]

Non sono disposti a rinunciare neanche all’ultima tranche dei rimborsi elettorali: «Cancellare del tutto i finanziamenti pubblici ai partiti - dicono - sarebbe un errore drammatico: la politica finirebbe nelle mani di lobbies, centri di potere e di interesse particolare». Perché, ora che i partiti sono finanziati con denaro pubblico, la politica in quali mani è? 

mercoledì 4 aprile 2012

Il filo

Chissà se Günter Grass scriveva già poesie ai tempi in cui vestiva l’uniforme delle Waffen-SS, chissà se anche allora, come oggi, aveva tanto a cuore la pace mondiale. Se sì, avrebbe potuto scrivere già allora i versi che ci offre oggi: la pace mondiale è minacciata dagli ebrei, scrive, ed è quello che avrebbe potuto scrivere già allora, perché la tesi che gli ebrei fossero una minaccia alla pace mondiale era quella portante del Mein Kampf, che le Waffen-SS erano tenute ad avere in fondo allo zaino, tra due cambi di mutande e la maglia di lana pesante. La vita può trasformare un ragazzino della cazzuta gioventù hitleriana in un bonario cazzone socialdemocratico insaccato in amabile tweed e mite velluto a coste, può rivoltare un uomo come un guanto: di fatto non scompare il filo antisemita che ne cuce insieme le sagome.