mercoledì 25 dicembre 2019

Fingiamoci in ansia, ma nessuna paura


«Con il taglio del contributo per la trasmissione delle sedute parlamentari da dieci a cinque milioni di euro – chiedevo – il governo vuole la chiusura di Radio Radicale? Si accetti la sfida – proponevo – e si rinunci anche agli altri cinque. Di più – aggiungevo – si rinunci anche ai quattro milioni e mezzo che le arrivano dai contributi per leditoria. Si apra una sottoscrizione e i duecentoquarantamilaedispari ascoltatori di Radio Radicale si dichiarino disposti a pagare una quota annua di sessanta euro (14.500.000/244.000 ≃ 60)». E qui facevo cenno a mettere mano alla tasca, fidando nei mirror neurons dei tanti che, come me, erano precipitati nello sconforto alla notizia che, senza quei cinque milioni, Radio Radicale era destinata a chiudere.
60 euro allanno, mi dicevo, sono uninezia, e tanti fra gli sconfortati sono tuttaltro che indigenti, chissà che di milioni non finiremo a metterne insieme trenta, quaranta e, perché no, cinquanta. E già mi immaginavo il titolone nel sommario del tg delle 20,00: «Schiaffo morale di Radio Radicale a Vito Crimi: “Ficcateli nel culo, i soldi della convenzione: diventiamo società ad azionariato diffuso”»; neppure un cenno a chi aveva avuto l’idea, ma, vabbè, fa niente, tanto sono abituato a non veder riconosciuti i miei meriti.
Quella, peraltro, a me sembrava una proposta che avrebbe avuto il pregio di inchiodare tutti alla coerenza del ruolo che ciascuna delle parti aveva imposto allaltra: i «barbari» si sarebbero comportati da veri barbari, dandone prova con la plateale barbarie di colpire al cuore una radio seguitissima dallo 0,7% dei 34 milioni di radioascoltatori italiani, pochi forse, ma créme de la créme della nostra società civile; e i «liberali de sto cazzo» si sarebbero comportati da liberali come Dio comanda, rinunciando a continuare a fare impresa col denaro pubblico, affidando le proprie sorti allapprezzamento che il prodotto avrebbe riscosso sul mercato.
È che, da incallito fruitore a gratis del servizio offertomi da Radio Radicale, proiettavo il mio sgomento per la decisione presa dallodiato governo giallo-verde sullo sgomento che constatavo negli altrettali incalliti fruitori a gratis che, forti dellautorevolezza loro conferita da ruoli di prestigio svolti in campo politico, culturale, economico, ecc., si erano tosto mobilitati perché la decisione fosse revocata, così mostrando, però, di fidare, da un lato, che i «barbari» non fossero barbari fino in fondo e, dallaltro, che, almeno per lItalia, Dio comanda solo «liberali de sto cazzo»: lidea di mettere mano alla propria tasca per evitare la tragedia non sfiorò neppure uno dei tanti eroici paladini scesi in campo, costringendomi allamara constatazione che avevo proiettato male il mio sgomento. Ne ebbi la prova dal succedersi degli eventi, che portarono alla revoca del taglio. Solo provvisoria, è vero, ma, in un paese dove il provvisorio è istantanea del permanente, è come dire: «Cara Radio Radicale, scusaci tanto, era tanto per dire».
Gli eventi, quelli, sono noti a tutti, e danno ragione del sistema che Enzo Forcella illustrò magistralmente in Millecinquecento lettori: «Un giornalista politico, nel nostro paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende trecentomila copia. Prima di tutto non è accertato che i lettori comuni leggano le prime pagine dei giornali, e in ogni caso la loro influenza è minima. Tutto il sistema è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di lettori privilegiati. Trascurando questo elemento, ci si esclude la comprensione dellaspetto più caratteristico del nostro giornalismo politico, forse dellintera politica italiana: è latmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono fin dallinfanzia, si offrono a vicenda le battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano, si vogliono bene. Si recita soltanto per il proprio piacere, beninteso, dal momento che non esiste pubblico pagante».
E tuttavia queste «recite in famiglia» hanno un costo e, visto che sono indispensabili alla «famiglia», qualcuno deve pur sostenerlo: nessun problema, cè il denaro pubblico, che incidentalmente è nelle disponibilità della «famiglia». Nessuno stupore, allora, nel vedere in soccorso di Radio Radicale anche chi mai lingenuo avrebbe immaginato – vescovi, leghisti, parlamentari di destra e di sinistra che fino al giorno prima Pannella aveva definito «palermitani» e «corleonesi», e perfino qualche membro della Corte Costituzionale, quella da sempre definita «cupola della mafiosità partitocratica» – un po come sorprendere in trattoria, dopo lo spettacolo, Cesare e Bruto allo stesso tavolo. Non poteva che andare comè andata, e confesso che un po mi vergogno di aver temuto che Radio Radicale potesse chiudere, e di averlo temuto al punto da metter mano alla tasca perché non chiudesse. Meno male che ho lasciato adito a pensare che fosse una provocazione, va.

Non commetterò lo stesso errore con Il Foglio, che ieri apriva con straziante strillo: «Un tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo». Il lessico – sconnesso ad arte, cè da scommetterci – mira a trasmettermi panico, ma non ci casco: Il Foglio è troppo simile a Radio Radicale per temere che gli si possano negare quegli ottocentomilaedispari euro allanno, da pazzi pretendere che sotto la testata, come fa Il Fatto Quotidiano, metta un «non riceve alcun finanziamento pubblico», alzando il prezzo per copia: perché i suoi lettori dovrebbero accollarsi lonere personale di dimostrare quanto sia indispensabile il giornale quando tanti di loro hanno modo di convincere chi di dovere che lonere spetta a tutti? Stavolta, dunque, assisterò alla recita senza patemi: dietro lennesima tragedia che vede opposte civiltà e barbarie saprò godermi la solita commedia allitaliana coi suoi più divertenti caratteri, i «barbari» di buon cuore e i «liberali de sto cazzo». E comincerò col godermi proprio il coro che apre la prima scena del primo atto: «Un tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo».
«Che non riuscirà» sta messo lì un po a cazzo, fa confusione, forse ci andavano una virgola prima e una dopo, e «tentativo... per cercare» è senza dubbio pleonasmo che stride, ma si diceva: non è ignoranza, è tecnica per indurre allansia, e sono certo che otterrà l’effetto. Se il titolo tende a mettere il lettore della postura giusta perché il pugno nello stomaco sia massimamente efficace, il testo lo sferra con tutta la forza necessaria: «La decisione è di escludere il Foglio dai contributi all’editoria per il 2018 [e] la motivazione non è chiara [ma] qualche tempo fa, nell’era Salvini-Di Maio, il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, aveva sarcasticamente domandato al nostro Salvatore Merlo perché mai si desse tanto da fare visto che il Foglio sarebbe stato chiuso».
Motivazione, dunque, chiarissima: per sua natura, lo zoticume ha in odio la signorilità, e signore, Il Foglio, lo nacque, basti pensare al fatto che per anni a preparare le mesate per i redattori era lo stesso Spinelli che preparava le buste per le olgettine, a compenso per la partecipazione a cene altrettanto signorili. In buona sostanza, siamo chiamati a scegliere, a schierarci: stiamo con un avanzo della più trucida tv di fine secolo o col giornale caro alla créme della créme della società civile?
Ma, di là dai contendenti in campo, dove sta il quid del contendere? Primo: allepoca in cui il turpe Casalino mozzava la testa a un cavallo e la ficcava sotto le coperte di Cerasa, «la Guardia di Finanza aveva rispolverato una vecchia inchiesta di accertamento giacente da sette anni nei cassetti sui contributi per gli anni 2009-2010 [in base alla quale emergeva che] il Foglio non aveva diritto in quel biennio ai contributi di legge perché non aveva raggiunto la percentuale del 25% delle vendite calcolate sull’intera tiratura», e questo non è vero, perché la percentuale sarà stata almeno del 26%, forse addirittura del 27%, che forse sarà sempre poco, ma solo per chi sguazza nella Nutella e neanche ha idea di cosa sia la créme de la créme.
Secondo: per la Guardia di Finanza, «il Foglio era organo di un movimento inesistente, la Convenzione per la giustizia, il che era gravemente falso, visto che il movimento esisteva, aveva tenuto un suo congresso di fondazione a Firenze […] e dunque il suo giornale tribuna, che non ha mai risparmiato parole di commento e fatti raccontati in materia di giustizia e garantismo giuridico, aveva il collegamento di legge necessario, per non parlare della legittimazione politica civile e culturale, con una struttura effettivamente costituita».
E anche questo è sacrosanto, basta digitare «Convenzione per la giustizia» nella finestrella di Google: la prima voce non centra un cazzo con Il Foglio, ma la seconda rimanda proprio alla scheda audio dellarchivio di Radio Radicale che dà registrazione integrale di quel «congresso di fondazione», nel 1998; a seguire, solo voci malevole che la danno come «trucchetto per prendere i contributi pubblici», ma si sa che il mondo è cattivo, la cosa, quindi, non fa testo.
Terzo: «La cooperativa per la Finanza non era una vera cooperativa in quanto le forze che avevano dato origine al Foglio come Srl vi erano rappresentate e la sostenevano in relazione alla valorizzazione della testata, che il Foglio aveva da loro in affitto». E qui Il Foglio commenta: «È l’ultima falsificazione di una serie», ma senza spiegare perché.
Fa niente, in fondo anche se fosse vero, e anche se la Convenzione per la giustizia fosse solo un trucchetto per prendere i contributi pubblici, anche se negli anni 2009-2010 Il Foglio avesse venduto solo l1% dellintera tiratura, il «sistema» è inattaccabile e i soldi per la «recita in famiglia» di cui Il Foglio è prestigioso teatrino, vedrete, si troveranno. Fingiamoci in ansia, dunque, ma nessuna paura: le leggi del mercato sono valide per gli operai dellIlva e della Whirpool, mica per i giornalisti de Il Foglio.
In fondo, poi, si tratta di 800mila euro allanno, fa meno di 0,03 euro per ciascuno dei 28,6 milioni di contribuenti attivi che lIstat calcolava lanno scorso: è un reddito di cittadinanza che ci possiamo permettere.


Appendice


6 commenti:

  1. impareggiabile. poi quella di Cesare e Bruto, allo stesso tavolo in trattoria dopo lo spettacolo, è servita come un babà in un giorno di magro.

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  2. Grazie, meravigliosa la lingua, geniale il contenuto.

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  3. Sono un uomo semplice. Per me, non si dovrebbero dare soldi né a Radio Radicale né al Foglio. Dirò di più: neanche ad Avvenire, il Manifesto, Libero, eccetera. E neppure -so di dire un’enormità, e forse di fare peccato- alla Civiltà Cattolica. Insomma, bando alle ciance: niente a nessuno. Non provo alcun disagio a concordare con il sig.Crimi, purché, sia chiaro, la comunanza di vedute sia limitata a questo specifico argomento.

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    1. non sono liberale e ho una posizione diversa da quella di Erasmo, e però nel caso del Foglio, o dei radicali, liberisti duri e puri, il discorso di Malvino non fa una grinza: si applichino le leggi del mercato. questo leggo nel post, non altro (lo dico in riferimento al figlio di Vittorio).

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  4. Leggere articoli come questo è un piacere. Perfetta la replica.
    Il finanziamento pubblico al Foglio è una vergogna, quello a Radio Radicale una vergogna anche maggiore.

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  5. ciao concordo anche con un post precedente invitavi l'ascoltatore di Radio Radicale a fare la colletta, giusto ma c'è un argomento ancora più evidente: già paghiamo con il canone sulla bolletta della luce una radio RAI PARLAMENTO che si sovrappone perfettamente a Radio Radicale alla faccia dell'esclusiva. Con tutto il rispetto per il pluralismo, questione diversa, la funzione pubblica di Radicale a quanto pare non così esclusiva e necessaria

    Come gli immobili pubblici abbandonati e la pubblica amministrazione in affitto in un immobile privato. Soldi rollati e fumati. Questi liberali sono una pacchia: Mattia Feltri introduce il reddito di partito o il reddito di giornale dalla finestra pur accompagnando alla porta quello di cittadinanza.

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