mercoledì 29 aprile 2015

Solo artigianato

La differenza tra un grande artista ed uno dei garzoni della sua bottega che mai riuscirà a toccare i vertici espressivi del maestro, rimanendo in eterno un «anonimo della scuola di», non sta tanto in un difetto della tecnica, che anzi può essere facilmente appresa, laddove vi sia un minimo di applicazione, ma nella incapacità di darle efficacia infondendo alla materia una qualità che la trascenda, conferendole il potere di dare vita propria a ciò che rappresenta.
Per semplificare potremmo dire che questa differenza fa la distanza tra creazione e ricreazione, tra scoperta e invenzione, tra respiro e insufflo, il che spiega come un apprendista possa essere arrivato pure a riempire tre quarti di una tela, e con resa ineccepibile, ma perché il quadro sia un capolavoro occorre che al resto abbia pensato chi possedeva la superiore virtù di riuscire ad animarlo.
Questo, tuttavia, neanche basta a poter dire che il garzone sia mera proiezione dellartista, comè dato constatare dalla possibilità di riconoscere, almeno ad unanalisi supportata da strumenti congrui allo scopo, due mani differenti in quel quadro pur nella perfetta omogeneità del tutto.
È questo, in definitiva, che consente, ovviamente a chi abbia tutta lesperienza necessaria per non cadere nellinfortunio dellerrata attribuzione, di poter riconoscere in unopera di un grande artista il contributo di un oscuro e pur valente collaboratore.

Se la premessa non vi ha sfiancato, passiamo a considerare Claudio Cerasa alla direzione de Il Foglio. Non malaccio negli sfondi, nei panneggi e nelle anatomie, ma quando mette mano alla filosofia politica – chiamiamola così – il quadro diventa irrimediabilmente crosta.
Giuliano Ferrara si prostrava in estasi davanti al Potere, non ha importanza in quale forma gli apparisse, né da quale istinto procedesse, riuscendo a prodursi in salmi di feroce cinismo che offriva a questo o quel fetente come pergamene attestanti lincontestabilità di un titolo, ed erano pezzulli degni del più zelante dei sacerdoti a guardia del Tempio, editoriali di una brutalità che ardeva come arde il fuoco sacro che vorace esige il tributo di una vittima, e tutto era in ossequio alla magnificenza dell’arbitrio solennemente legittimato in privilegio, e con brillanti concessioni ad un immaginifico che pescava nei registri alti e in quelli bassissimi... Insomma, leccava il culo al potente di turno, ma ci metteva l’arte.
Cerasa, no. Quand’anche sta sull’uscio di bottega in posa da titolare, Cerasa è destinato ad essere garzone a vita. Lecca pure lui, ma non ci mette l’estasi: si vede che per lui il Potere è solo forza meccanica, non energia dinamica. Maramaldeggia pure lui i deboli, quello è naturale, fa parte dellinsegnamento e del lascito, ma invece della lectio sulla necessità che il pesce grande mangi il pesce piccolo, cui il vocione di Ferrara dava un bel cupo rotto solo dalla folgore di un «così va il mondo, bellezza», Cerasa si limita a spiegar loro che non è tanto Renzi ad essere squalo quanto loro ad essere merluzzi: «La democrazia viene sospesa quando le opposizioni non funzionano e non rappresentano un’opzione» (Il Foglio, 29.4.2015). Anche di pregio, insomma, ma solo artigianato.

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