martedì 10 dicembre 2019

Parliamo di sardine, vi va?





Parliamo di sardine, vi va? Bene, allora comincerei col dire che ritengo impropri i termini che sono in uso per indicare l’ordine (Clupeiformes) e la famiglia (Clupeidae) in cui Walbaum sistemò la Sardina pilchardus, e questo perché tutte le fonti antiche che fanno cenno alla clupea (Ennio, Plinio, Ausonio, ecc.) ce la descrivono come pesce assai simile alla lampreda (Petromyzon marinus), che ovviamente non ha niente a che vedere con la sardina. D’altronde c’è da capirlo, povero Walbaum, ai suoi tempi il Systema naturae di Linneo era una Bibbia e lì dentro l’aringa, in tutto affine alla sardina fatta eccezione per la taglia, era Clupea harengus, ordine Clupeiformes, famiglia Clupeidae, e quindi...

Vi sto prendendo in giro, penserete. Ma no, vi stavo solo didascalizzando – in modo grossolano, convengo – uno dei più comuni infortuni in cui si incorre quando ci si mette a discutere senza un preliminare accordo sul significato da dare al termine che designa l’oggetto in discussione, dando per scontato sia superfluo, quando invece molto spesso non lo è affatto. Molto parlare a vuoto si consuma proprio in questo modo, non credete?
Qui, per evitare l’infortunio in cui celiavo di coinvolgervi, bastava dire Sardine o «sardine»: la maiuscola o le virgolette avrebbero fatto capire che non intendevo parlare dei gustosi pesciolini ricchi di omega-3, ma degli aderenti alla cosa che ha preso vita con la manifestazione tenutasi in Piazza Maggiore, a Bologna, lo scorso 14 novembre. Manifestazione cui i promotori si limitavano a dare come obiettivo unicamente quello di «dimostrare che a Bologna siamo più di loro», e cioè più dei 5.570 che può ospitare il Paladozza, dove quello stesso giorno si teneva un comizio elettorale di Salvini: «sardine», quindi, perché, tenuto conto della capienza del crescentone di Piazza Maggiore, in 6.000 ci si poteva stare solo «stretti come».

Successo assai superiore alle aspettative, con conseguente decisione di replicare l’iniziativa in altre piazze (Modena, Sorrento, Genova, Firenze, Napoli, ecc.), che otteneva risultati ancor più lusinghieri, con comprensibile interesse dei media, che promuovevano la cosa a movimento. Ed è qui che, tornando a quanto dicevamo prima, direi si corra il rischio di dare per scontato quello che non lo è, perché in realtà per movimento si intende l«azione convergente, più o meno organizzata, di più persone che hanno ideologie e programmi operativi comuni» (Treccani).
In via preliminare, dunque, decidiamo: possiamo definire movimento, quello delle «sardine»? Nessun problema in quanto a convergenza ed organizzazione, ma quale ideologia, quale programma operativo, hanno in comune i partecipanti a queste manifestazioni di piazza?
«È venuto il momento – si leggeva nellannuncio del «primo flash mob ittico della storia» (così presentato nel lancio dalle pagine di Facebook) – di cambiare l’inerzia della retorica populista, di dimostrare che i numeri contano più della prepotenza, che la testa viene prima della pancia e che le persone vengono prima degli account social». Vederci ideologia mi pare estremamente arduo, ma almeno cera traccia di un programma operativo? Se sì, sembrava darsi nelleffimera presenza in piazza «dalle ore 20:30 alle 20:45» di quel 14 novembre, che in coda diventavano «20 minuti oggi per salvare 5 anni del tuo futuro»: dobbiamo ritenere che in quei 5 minuti di scarto ci fosse in nuce il «fenomeno di aggregazione e mobilitazione di individui che, in seguito a mutamenti socioeconomici intervenuti, sviluppano la coscienza della loro identità di gruppo sociale e si impegnano attivamente per realizzare un mutamento della loro condizione o dello stesso sistema politico» (ancora Treccani)? Non credo si possa arrivare a tanto: le «6.000 sardine contro Salvini» sembrano limitarsi a esprimere avversione – legittima avversione, peraltro ampiamente condivisibile, come dimostrano le simpatie di cui son state prontamente fatte oggetto – a chi in questo paese oggi sta allopposizione, sicché non si capisce a quale «mutamento del sistema politico» possano mai aspirare visto che in sostanza scendono in piazza in difesa di quello che Salvini – si paventa – vorrebbe sovvertire.
Né credo vada meglio con quella «identità di gruppo sociale» di cui dovrebbero avere «coscienza», perché, se è a un manifesto che di solito si affida il compito di chiarire natura e intenti di un movimento, quello delle «sardine» lo elude: quello che mobilita, infatti, non è un «gruppo sociale», ma uno stato d’animo, sicché sarebbe più opportuno parlare di un «manifesto», mettendoci le stesse virgolette che abbiamo messo a sardine e a movimento.

Chi siete? «Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto».
E questo sarebbe un «gruppo sociale»? Non scherziamo, si tratta solo di bellurie gettate in mare come reti a maglie molto strette per pescare di tutto, a strascico. Non c’è da meravigliarsi che dentro possa finirci ogni cosa, una viscida bavosa come la Pascale («Potrei scendere in piazza con loro»), una velenosa manta di fondale come Ferrara («Lasciate nuotare in pace le sardine, fenomeno consolante e nuovo»), un Cerasa che da pesce cardinale si nutre di quello che a Ferrara è rimasto incastrato tra i denti («La bellezza delle sardine è quella di essere non solo un veicolo di resistenza contro i nazionalismi nemici della libertà ma anche uno specchio del nostro impegno personale per difenderci dagli amici delle democrazie illiberali») e perfino uno spinoso pesce palla come il Mantellini («Le piazze piene di sardine, sottolineando gli abissi della destra populista, rendono palese, in maniera inedita e fragorosa, anche il vuoto culturale del centro sinistra. Le sardine sono un’occasione»).

Dai consensi che raccolgono, dalle speranze che nutrono, si ha l’impressione che si tratti dell’ennesimo «populismo dall’alto», espressione di un «popolo» che ha la pretesa di rappresentare in esclusiva le ragioni del cuore e del cervello nella perfetta sintesi di buon senso, buona educazione e buoni sentimenti, a fronte del montante «populismo dal basso», quello del «popolo» che sa farsi forte delle ragioni del ventre, che è fegato e stomaco, acido e bile, e naturalmente merda, ma anche milza, e cioè spleen, che insieme è inquietudine e tedio, accidia e sordo malumore. Qui suppongo sia superfluo segnalare quanto in entrambi casi siamo all’organicismo, che, a dispetto dell’irriducibilità con la quale rappresenta il conflitto sociale, in tasca ha già in partenza la ricetta per risolverlo in trattativa e compromesso.
Nessuna minaccia di guerra civile, dunque, nel fenomeno delle «sardine», anche se i toni suonano bellicosi, oltre che ridondanti di una retorica assai sciatta, in qualche punto francamente ridicola: «Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede, delle nostre paure e difficoltà per rapire la nostra attenzione. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla. Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare. Per troppo tempo avete ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi buttando tutto in caciara. Per troppo tempo avete spinto i vostri più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete. Per troppo tempo vi abbiamo lasciato campo libero, perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare. Adesso ci avete risvegliato. E siete gli unici a dover avere paura. Siamo scesi in una piazza, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo contati. È stata energia pura. Lo sapete cosa abbiamo capito? Che basta guardarsi attorno per scoprire che siamo tanti, e molto più forti di voi».
Quello che tuttavia rende evidente la reale natura del fenomeno, che peraltro non è affatto nuovo (basti pensare a quel che De Magistris è riuscito a confezionare a Napoli mettendo insieme spezzoni di borghesia post-bassoliniana, sottoproletariato urbano, e centri sociali), è l’irrinunciabile aggancio ai potentati partitici che le «sardine» chiamano a sostenere l’operazione, ma tenendosene fuori, per evitare il rischio di delegittimarla come espressione della cosiddetta «società civile»: «Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono». E chi sono, di grazia? Perché non farne i nomi?

In quanto al «nemico», niente di nuovo, cioè, per meglio dire, di nuovo c’è che l’«uccidere un fascista non è reato» che le teste calde mettevano a ciliegina sulla torta del cosiddetto «arco costituzionale», che i partiti della Prima Repubblica si spartivano col Manuale Cencelli, qui trova forma soffice (si fa per dire), perfino rassicurante (si fa per dire), in un democraticissimo (si fa per dire) «non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare».
Poi, a sigillo, la citazione da una canzonetta, l’inconfondibile firma di chi con la sensibilità, il gusto e la cultura è rimasto ai tempi del liceo, quando il ventaglio psicologico raramente esorbita dal Postalmarket delle emozioni indossate dai cantautori. Provando a sostituire l’evocazione della prosaica scatoletta di latta con quella indubbiamente assai più lirica de Le acciughe [che] fanno il pallone mettendo in fuga il predone, a Genova sarà la volta di De André, ma a Bologna il genius loci è Dalla, e dunque: «È chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi, è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Com’è profondo il mare». Resistendo alla tentazione di unirsi al coro, dove sarebbe questo pensiero che dà fastidio?

Personalmente sottoscrivo quanto ha detto Buttafuoco: «Sembrano usciti da una canzone di Jovanotti: da Che Guevara a Madre Teresa, un’unica chiesa... L’unica salamoia che li tiene è quella del conformismo, perché non sono forse ascrivibili al Pd, ma di sicuro lo sono al mainstrem, all’establishment... Sono tutti pronti per diventare senatori a vita, se non fosse che la piazza degli aspiranti è troppo affollata... Non fanno altro che lisciare il pelo nel verso giusto. Se c’è una cosa certa, è che non sono ribelli: non sono certo “indiani metropolitani”, non sono punk, sono benevolmente accolti da tutti i giornali più importanti, nelle trasmissioni fighette sono ospiti d’onore... Sono diventate delle star funzionali alla perenne ricerca che la sinistra fa del “papa straniero”, una volta è Saviano, una volta è l’attuale pontefice, una volta lo vanno a trovare in Carola Rackete...». Parlava a braccio, gli si può scusare qualche sbavatura di stile.

9 commenti:

  1. Ci ha preso Buttafuoco anche se ha nostalgia tutte estetizzanti di ritorni al governatore della Libbia.

    Qui un mio modesto contributo (ma vedo che hai già apprezzato)

    https://fmentis.blogspot.com/2019/12/tableau-vivant-con-sardine.html

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  2. Avevo un compagno di scuola insofferente alla filosofia, specie ai filosofi greci. Cominciò con Talete: se l’acqua è il principio di tutte le cose, chiedeva, come si spiega il fuoco? Il professore sorrideva, ma non riusciva a fare breccia. Quando si arrivò a Parmenide, il professore diventò nervoso. Infatti, dopo la spiegazione, incentrata sulla nota affermazione “l’essere è, il non essere non è”, l’obiezione del mio compagno poteva così sintetizzarsi: “embe’?”.
    Non sono sicuro che tutti noi ne capissimo di più, ma quel compagno lo consideravamo un pirlacchione. Devo però dire che, viste le sardine, lo rivaluto. Le sardine sono ontologiche. Cioè, esistono, e in ciò esauriscono la loro funzione. Esistono e si contano, epperciò pretendono di contare. Tuttavia, il citato processo (esistere, essere contati, contare) in una democrazia rappresentativa prende vita in un preciso momento: quello delle elezioni. Se invece questa cosa ontologica nasce e muore ogni giorno in piazza, allora il mio ex compagno sicuramente direbbe: sei in piazza e ci sei, se non fossi in piazza non ci saresti. Embe’?

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  3. Un mio coetaneo ha partecipato a due piazze, in città che ha raggiunto in treno: un po' perché così gli hanno detto che inquina meno, un po' perché mesi fa l'hanno beccato alla guida dell'auto completamente ubriaco e gli hanno ritirato la patente.
    E' stato quest'ultimo fatto a convincerlo definitivamente a ribellarsi e farsi sardina.
    Stia bene, sempre utile passar di qua.
    Ghino La Ganga

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  4. Chiedo scusa per la polemica fuori luogo.
    Favola triste.
    Gino e Gianni sono molto diversi.
    Gino strilla frasi fatte e ingenuità generiche, migliaia di persone lo acclamano. I Grandi Saggi dei Blog, dall'alto della loro oceanica sapienza, irridono e disprezzano lui e i beoti che lo fanno sentire forte.
    Gianni invece ha una precisa coscienza politica, a venticinque anni parte per il Rojava, combatte l'Isis, partecipa al più clamoroso esperimento democratico del mondo islamico. Curiosamente nessuna folla oceanica si entusiasma per questa prospettiva, e di fronte a un giudice armato di leggi fasciste Gianni si trova solo come un cane. Non dovrebbero, dico io, i Grandi Saggi dei Blog fare almeno un cenno, se non di incoraggiamento, almeno di riconoscimento? O una folla di beoti è la condizione necessaria per suscitare il loro interesse?

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  5. non sarei così negativo, se l'identità dei partiti odierni è più di ordine etico-estetico che programmatico le sardine non hanno niente da invidiare a nessun partito, esprimendo un'etica-estetica abbastanza chiara. Inoltre penso sia di qualche interesse avere dimostrato che c'è una consistente fetta del paese abbastanza soddisfatta della propria condizione.

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  6. Meno male che c'è Malvino. E anche Buttafuoco.

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    1. P.s. Dimenticavo: il mio coetaneo di cui sopra ha votato due volte Cinquestelle ( 2013 e 2018).

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  7. ...un tipo umano senza pressanti problemi economici e non assorbito da questioni economiche (tipo far quadrare i conti in azienda), non colto ma rispettoso della cultura, amante del buon senso, dei buoni sentimenti e dell'educazione.

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  8. meno male che c'e anche iggy pop,
    dall'album: Free, il singolo, loves missing e altre perle...

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