venerdì 21 novembre 2014

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6 commenti:

  1. Benché dubiti che questo sia lo scopo del post, non posso astenermi dal considerare che Maupassant capiva poco di musica, come dimostra la confusione fra nota e accordo. Una nota “faux” è una nota sbagliata, che effettivamente capita più di frequente a un violinista che ad altri strumentisti. Un accordo “faux” è, con ogni probabilità, un accordo “dissonante”, definizione oggi fuori dall’uso, ma certo molto in voga a fine ottocento. E qui entra in gioco il diverso, e per certi versi affascinante, ritmo di sviluppo delle discipline artistiche nelle diverse società. In quegli anni, Wagner era già morto, e gli accordi “dissonanti” erano pane quotidiano per i tedeschi. Per i francesi, no. Ciò avveniva mentre, nel campo delle arti figurative, processi analoghi vedevano i francesi all’avanguardia indiscussa, quando all’Opéra Garnier continuavano a celebrarsi stanchi riti tonali.

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    1. Talvolta i post su questo blog hanno come destinatario un solo lettore, spesso a chiusura di un carteggio privato. In questo caso, si partiva dall'ironica definizione di "artista" che ho dato in uno dei post qui sotto e presto io e il mio interlocutore siamo partiti per la tangente, arrivando alla polemica che nel 1949 si consumò tra Massimo Mila e Palmiro Togliatti. Il brano da Mont-Oriol era citato dal Migliore che prendeva la posizione del "bourgeois" ("in questo caso, ahimè, siamo noi i borghesi, cioè i profani!").. Postare il brano era una ironica resa all'imperscrutabile azione dello Spirito che opera attraverso l'artista usandolo come un semplice medium, inconsapevole di mezzi e fini (e anche in ciò mi auguro si colga ironia).
      In quanto al merito, le sue osservazioni - sempre assai lucide, acute e documentate quando si intrattiene sulla musica - mi fanno venire voglia di chiederle un parere sulla fortuna di Hector Berlioz, innanzitutto in patria. Non suonarono "faux", i suoi accordi, al "bourgeois"?

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    2. Vado a memoria. C'è una vignetta satirica, che faccio fatica a trovare su internet, la quale rappresenta i critici musicali compatti nel dare addosso a Berlioz in vita, e a seguire disperati i suoi funerali.
      Le accuse erano soprattutto di essere fracassone, e non c'è dubbio che gli strali si appuntassero sulle dissonanze, intese come sgradevolezze.
      E' noto che in patria non ebbe molto successo neanche fra il pubblico (cioè fra i bourgeois), e la ragione potrebbe benissimo essere la sua non convenzionalità, che però a me non pare veramente innovativa. Quanto a innovazione, sta a Wagner come Mahler sta a Schoenberg. Non a caso, erano ambedue grandi direttori, e il grande direttore romantico e post-romantico è troppo edonisticamente affezionato al suono dell'orchestra per sviluppare profondità di composizione. Forse era veramente un fracassone: tendo a concordare con i bourgeois.

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    3. E' la disperazione ai funerali che dà da pensare. Henry Barraud scrive: "La cultura musicale, riservata un tempo all'aristocrazia, poteva discendere solo lentamente nella borghesia, nuova classe diringente. In Germania, al contrario, ove le corti erano dedite prevalentemente all'opera italiana, dalla borghesia era partito, per reazione, un movimento musicale di tendenza nazionalista. Per cui questa nazione aveva accolto a braccia aperte il francese, erede spirituale di Beethoven". Muore nel 1869: si compie così in fretta la trasformazione della sensibilità francese, visto che Les Troyens nel 1858 (dieci anni dopo il fatale 1848) ancora fa storcere il muso?

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    4. Come risulta dalla lettura di Balzac e degli altri romanzieri francesi dell'ottocento, di sensibilità ce n'era ben poca, nella patria dello spirito borghese. Gli stessi clienti degli impressionisti è dubbio avessero sensibilità artistica. La retorica delle esequie è parte del gioco. In realtà, Berlioz è stato rivalutato solo a Novecento inoltrato. Non da me, devo dire con dispiacere: ma la sensibilità uno non se la può dare.

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  2. apperò, che piacere leggervi
    Pio

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