Questo
post è una lettera aperta in risposta a chi mi ha scritto dicendo che mi stima
tanto, mi legge sempre con piacere, bla bla bla, ma s’incazza quando nego che
le radici d’Europa siano cristiane, perché gli sembra che io voglia chiudere gli
occhi su una realtà di fatto, e questo gli dispiace, perché gli pare che in
questo modo io faccia torto alla mia intelligenza. Capirete bene che non posso
lasciare nell’afflizione un lettore che mi insulta in modo così carino, dunque eccomi
qui. Sarà un post lungo e noioso, che almeno a chi mi legge già da tempo
consiglio di
saltare senza indugio, perché qui ripeterò cose già dette.
Ciò
premesso, caro ***, vogliamo innanzitutto metterci d’accordo su quello che
debba intendersi con «cristiano»? Da quello che mi scrivi («in Europa ogni due
passi c’è una chiesa, l’arte è piena di cristi e di madonne…») devo supporre tu
voglia intendere quanto attiene al cristianesimo, dunque si tratterebbe di
radici non più vecchie di venti secoli. Ammesso e non concesso che prima, col
mondo greco e con quello romano, non si potesse propriamente parlare di Europa
o che, in subordine, il mondo greco e quello romano siano stati solo il terreno
dal quale le radici di cui parliamo abbiano tratto un qualche nutrimento, di
quale cristianesimo parliamo?
Non
di quello primitivo, suppongo, che nasce in Palestina, terra che con l’Europa
c’entra assai poco, come corrente dell’ebraismo, in opposizione alla gerarchia
che reggeva il Tempio di Gerusalemme, e nemmeno è detto ancora cristianesimo.
Ti risparmio la sinossi delle convinzioni che nutrivano i primi seguaci del
movimento, d’altronde ci sarebbe da perderci la testa per le differenze anche
marcate riscontrabili tra una comunità e l’altra. Mi limito a dirti che solo un
buontempone potrebbe intravvedere in quell’embrione qualcosa che abbia a che
fare con quella che a quei tempi già si chiamava Europa, men che meno con
quella che sarà l’Europa nei secoli successivi, e perfino con lo stesso cristianesimo
di là a qualche decennio.
E
allora sarà che le radici cristiane dell’Europa debbano essere cercate nel cristianesimo
del II secolo? Nemmeno. In quel secolo il cristianesimo è ben diverso da quello
che verrà dopo: è religione di classi agiate che si predispongono alla fine dei
tempi, che è attesa da un momento all’altro. Ha già avuto qualche
contaminazione con l’ellenismo, ma rimane ancora una profezia biblica, nella
quale nessuna Europa precedente o da venire è neppure rappresentabile. Solo
verso l’inizio del III secolo, visto che la fine dei tempi non arriva, i
cristiani tornano a una vita più o meno normale, mentre si dovrà aspettare
ancora un altro secolo perché il cristianesimo si faccia cristianità, comunità
unitaria e gerarchizzata che mira a un’espansione senza limiti e a un controllo
pieno di tutte le attività sociali. Fino a qualche decennio prima, i cristiani
si disponevano sereni al martirio pur di non essere reclutati in un esercito,
mentre da qui in poi sarà prevista la scomunica per quelli che abbandonano il
servizio militare.
È
in questo periodo, con Costantino, che il cristianesimo si fa europeo,
innestandosi sul mondo romano, sulle sue tradizioni, la sua cultura, la sua
storia, parassitando radici che erano già lì da almeno una dozzina di secoli. A
parte, potremmo discutere di quanto il cristianesimo sia realmente cosa nuova o
originale: in realtà, nasce già come momento sincretico tra l’ebraismo e i movimenti
religiosi del più vicino oriente. Altrettanto a lungo si potrebbe discutere di
quanto questo parassitamento abbia cambiato la natura delle radici greche e
romane dell’Europa, ma, se dobbiamo leggere la storia senza usare la lente dal
verso sbagliato, dal III secolo in poi troviamo più romanità nel cristianesimo
che viceversa, d’altronde tutta la Patristica altro non è esegesi evangelica funzionale
alla sovrapposizione della Chiesa sull’Impero.
È
da questo punto in poi che viene meno la tolleranza verso le innumerevoli
varianti dottrinarie che convivono nel mondo cristiano e che inizia la lotta a
quelle che così diventano eresie. Di pari passo comincia a prender forma quella
imperializzazione del cristianesimo che sarà fatto compiuto solo tra il V e il
VI secolo, quando, neutralizzato per assorbimento quanto è riutilizzabile e non
sopprimibile del paganesimo, la cristianità assume i caratteri distintivi che,
con gli aggiustamenti del caso, manterrà fino a quando non si comincerà a
metterla in discussione.
Il
cristianesimo impone il suo segno sulle bandiere d’Europa per soli dieci
secoli, dodici a volerci mantenere larghi. Dieci-dodici secoli nei quali può godere della pienezza dei mezzi necessari a
impregnare di sé la vita di milioni di individui, dalla culla alla tomba, con
la pervasività di una violenza che non risparmia niente. Non si tratta di
«radici», caro ***, si tratta di rami e foglie che non lasciano spazio ad
altro, e fra i quali ogni nido assume la forma del bozzolo, fuori dal quale è
semplicemente negata la possibilità di vita e di pensiero. Nessuno nega che lo
spazio storico e geografico detto Europa sia ingombro di questa vegetazione –
non io, mai fatto, anzi – ma affermare che l’Europa o sia cristiana o non sia,
onestamente, mi pare una bestialità.
In
quanto al fatto che la sostanza antropologica solitamente detta Europa rechi il
segno indelebile del cristianesimo, che neanche il suo avanzato stadio di
secolarizzazione è fin qui riuscito a rendere indistinguibile, nulla quaestio:
si tratta di quanto resta di una conquista, di tratta nel marchio a fuoco
impresso sulle carni dell’animale. Cosa diversa è voler dare a questo segno un
senso diverso: le assurdità, le ambiguità e le contraddizioni che usque ab ovo
troviamo nel cristianesimo, e che pure acquistano una loro logica nel darsi in
elementi dialettici all’interno di una storia, restano quel che sono anche nel
loro precipitato, e dunque prefigurano la crisi del cristianesimo per cause che
gli sono intrinseche, prima fra tutte il nodo tra immanenza e trascendenza
stretto nel dogma dell’incarnazione, perché un Dio che s’incarna non può che
fare una brutta fine, anche dichiarandone la resurrezione. In secondo luogo, dare
al Dio unico un carattere trinitario: torna utile a inverare nella storia il
suo corpo mistico, ma lo espone pure a pulsioni disgreganti.
Come
vedi, caro ***, parlare di «radici cristiane dell’Europa» è un’operazione
storiografica – insieme – ingenua e strumentale. Che di tanto in tanto venga riproposta, francamente, che palle.
P.S.
Ho cercato di contattarti per avere il permesso di riprodurre il testo della
tua lettera insieme a questa risposta, ma non mi hai dato cenno, così mi sono
risolto a sintetizzarne il contenuto della premessa e a lasciarti nell’anonimato.