venerdì 10 aprile 2020

«They too are human...»






«Now, if you think that science is an abstract subject free
of sensationalism and distortions, I have some sobering news...
Scientists too are vulnerable to narratives... They too are human
and get their attention from sensational matters...»

Nassim Nicholas Taleb, The Black Swan, 2007




In tuttaltro contesto – era sei o sette mesi fa, recensivo una parodia di Platone alla corte di Dionisio – della scienza dicevo quanto segue:

Nei vari campi del sapere scientifico si finisce sempre per trovare un generale consenso su tutto ciò che in precedenza è stato oggetto di pur aspra e annosa contesa. Questo accade perché, per tacito accordo sottoscritto da chiunque aspiri a dir la sua in questo ambito, ogni posizione assunta nella contesa deve accettare di buon grado la condizione di mera ipotesi fino a quando non sia stata in grado di superare il vaglio empirico che la promuova a dato affidabile, verificabile e condivisibile, e tuttavia, per sua stessa natura, che è la natura del dato scientifico, inficiabile (aggettivo che credo sia preferibile a quel «falsificabile» che di sovente ingenera pericolosi fraintendimenti riguardo alla Fälschungsmöglichkeit di cui ci parla Popper). Un vaglio assai severo, occorre dire, dal quale tuttavia nessuno pretende di potersi sottrarre, né in forza dell’autorità precedentemente acquisita, né in virtù del fatto che la sua congettura si limiti a reggere sul piano logico, che pure è indispensabile perché si costruisca come ipotesi. Il «generale consenso» di cui si diceva prima, dunque, ha comunque un carattere di transitorietà, di provvisorietà, che perciò scoraggia l’uso di un termine come «verità» da appiccicare a quanto è pure unanimemente accettato in quanto scientificamente comprovato. Difficile dire con quanta consapevolezza accada, ma sembra quasi che chi si misura con la conoscenza scientifica abbia una riserva di pudore, di umiltà, di prudenza o di chissà cos’altro nell’assegnare a un dato scientifico quanto di assoluto (eterno, immutabile, universale) è intrinseco al concetto di «verità», riserva tanto pesante da persuadere a non farvi neanche cenno: a «vero» si preferisce sempre «attendibile», «esatto», «credibile», che di «vero» sono sinonimi, ma non rimandano alla «proprietà di ciò che esiste in senso assoluto» (Treccani) vantata dalla «verità».

È evidente quanto questo statuto sia stato violato negli ultimi mesi: mai tanto poco pudore, tanta poca umiltà, tanta poca prudenza, da parte di alcuni uomini di scienza chiamati a spiegarci cosa stesse accadendo. Sul piano deontologico, possiamo liquidare la questione col biasimo, ma su quello ontologico siamo chiamati ad essere indulgenti, concedere che «they too are human and get their attention from sensational matters», anchessi immersi in quella «société du spectacle», in cui «le spectacle n’est pas un ensemble d’images, mais un rapport social entre des personnes, médiatisé par des images», «une vision du monde qui s’est objectivée», «moment historique qui nous contient». In questa dimensione è del tutto comprensibile che, come tutti, «scientists too are vulnerable to narratives», e cioè alle trame che innervano il reale cercando di dargli un senso razionale, perché lidea possa dettar legge al mondo intimandogli di obbedire alla logica (meglio impartigli lordine in tedesco, come si fa coi cani: «Was vernünftig ist, das ist wirklich; und was wirklich ist, das ist vernünftig»).
Il problema – e problema bello grosso – nasce col dover constatare che le Reazioni umane alle catastrofi (titolo di un libricino tirato giù dagli scaffali in queste ultime settimane, autori Massimo Cuzzolaro e Luigi Frighi, Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, 1991) mettono in gioco emozioni: «Secondo Slovic, Fischhoff e Lichtenstein gli atteggiamenti sia individuali che collettivi che spesso si registrano nei confronti della minaccia ambientale (tecnologica o naturale) sono da una parte la tendenza alla “sovrastima” cui spesso corrispondono sentimenti di ansia e di impotenza e per contro la tendenza alla “sottostima” fino agli estremi della totale “denegazione del pericolo”» (pag. 49).
«Scientists too»? Sì, a sentire Slovic, Fischhoff e Lichtenstein parrebbe che la cosa non riguardi solo «policy makers and citizens», ma anche «the entire community of scientists», sicché cè da chiedersi: «If public debates and communications from experts do little to allay fears and, indeed, may exacerbate them, how should we structure public participation?» (Perceived Risk: Psychological Factors and Social Implications, pag. 22). Questione che ovviamente si pone anche in relazione allatteggiamento opposto, quello della «tendenza alla “sottostima”», che tuttavia occorre dire quasi mai arriva agli «estremi della totale “denegazione del pericolo”», se non nelle interpretazioni di comodo.
Di fatto, le interpretazioni di comodo sembrano privilegiare di gran lunga il discorso pubblico degli «scientists» che «do little to allay fears and, indeed», finiscono spesso per «exacerbate them». Il peggio, tuttavia, accade, quando lo «scientist» è uomo di «spettacolo» (qui tra virgolette per rimandare a quanto se nè detto pocanzi), costretto a passare dal sottostimare al sovrastimare, per rispondere alla fluttuante istanza del mainstream.
Eccolo, dunque, quando in Italia il Sars-coV-2 è almeno da tre settimane, dire in favore di telecamere che «oggi in Italia il virus non cè, al momento ha più senso preoccuparsi dei meteoriti» (LAssedio, 20.2.2020 – Nove), e allora possiamo sentirci in una botte di ferro, tanto il governo ha sospeso i voli da e per la Cina, possiamo allegramente pigiarci in 47.000 a tifare per l’Atalanta contro il Valencia, e dopo aver portato il nonno al Pronto Soccorso: tossiva e aveva un po di febbre, ma si trattava senza dubbio di banale influenza (quella che comunque ne ammazza 8.000 ogni anno), il virologone escludeva potesse trattarsi di Covid-19.
Lo stesso virologone che, a vedere una settimana dopo il Sars-coV-2 diffondersi dallo stadio di Bergamo e dal Pronto Soccorso a unintera regione, avallava misure di restrizione del tutto immotivate a fronte di una possibilità di contagio che, come per ogni virus, è in relazione alla carica virale infettante: bastava una sola particella virale a sterminare un condominio. E forse gli si può pure concedere che lintenzione non fosse malvagia, in fondo cera da spostare lansia dal meteorite allepidemia, e bisognava farlo in fretta, ci voleva troppo tempo a spiegare che un R0 uguale a un 2,6 o a un 3,4 si ha solo in condizioni di pieno favore al Sars-coV-2, come quelle – guarda caso – realizzate col dire che «in Italia il virus non cè», certo non con landare a fare jogging.
Di fatto, seppure a fatica, si fa largo tra panico e isteria la ragione che spiega perché proprio la Lombardia, e proprio con quei numeri: al virus si è dato un formidabile moltiplicatore, prima, proprio come si è dato un altrettanto formidabile moltiplicatore alla paura, dopo. Qualcuno, certo, avrà pure fatto un pensierino per approfittarne e farsi regista dello «stato deccezione», Giorgio Agamben non ha tutti i torti, ma in larga misura abbiamo assistito all’inverecondo blaterare di personaggi in cerca di un autore.
E qui, proprio per aver concesso fin troppa indulgenza sul piano ontologico a questo genere di «scientist» che pretende di incarnare la «verità» sia quando sottostima che quando sovrastima, e sempre per servire le ragioni dello «spettacolo», siamo sbalzati con violenza su quello deontologico, dove lo troviamo con la sua ineffabile faccia di cazzo a promuovere un Patto trasversale per la scienza, che della «verità» pretende di essere il vocione autorizzato a zittire chi disturba lo «spettacolo». E su questo piano non basta il biasimo.

16 commenti:

  1. Io spero di sbagliarmi, che lei non stia da un po' di tempo indicando il dito. I suoi colleghi da almeno venti o trent'anni ci stavamo mettendo in guardia, e non sappiamo produrre nemmeno due braghe di tela per proteggerli. Non mi sorprenderei di scoprire a bocce ferme che il 50% dei contagi sia avvento per tramite delle strutture e personale sanitari. Spendiamo fortune dei cittadini per difenderci da guerre che nessuno crede più che possano avvenire, ma ha colleghi che muoiono per questa colpevole incuria pluridecennale delle istituzioni. Cos'è Burioni a fronte di tutto ciò? Qual è il problema, il timore di dover condannare questa globalizzazione?

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  2. Nessun timore di dover condannare *questa* globalizzazione, lei dovrebbe saperlo (https://malvinodue.blogspot.com/2017/01/serve-un-grande-manifesto-dellottimismo.html). Ma quella fa da contesto, perché colpe personali ci sono. In tal senso, non c'è bisogno che le bocce di fermino per dire, come d'altronde anche qui ho detto, che una "ragione [c'è] che spiega perché proprio la Lombardia, e proprio con quei numeri: al virus si è dato un formidabile moltiplicatore, prima, proprio come si è dato un altrettanto formidabile moltiplicatore alla paura, dopo". Molto più del 50% dei contagi si è avuto in ambiente sanitario. Molti grafici sono stati usati come randelli. Si è parlato di R0 senza chiarire che non era un valore assoluto, dipendeva dalla carica virale infettante, che quando è bassa dà risposta anticorpale senza causare polmonite. Si è fatto terrorismo, che è teatro, per coprire gli errori fatti nelle fasi iniziali dell'epidemia. E in ciò gli "scientists" si sono prestati da gregari, salvo qualche eccezione. E Burioni è stata punta di lancia di questa operazione. Personalmente mi fa una gran pena, poveraccio. Lo show business gli ha offerto un gancio che si è rivelato una gran botta di culo per chi sul piano accademico non vale neanche un pelo pubico - chessò - della Capua, e a quello sta aggrappato come un disperato. Sbarella, ma è evidente che gli capita perché è in affanno. Infine, sui "colleghi che muoiono per questa colpevole incuria pluridecennale delle istituzioni": un po' di colpa ce l'hanno pure loro, potevano prendere esempio dai tassisti, che, quando c'è da rivendicare, paralizzano una nazione.

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    1. Deve essere andato perso un mio commento. Mi interessa molto la questione della carica virale e mi piacerebbe approfondirla, se ha qualche riferimento da segnalarmi, poiché tra chi come me sta cercando di comprendere cosa dicano i numeri è questione poco compresa, trattandosi di soggetti quasi digiuni di fisiologia, e non riusciamo a farci dare un parere autorevole ed esplicativo, nonostante le insistenze.

      Il resto del commento mi pare che le chiedesse se c'era via diversa dal curare i malati in ospedale, per evitare che tutto ciò accadesse.

      Mi sovviene un altro commento: in Cina non si sapeva che era in arrivo un virus nuovo e nonostante ciò lo hanno identificato (parlo dei medici impegnati sul campo) in termini relativi molto prima dei nostri medici, che pur sapevano che esisteva un nuovo virus in giro per il mondo. A chi attribuisce la colpa, visto che riconosce l'esistenza di errori iniziali' Alle linee guida dell'ISS? Ai commenti di Burioni o simili? Al fatto che i cinesi avevano il vantaggio di aver già avuto a che fare con la prima SARS? Ai nostri medici impegnati sul territorio? A occhio e croce potrebbero esserci state almeno un centinaio e più di polmoniti anomale prima che qualcuno sollevasse la questione.

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    2. Ho cercato dappertutto (cartella spam della mia mail-box; pagina dell'editor relativa ai commenti; cestino, nel caso mi fosse capitato di eliminarlo inavvertitamente), ma del commento che lei dice andato perso non ho trovato traccia. In ogni caso, sulla "carica virale infettante" può trovare anche su Google-libri molte fonti. Le consiglio il Moroni-Antinori-Vullo, I cap., dal quale, a mo' d'esempio, riporto la seguente affernazione: "Occorrono milioni di particelle virali per infettarsi con HIV". Insomma, non è una singola particella virale (Sars-coV-2), a causare l'infezione (Covid-19), e, in numero non sufficiente a causarla, può addirittura essere in grado di evitarla inducendo il sistema immunitario a produrre prima le IgM e poi le IgG necessarie a difendere in maniera stabile (chissà se permanente) dalla malattia. E' quello che dev'essere accaduto ai tantissimi che hanno avuto contatto col virus, e dunque sarebbero stati positivi ad un eventuale tampone, ma non l'hanno mai saputo. Tra questi, ci sono quelli che non hanno sviluppato la malattia e quelli che l'hanno sviluppata, ma sono stati asintomatici o paucisintomatici. Se ne può dedurre, seppure senza avere solida nozione di quanto sia ampia la base della piramide, che il Sars-coV-2sia qui da noi da molto più tempo di quanto si creda, sia venuto a contatto con un'enorme quantità di soggetti, e che quanto si è visto (malati guariti, terapia intensiva, morti) sia solo la sua punta. In tal senso, quello che Ilaria Capua illustra oggi sul Corriere (pag. 13) è lo scenario più ragionevole: abbiamo un'altra "influenza" con la quale dobbiamo convivere e, fino a quando non si troverà un vaccino, possiamo solo contenere i danni, evitando che le misure di contenimento non creino più danni (psicologici ed economici) di quanti ne faccia il virus. E di danni psicologici ed economici - aggiungo io - ne ha fatti già troppi, e proprio per averlo trattato come se fosse peste. Tutto ciò che ho scritto su queste pagine al riguardo segnalavano questa sciagura. D'intanto si vanno chiarendo le ragioni del perché il virus ha causato un certo tipo di epidemia qui in Italia, come in Spagna o in Usa, e tutt'altro in Sud-Corea o in Giappone: alle carenze della nostra sanità pubblica sisono aggiunte le dissennate iniziative della Regione Lombardia, asino di Buridano tra media che seminavano panico e attività economiche e partite di calcio che non tolleravano stop. Chi abbia portato in Italia il Sars-coV-2 non è ancora chiaro, chi l'abbia moltiplicato sì.

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    3. Quello che deve essere successo con il mio commento è allora che il mio inoltro sia avvenuto in un momento di tilt della connessione.

      Io so che nel caso del virus influenzale la carica minima è nell'ordine del migliaio o di qualche migliaio, anche se teoricamente si dice che ne basti una particella (ma esponenzialmente poco probabile, quindi ci disinteressiamo all'ipotesi). Ma non ho mai saputo di una distinzione di gradualità per la malattia che ne consegue per influenze e per i coronavirus, meno ancora per il Sars-cov-2 stesso. Dico meglio: come nel caso di Li Wenliang, ho letto sostenere (senza prove) che sia stato esposto ad una carica fortissima iniziale e che questo abbia aggravato la situazione. Questo lo posso capire in parte, ma continuo a non trovare articoli che lo dimostrino in senso “proporzionale” nel caso di Sars-cov-2. Il mio problema è il viceversa: posto anche che oltre una certa carica iniziale, di grandissime dimensioni, mettiamo centinaia di milioni o miliardi, non so, si accresca il rischio di complicanze, la domanda è se ci sia o meno un rischio standard di complicanze per la carica virale di esposizione “tipica”? Dai dati epidemiologici mi verrebbe da dire di sì. Ovunque compaiano i cluster si ha una crescita iniziale esponenziale con tempo di raddoppio tra due giorni e due giorni e mezzo. Questo si badi bene è valso anche per la Corea del Sud, partita subito attrezzatissima, e la letalità ha poi seguito le percentuali note*. La letalità sulla Diamond Princess, luogo non ospedalizzato, non è diversa da quella coreana. Per quanto da noi possa esserci un grande contributo dovuto alla situazione degli ospedali come luoghi privilegiati di diffusione, soprattutto in Nord Italia, la maggior parte dei ricoverati e dei pazienti in terapia intensiva sono stati comunque prelevati da casa. A me sembra che tutto ciò suggerisca che a prescindere dalla carica virale iniziale, comunque la probabilità di sviluppare covid-19 in forma grave non sia mai trascurabile.

      Sulla nostra totale impreparazione non ho molto da aggiungere e penso che le nostre idee non differiscano troppo. Anche i dati epidemiologici puntano verso un paziente 0 italiano molto indietro nel tempo. Nel lodigiano si saranno viste polmoniti anomale per almeno un mese, se non più, prima che ci si ponesse il problema.

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    4. Volevo aggiornarla su alcuni dati, per restare in tema di peste o non peste. Il dato aggiornato sulla provincia di Bergamo che ho definito "equivalente nazionale" dei decessi dovuti a Covid-19 è arrivato a circa 110.000 soggetti e destinato ancora a crescere. Attenzione perché questo è “pere” contro “mele”, se confrontato con i famosi 8.000 dell'influenza stagionale (si basa sui numeri ufficiali della protezione civile, che cominciamo a sapere essere sottostimati). Stanno infatti arrivando i primi studi delle "mele", cioè anomalie di mortalità in alcuni grandi comuni, dati omogenei a quelli che misurano gli 8.000 decessi con causa indiretta l'influenza. Ebbene, al primo aprile nel comunque di Brescia, all'incirca, questa anomalia era il doppio dei morti ufficiali “con” Covid-19 (cioè, tornando a tutta la provincia, non 60.000 come equivalente nazionale datato al primo aprile, ma 120.000, che oggi sarebbe diventato già 180.000). Ovunque nel Nord c'è una maggiorazione tra il 50% e il 100% di mortalità inspiegata rispetto ai dati della Protezione civile. Ciò sembra indicare che, per esempio, a Bergamo, che non è incluso nel campione di studio né come comune che come provincia, l'equivalente nazionale vero potrebbe già essere arrivato nei dintorni dei 200.000 decessi. Non azzarderei stime così grossolane se non fosse che tutti i comuni del Nord puntino tutti in una stessa direzione.

      Annoto che ci sono due grandi anomalie: Torino e Bari. Scartiamo Bari perché il campione è tutto sommato piccolo. La situazione sembra drammatica nel comune di Torino, con una anomalia di decessi di svariate volte più grande del conteggio ufficiale del DPC (guardi che sono stime grossolane perché bisogna ogni volta riscalare da regione a provincia e poi da provincia a comune). Molto, ma molto peggio di Milano o Brescia. Insomma, se potessi fare adesso una previsione, direi che un domani emergerà che a Torino le morti sommerse sono un numero abnorme, qualcosa di ben più drammatico di quello di cui si parla a proposito delle Rsa di altra regione.

      * La aggiorno sull’aggiornamento della letalità misurata in Corea del Sud: 2,06%.

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    5. Credo di non aver compreso bene la questione che solleva. La "carica virale infettante" è il numero di virus necessario a che si abbia l'infezione, su questo suppongo si possa convenire, no? Se ne deduce che un numero di virus inferiore a quello della "carica virale infettante", dunque, non sia in grado di farlo. E allora perché dice che basta una sola particella virale, ancorché "teoricamente"? Io temo che lei faccia confusione tra agente patogeno e malattia. Infatti, a parità di numero di virus coi quali vengo a contatto, se in numero sufficiente ad essere "carica virale infettante", io potrò ammalarmi in modo più o meno grave, ma questo dipende da altri fattori (età, sesso, condizioni del mio sistema immunitario, patologie pregresse, ecc.). Quindi credo che lei non trovi articoli che parlino di "proporzionalità" (più numerosi sono i virus, più grave è il quadro clinico) per la semplice ragione che questa "proporzionalità" non esiste. Certo, maggiore è il numero di virus coi quali vengo a contatto, maggiore sarà la possibilità ch'io mi ammali, ma non sarà questo a determinare la gravità della malattia. Per meglio dire: io non sono a conoscenza che questa "proporzionalità" esista per altri virus, può darsi che il Sars-coV-2 faccia eccezione. Sono parecchi giorni che non sto più sui numeri ufficiali (un post dell'ottimo Francesco Costa mi solleva dallo scrupolo dandomi conferma della loro inaffidabilità: https://www.francescocosta.net/2020/04/12/dati-ufficiali-senza-senso/), ma fino a quando li ho presi in considerazione (i morti erano intorno ai 16.000) il Covid-19 ammazzava soggetti che in media avevano 80,3 anni e avevano 3,4 patologie pregresse (poi, certo, se tv e giornali dedicano attenzione solo al morto di 53 o 33 anni, la media perde interesse). Non mi risulta, tuttavia, che le cose siano molto cambiate. Il Sars-coV-2, sia chiaro, è fetente, e ammazza, senza dubbio, soprattutto se viene aiutato come è stato aiutato. Raffrontarlo all'influenza non è scorretto (anche la "spagnola" era un'influenza, ma fece tra i 50 e i 100 milioni di morti), se non si commette l'errore di sottovalutare il virus influenzale. Tra un anno o due avremo un vaccino, ma il Sars-coV-2 rimarrà con noi, come l'influenza, e come l'influenza, forse, avrà andamento stagionale, e ammazzerà altre persone, quasi certamente con più di 75-80 anni e già malate d'altro. D'altronde la vita media attesa è, allo stato, di 81 anni per i maschi e di 84 anni per le femmine. Non credo che l'abbasserà di molto e poi, caro De Gregorio, fermo restando che si deve far l'impossibile per salvare anche chi ha più 120 anni, in fondo bisogna pur morire di qualcosa.

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    6. Guardi che questa volta un secondo commento deve esserselo perso veramente. Questa volta l'ho preventivamente salvato, ma prima di postarlo di nuovo attenderò qualche ora.

      Lei mi conferma quello che avevo immaginato, che la carica virale ha senso considerarla come soglia minima, non come elemento di proporzionalità. Allora sono io che ho frainteso quello che sosteneva sul contributo, dicendo: "Si è parlato di R0 senza chiarire che non era un valore assoluto, dipendeva dalla carica virale infettante, che quando è bassa dà risposta anticorpale senza causare polmonite". R_0 è semplicemente un numero che dice quanti altri nuovi soggetti in media ogni soggetto già infettato a sua volta nel infetta (ovviamente nel lasso di tempo in cui è contagioso). Se dipende da qualcosa, oltre che dalle caratteristiche del virus (il morbillo è uno che gli R_0 più alti, mentre l'influenza ne ha metà o meno del Sars-Cov-2), questo dipende dai contatti medi della popolazione. Se io mi reco da solo nel deserto dopo essere stato contagiato, l'R_0 apparente sarà di 0, dall'influenza al morbillo.

      Quando parlavo di carica "teorica" minima di una particella di virus mi riferivo ad un lavoro che io stesso contesto. Perché ciò che è teoricamente possibile resta virtualmente impossibile se ha una probabilità di una su un miliardo di miliardo di miliardi, ma la popolazione mondiale è solo di sette miliardi. Mi riferivo ad un lavoro (proverò a ritrovarlo) in cui si dimostrava che i virus non cooperano tra loro, cioè se io ho due particelle di virus la probabilità sarà circa doppia che se io ne avessi una sola. Il fatto che ne servano alcune migliaia in media come soglia minima è indicativo di quando questa probabilità diventa all'incirca del 50%. Non comprendo come tutto ciò possa dipendere se io mi trovi nel luogo di lavoro o in un ospedale, al netto di quanti siano i contagiati intorno a me.

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    7. Ho letto quanto scrive Francesco Costa. Io da settimane sto combattendo con grafici e numeri. Avrei perso molto meno tempo se avessi saputo che erano dati affidabili. La cosa meravigliosa che Costa probabilmente parzialmente ignora è che dai dati incompleti ed imperfetti è in talune circostanze possibile estrarre informazioni utili, nonostante tutto. Purtroppo è un lavoro molto faticoso ed ovviamente con un maggiorato margine di incertezza. Una delle tecniche è di incrociare i dati: se io ho tre serie di dati, tutte e tre imperfette (poniamo ad esempio contagiati, ricoverati e deceduti) io posso estrarre dal loro confronto informazioni un po' meno imperfette. Avremo modo di verificare tutte queste informazioni entro un anno: si avrà una stima dei decessi in base alle anomalie statistiche di mortalità, ed una stima dei contagiati con i test di sieroprevalenza. Concordo con lui su un punto: che i positivi non sono in calo quanto ci si aspetterebbe perché si stanno facendo relativamente più tamponi. Ma anche questo dato è deducibile per confronto dagli altri. Le posso garantire che l'impatto delle misure di chiusura è quanto mai evidente e di enorme impatto. Al tempo stesso è stato smorzato da altre politiche, come quelle di far contagiare intere famiglie a causa del singolo e il problema noto dei presidi sanitari come focolai di infezione.

      Preciso solo una considerazione che facevo su Torino: non intendevo dire che la città sia stata colpita più duramente di Milano o Brescia in senso assoluto, certamente no. È stata per fortuna colpita in misura inferiore. Quello che però apparirebbe più marcato a Torino rispetto a quelle due città è lo scostamento tra decessi ufficialmente attribuiti al Covid-19 e l'eccesso di mortalità nello stesso periodo.

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  3. The fool or the scholar?sabato, 11 aprile, 2020

    Il vero, drammatico errore di Burioni è stato quello di pensare che fosse possibile fermare questa pandemia bloccando gli aerei dalla Cina e mettendo in quarantena chiunque ne rientrasse. E sicuramente uno scienziato non deve fare affermazioni così nette su questioni di cui si conosce assai poco.

    Il 9 febbraio, però (data dell'intervento incriminato a "Che tempo che fa"), nessuno in Italia pensava che il virus circolasse già. L'ISS parlava di trattare i casi come sospetti solo se c'era una connessione con la Cina. Questo è il bollettino rilasciato il giorno 4 di febbraio: https://www.lastampa.it/cronaca/2020/02/04/news/le-7-risposte-dell-istituto-superiore-di-sanita-ai-dubbi-piu-diffusi-sul-coronavirus-1.38424856

    E lo stesso Giuseppe Ippolito dello Spallanzani, fino a una settimana prima del primo caso, diceva che il rischio di casi importati era assolutamente limitato e che il controllo di screening all'ingresso sarebbe stato una misura efficace, anche se non al 100%. Un atteggiamento meno assolutista e fanfarone di quello di Burioni, ma la sostanza è la stessa (qui il contributo, da min. 1:01 https://www.youtube.com/watch?v=NVaEAVB1kRU). Insomma, se il 19 febbraio qualcuno avesse proposto di fare giocare senza il pubblico Atalanta - Valencia credo che solo gli ipocondriaci gravi non si sarebbero fatti una crassa risata.

    Eviterei di esagerarne l'influenza per antipatia verso il personaggio, le sue parole al massimo rivelano l'ambizione al ruolo di mosca cocchiera. Il Coronavirus ha fatto fare brutte figure a tanta gente, Burioni è uno di questi.

    Infine: il modo in cui la globalizzazione si è sviluppata ha tanti demeriti e sicuramente ci sono molti margini di miglioramento (e questa è un'occasione). Non capisco però in che modo una globalizzazione migliore impedirebbe la diffusione mondiale di virus.

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    1. L'"intervento incriminato", gentilissimo, è del 20 febbraio, su Nove, a L'Assedio di Daria Bignardi (trova la puntata della trasmissione qui: https://it.dplay.com/nove/l-assedio/stagione-1-episodio-10-19-febbraio-2020/): è in questa data - non il 9 febbraio, non a Che tempo che fa - che Burioni dice «oggi in Italia il virus non c’è, al momento ha più senso preoccuparsi dei meteoriti», e che basta mettere in quarantena chi viene dalla Cina. Gli ho chiesto ragione di quella cazzata su Twitter (https://twitter.com/lmcastaldi/status/1248649827619164160?s=20), leggerà che la mia domanda nasceva a fronte della malafede patente in ciò che aveva twittato il 27 marzo, a mio parere conscio della puttanata detta il 20 febbraio e delle implicazioni che ne derivavano: non ha risposto, si è limitato a bloccarmi.

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    2. The fool or the scholar?sabato, 11 aprile, 2020

      Ho visto, e sono andato a recuperarmi quella puntata (del 19 febbraio). Qui il video, i primi 20 minuti circa https://it.dplay.com/nove/l-assedio/stagione-1-episodio-10-19-febbraio-2020/

      La frase viene detta una prima volta e poi in risposta alla domanda della Bignardi sul rischio collegato alla frequentazione dei ristoranti cinesi, con meteorite allegato. Concetto comunque espresso anche il 9 febbraio a "Che tempo che fa".

      Se il punto è che avrebbe dovuto prevedere prima del primo caso e in contraddizione rispetto alle linee guida ufficiali delle autorità sanitarie la diffusione del virus, non gli si possono dare troppe colpe. Credo che pochissimi in Italia e in Europa pensassero che il virus fosse già in circolazione in quel momento.

      Ha poi parlato esplicitamente di "doversi preparare" e di scenario che sarebbe cambiato se invece il virus si fosse diffuso. Non mi pare tutta sta giravolta, insomma. Il problema è la frase sul rischio zero, che uno scienziato non dovrebbe mai pronunciare perché logicamente insensata. In questo sì, che è stato un discorso inadeguato.

      Mi dispiace per il blocco, ma che dire: Twitter, al pari di questa quarantena ha un forte ascendente sulle nostre parti peggiori.

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    3. Ma guardi che a me il blocco non dispiace, anzi. "Discorso inadeguato", però, mi sembra un po' eufemistico: a me, che non so di essere affetto da Covid-19, la perentorietà nell'affermare che "in Italia il virus non c'è" dal piedistallo costruitogli sotto dallo show business mi rassicura che la febbre e la tosse che mi affliggono da una settimana siano un banale malanno stagionale, e vado al Pronto Soccorso. Perché è vero che un terremoto non si può prevedere, ma se un sismologo, dopo una serie di scossette di magnitudo 2-2,5, dice: "Il peggio è passato" (è capitato, è capitato anche questo, non faccio il nome dell'interessato perché passato a miglior vita), l'"inadeguatezza" del suo "discorso" si rivela letale quando poi arriva il botto di magnitudo 6,3.

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    4. The fool or the scholar?domenica, 12 aprile, 2020

      Ricordo bene la faccenda, ma c'è una differenza: il trapassato era presidente dell'INGV e si presume parlasse a nome di quell'istituto. Burioni è un privato cittadino, che non rappresenta nemmeno la posizione dell'istituzione presso cui lavora.

      Non voglio dire che non abbia contributo al crogiolo di errori, ma tutto sommato è stato uno dei tanti, e non avendo ruoli pubblici non è nemmeno tra quelli che hanno contribuito maggiormente. Anche perché altrimenti dobbiamo considerare chi diceva che era "appena più grave di un'influenza" come responsabile dei contagi sulle piste da sci della Lombardia nel weekend del 7-8 marzo. E lì sono stati sia una privata cittadina che il Consigliere del Ministro della Salute e membro del Board direttivo dell'OMS.

      Insomma, purtroppo i padri e la madri di questo disastro sono tanti. E chi si salva è solo chi ha assunto toni neutrali e cauti sin dall'inizio. Chi si è esposto ha comunque accumulato brutte figure.

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  4. Io però non ci credo tanto che i "scientists" abbiano contribuito un granché, nel far esplodere i casi. Esploriamo la via alternativa: lasciare a casa tutti quelli da con febbre o tosse in su? Sarebbe andata meglio secondo lei? Ma una volta che li carichi e li porti in ospedale, o li vai a visitare a casa, cos'altro sarebbe potuto succedere? Qualcosa di diverso, a mio parere, solo ad essere stati tecnicamente atrezzati. Secondo lei si sarebbe abbattuto R_0 tenendo tutti i sintomatici alla larga dagli ospedali? Perché questo avrebbe abbassato la carica virale media di trasmissione? Mi piacerebbe leggere studi a tal proposito.

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  5. mah, siamo il paese che ha fatto un raduno di migliaia di persone il 23 febbraio (bari, visita del papa), a focolaio accertato sul territorio nazionale.
    aggiungiamoci i vari bergamo is running e milano non si ferma, e concludiamo che i virologoni la gente se li incula solo fintantoché le loro raccomandazioni non contrastano con i propri interessi.

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