lunedì 13 gennaio 2014

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Temo di essere stato troppo sbrigativo nella risposta a chi mi ha chiesto di esprimere la mia opinione sulla sperimentazione animale in campo medico, ma nel dichiarami a favore, nell’aggiungere di esserlo senza riserve e nell’affermare che ritengo assurde le ragioni di chi è contrario, pensavo fosse implicito il rimando agli argomenti che la dimostrano necessaria, e che anche stavolta, col riaccendersi del dibattito sulla questione, autorevoli voci del mondo scientifico sono state costrette a riproporre, e con una pazienza che ritengo eroica, a fronte di esaltate frange di fanatici, convinti assertori di un’assoluta parità di diritti tra uomo e topo. Temo di essere stato troppo sbrigativo, perché scrivendo su queste pagine che, «fosse in mio potere, costringerei costoro alla coerenza, negando loro la somministrazione di ogni molecola che abbia richiesto il sacrificio anche di un solo animale per i test necessari al suo impiego clinico», ho offerto il fianco all’obiezione – cito testualmente – che «l’incoerenza non inficia per nulla la verità di quello che viene detto ma solamente mina l’autorità di colui che lo dice» [Carlo]. In pratica, mi sono beccato l’accusa di ricorso ad una fallacia argomentativa, e devo confessare che questa mi ha irritato assai più delle ingiurie e delle minacce piovutemi addosso, e che d’altronde mi sono limitato a cestinare, perché negli anni sono giunto a conclusione che dare ad esse una qualsiasi forma di visibilità è un modo, ancorché subdolo, di esercitare la più perversa forma di vanità del blogger, che è quella di posare a vittima.
Non ho risposto all’accusa, al mio posto l’hanno fatto altri lettori, chi in modo assai spiritoso, e tuttavia – ritengo – non risolutorio («Quando vedrò un animalista farsi operare da un chirurgo alle prime armi che non ha aperto manco un ratto, ma s’è esercitato con Surgeon Simulator 2013 su xbox, allora potrò affrontare l’argomento con lui» [Stefano]), chi col fare presente che in questioni di natura etica (e l’animalismo e l’antispecismo rivendicano di muoversi in questo ambito) i principi sostenuti vanno «verificati sul campo e non trattati in astratto» («Nel momento in cui ci si cura con le stesse cure di tutti gli altri - ci si dimostra cioè disponibili a mettere la vita animale su un piano diverso da quella umana - si tende giocoforza a divellere il preteso fondamento etico e morale che si è appena sostenuto […] quindi l’incoerenza inficia certamente la verità di quello che viene detto, perché essa è a tutti gli effetti un piccolo pezzo di dimostrazione della falsità del principio etico sostenuto» [Paolo]). Ottimo collegio difensivo, devo dire, ma in campo etico davvero la coerenza è un argomento? Come vedete, ho ribaltato la questione posta implicitamente dal mio post e – ahimè – devo dare una risposta negativa: no, perché si può affermare moralmente disdicevole masturbarsi (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2352), farlo, pentirsi di averlo fatto, rifarlo, ripentirsi, e tuttavia continuare ad affermare che è offesa al sesto comandamento, dunque peccato mortale. Intendo dire, se l’ellissi aveva curva troppo larga, che in campo etico un assunto si fa principio senza avere alcun bisogno di «verifica sul campo»: si dà «in astratto» e chiede, quasi sempre con forza, di farsi concreto, ma, se non ci riesce, non rinuncia certo a venir meno.
Si obietterà che questo vale per l’etica che si dà come superiore e antecedente all’uomo, eterna e immutabile, e dunque come espressione di un disegno trascendente, ma che esiste, o almeno è possibile, un’etica che sale dal basso, come tentativo di risposta al bisogno di una logica che informi la norma, un’etica, cioè, che ha come fine un utile sovraindividuale senza aver bisogno di figurarselo a immagine e somiglianza di un dio. Sono d’accordo, anzi, ritengo che questa sia l’unica etica tollerabile, perché fa i conti col divenire umano, avendo come solo fine la convivenza di individui liberi e responsabili, perciò rispondendo al più genuino significato di ciò che è ethos, luogo in cui si vive, spazio destinato alla vita.
Ora, a me pare evidente che chi è contrario alla sperimentazione animale in campo medico lo sia perché ritiene che a topi, conigli, maiali, ecc. debba essere garantita una tutela giuridica pari a quella di cui godono gli esseri umani, in risposta ad un’istanza etica che sarebbe comune a tutti i viventi, anzi, per meglio dire a quelli che appartengono al mondo animale, visto che la loro conseguente scelta vegetariana (qui evitiamo di prendere in considerazione chi è contrario alla sperimentazione sugli animali, ma se ne nutre), non risparmia altri organismi viventi come rape, carote, zucchine, ecc. In altri termini, ad informare la norma dovrebbe essere una logica (etica) che sia valida per uno spazio destinato alla vita (ethos) in cui dovrebbero considerarsi inscritti, e con parità di certi diritti, uomini, topi, conigli, maiali, ecc. (e dico «certi diritti» perché nessun animalista o antispecista si spinge a chiedere per essi, ad esempio, il diritto di voto). [Non credo di essere andato troppo oltre nell’interpretazione della filosofia che sta in premessa alle loro richieste, perché ho attinto dalle loro bibbie (Peter Singer, Animal Liberation, 1975; Tom Regan, The Case of Animal Right, 1983).]
Bene, a questo punto vorrei mi si consentisse una domanda: questa logica – questa etica – è del tipo che sale dal basso o del tipo che scende dall’alto? Per meglio dire: è un’etica che è da considerare superiore e antecedente al mondo animale, eventualmente ad esso intrinseca, da sempre disattesa fino alla scoperta che la vita del topo è in qualche modo sacra quanto quella umana, oppure è un’etica che si fa carico di mutate condizioni nell’ambito degli equilibri che reggono il regno animale? Potrei porre la domanda anche in un altro modo, forse un po’ più brutale: i diritti degli animali per cui si spendono animalisti e antispecisti sono nati con gli animali o sono acquisiti? Nel primo caso, mi pare evidente che a rispettarli fin da subito, da quando l’uomo è comparso su questo pianeta, non saremmo qui a discuterne: è ampiamente dimostrato, infatti, che senza lo sfruttamento di alcune specie animali, in primo luogo per esigenze alimentari, ma non solo, e in ogni caso con patente lesione dei diritti che oggi dovremmo riconoscere ad esse, non avremmo fatto fronte ad una innumerevole serie di problemi. Nel secondo caso, invece, c’è da chiedersi se tali problemi siano risolti per sempre, al punto da poter rinunciare allo sfruttamento di tutte le specie animali, facendo coincidere la norma antispecista alle mutate condizioni di quella che fino a ieri, in modo arbitrario, abbiamo chiamato specie umana. [Un esempio: è possibile un corretto sviluppo nel bambino senza apporto di proteine animali?] Mi pare del tutto pacifico, infatti, che un’etica che scende dall’alto non abbia alcun bisogno di fare i conti con le esigenze che si muovono dal basso, semmai è il contrario, mentre un’etica che sale dal basso può ritenersi fondata solo se l’utile sovraindividuale può ragionevolmente includere tutti gli individui per i quali dichiara parità di certi diritti.
Mi si dirà: stai per caso tentando di dare per scontato che l’etica debba necessariamente avere un fondamento di tipo utilitaristico? È la domanda che via email mi ha posto un antispecista dai modi non tanto aggressivi da essere subito mandato a cagare, e a lui ho risposto che, sì, ce l’ha anche quando lo nega o lo afferma in vista del guadagno della vita eterna. [Peraltro cè da rilevare che unetica diversa, di quelle che scendono dallalto, comè quella che dichiara moralmente disdicevole masturbarsi, consente lo sfruttamento e luccisione di animali, ma vieta che vengano maltrattati perché il maltrattamento configurerebbe unoffesa non già alla dignità del maltrattato, ma a quella del maltrattante.] A questo mio assentire, mi sono visto muovere come obiezione che un animalista ante litteram è stato proprio il padre dell’utilitarismo, e cioè Jeremy Bentham, il quale invitava a «non porsi la domanda se [gli animali] sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire». Lì non ho potuto far altro che invitarlo a non limitarsi a leggere le sette o otto righe che i fanatici come lui sono soliti citare da Principles of Morals and Legislation, ma di andare a fare la scoperta che, due capoversi prima, Jeremy Bentham dichiara pienamente legittimi lo sfruttamento e l’uccisione di animali, ma evitando loro sofferenze. E l’ho mandato a cagare.
E dunque direi che qui potrei tirare i fili. Anche a voler recepire le istanze di un utilitarismo non insensibile alla dignità del vivente non umano, con ciò rientrando nell’ambito di quell’etica che non ha alcuna difficoltà a dichiararsi norma che viene dal basso, per rispondere ad esigenze poste dalla ricerca di un utile che varia al variare delle condizioni, l’impiego di animali da parte dell’uomo è pienamente legittimo, fatta salva la clausola del rispetto che impone il risparmiare ad essi sofferenze, peraltro inutili.
La questione, a questo punto, mi pare notevolmente semplificata, e può essere esposta riducendola alla sua mera sostanza: è utile il sacrificio di alcuni animali? Sì. Senza alcun dubbio? Senza alcun dubbio. E su quest’ultimo punto, per non dilungarmi oltre, rimando a ciò che Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini scrivevano sul domenicale de Il Sole-24 Ore di ieri. Qui riporto solo quattro dei dieci punti che i due ricercatori hanno tenuto a precisare, ma sono quelli che ritengo abbiano maggiore rilevanza.

Almeno per quanto attiene agli aspetti presi a oggetto in questo post, posso fare a meno di richiamare gli altri sei punti («non è vero che la sperimentazione animale si fa normalmente anche su gatti, cani e primati», «non è vero che gli scienziati sono indifferenti alle sofferenze degli animali», «non è scientificamente fondato sostenere che gli animali hanno un livello di coscienza equivalente a quello umano», «è offensivo sostenere verso le persone umane malate che gli animali hanno i loro stessi diritti», ecc.), penso addirittura siano di mero corredo psicologico. E con questo penso di avere abbondantemente espiato la leggerezza di una presa di posizione senza esplicita argomentazione.

26 commenti:

  1. Trovo fuorviante il ricorso al concetto di diritto, se non altro perché poi tocca chiarire cosa è il diritto e da dove viene. In un discorso etico, il diritto è semmai il punto di arrivo, non di partenza: così non si parte dal diritto di voto universale, ad esempio, ma dall'uguale dignità di tutte le donne e gli uomini, e da questa e altre considerazioni si trae l'idea del diritto di voto universale.

    Enormemente problematica è poi tutta la faccenda delle inutili sofferenze, che porta a deplorare soltanto il maltrattamento per il maltrattamento, che è uno straw man d'eccellenza, nessuno lo sostiene, anche un sadico cercherà di giustificare il maltrattamento in ragione di una qualche utilità.

    Infine, la domanda "è utile il sacrificio di alcuni animali?", pretendendo soltanto una risposta positiva o negativa, senza alcuna quantificazione, elimina totalmente ogni rapporto con la mutabilità delle condizioni: fintanto che si riuscirà a trovare un briciolo anche infinitesimale di utilità, il sacrificio sarà sempre giustificato; con ciò il ricorso al parere esperto dei ricercatori diventa un mero puntello, un avallo da rinnovare periodicamente, per sancire il permanere di questo margine di utilità.

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    1. Guarda, caro Giorgian, che il diritto è chiamato in ballo proprio da Singer e da Regan, i due sovramenzionati padri dell'animalismo e dell'antispecismo, e proprio come punto d'arrivo di un'etica che pretende di includere gli uomini e gli animali entro la stessa sfera. Se hai un altro modo di arrivare al diritto degli animali di non essere sottoposti a sperimentazione, esponilo, e ci ragioniamo sopra. Io mi sono limitato a mettere in evidenza, se ci sono riuscito, che storicamente a questo diritto si arriva a partire da un'etica che scende dall'alto, e che non è neppure un "alto" giudaico-cristiano (a voler usare un termine contestabilissimo, ma cui qui ricorro per semplificare), sicché l'assunto indimostrabile dell'anima nell'uomo si dà corrispettivo di una coscienza che nell'animale sarebbe in tutto simile a quella umana. E' da qui che si parte per arrivare ad enunciare che la sperimentazione sugli animali è immorale. Ma anche a voler far derivare parità di "certi diritti" per uomini e animali da una comune, e analoga se non simile, capacità di soffrire - dunque volendo far propria la posizione di Bentham - la logica non regge, e qui vengo al secondo capoverso del tuo commento, giacché se tu fossi a conoscenza dei protocolli abitualmente impiegati nella sperimentazione animale, e già da alcuni decenni, sapresti che la premura nell'evitare sofferenze è ampiamente assicurata. In quanto all'ultimo capoverso, francamente non ti capisco: nel senso che alla domanda "è utile il sacrificio degli animali?" non vedo una terza opzione alternativa al sì e al no. Anche il tuo richiamo ad una quantificazione dell'utilità, poi, mi sembra una zappata che ti dai sui piedi, perché un'utilità assoluta è impensabile per alcunché: in fondo potremmo continuare a usare valvole cardiache diverse da quelle suine, anche se sono di resa assai inferiore. La questione, però, è un'altra: la vita di un suino è sacrificio moralmente pensabile per risparmiare ad un paziente le possibili complicanze di una sostituzione valvolare non adeguata?

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    2. "se tu fossi a conoscenza dei protocolli abitualmente impiegati nella sperimentazione animale, e già da alcuni decenni, sapresti che la premura nell'evitare sofferenze è ampiamente assicurata"

      Se è così, allora non capisco cosa c'impedisca di eseguire quegli esperimenti sugli umani, visto che è ampiamente assicurato che non soffrirebbero. Ma questa è ironia, so bene cosa ce lo impedisce: esattamente il fatto che soffrirebbero, e di una sofferenza che lei ritiene inaccettabile per un umano ma accettabilissima per un non umano.

      Provo a spiegare il mio ultimo capoverso con un esempio. Non è difficile affermare l'utilità dell'operazione Castle Bravo e del Progetto 4.1, anche tenendo in conto il rischio di contaminazione delle coste USA, sia in termini di mutually assured destruction che di capacità di ricovero dopo un eventuale attacco nemico o incidente interno. Se però si fanno entrare nella contabilità gli abitanti delle isole del pacifico, il bilancio cambia notevolmente, e diventa palese che la vera giustificazione è che costoro non costituivano una minaccia: se avessero potuto disporre di armamenti temibili, l'esercito USA sarebbe andato a fare esperimenti da un'altra parte.
      Sarebbe difficile persuadere della non utilità di quegli esperimenti chi rifiutasse di considerare ciò che è o non è utile ai Marshallesi in quanto non pertinente.

      Sa già la mia risposta all'ultima domanda: affrontare le possibili complicanze di una sostituzione valvolare non adeguata è moralmente pensabile per risparmiare la cattività a una specie senziente.

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    3. Guarda che "senziente" è una furbata: anche mosche e cavolfiori lo sono.

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    4. Suvvia, facciamola facile, eliminiamo la furbata sostituendo "alla specie suina".

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    5. Mi piacerebbe una risposta, almeno sul primo punto: come si concilia la sua affermazione che la sperimentazione non causa sofferenze, col divieto di eseguirla su uomini e donne?

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    6. E' domanda che presuppone una parità tra uomo e animale che non c'è, dunque la risposta non ti piacerà: perché potendo bastare la sperimentazione sull'animale, è meglio non scomodare l'uomo.

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    7. Maledizione, ma perchè non fermate quel massacro di Drosophile?? A quando le manifestazioni di piazza contro le deratizzazioni?

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  2. Non vorrei abbassare il discorso a livelli troppo bassi, ma credo che uno dei problemi di fondo sia il concetto (antico, ma non so fin da quando) che il privarsi volontariamente di qualcosa sia sinonimo di virtù. Anche anteporre al proprio istinto di sopravvivenza la pietà dell'altro è considerata cosa buona e giusta (sebbene il diritto codificato credo che preveda in ogni ordinamento al mondo qualcosa di riconducibile alla legittima difesa). Onestamente non sono mai riuscito a darmi un'esaustiva spiegazione al fenomeno vegetarianismo/veganismo/animalismo spinto. Ho sempre obiettato (senza risposta, se non un "chi ti credi di essere?"o "sei un arrogante") che non conosco specie al mondo che decida di non nutrirsi per pietà del proprio pasto. E questa sarebbe virtù? A me pare un clamoroso autogol evolutivo. Esattamente come il decidere di non sperimentare sugli animali e non entro nel merito dell'ignoranza mostrata dai Brambillaboys...

    Julio

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    1. Io non so quali specie conosci che commentano sui blog, devono essere tante altrimenti non l'avresti fatto.

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    2. Non potrei far parte delle poche?

      Julio

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  3. Alcune piccole chiose di complemento all'articolato post :
    Diamo per scontato che gli 'animalisti' siano anche vegetariani perchè il teorema altrimenti non reggerebbe, è doveroso anche sottolineare che il S.Daniele è classificato come carne nel profilo artusiano. Peraltro ogni ipotesi religiosa permette al credente l'assalto ad ogni essere semovente nel caso di probabile decesso per estrema carenza alimentare. Jainisti a parte.
    Considerare rape e cavoli in una tassonomia fenotipica è ragionevole, oltre faremmo venire l'itterizia a Cavalli Sforza; il vegetariano al ristorante è sottoposto in genere al terzo grado di rito sul sacrificio del grano duro nello spaghetto per tastarne la tenacia dei propri fondamenti dell'ortodossia.
    Mi ha sempre lasciato perplesso - sicuramente per ignoranza - il dettato biblico <
    Poi Dio disse: "Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sul bestiame e su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra" (Genesi 1:26) che a mio vedere ha fornito un'alibi perverso e una pompata inopportuna all'ego di una specie, la nostra, che ha qualche cromosoma in meno degli scimpanzè.

    Si comprova che la complessità degli argomenti dei nostri giorni - genetica,energia,terapie, ecc. - porta a opinioni che per la maggior parte dei sudditi sono di natura ideologica ma carenti dei presupposti di dettaglio scientifici, diga del pregiudizio etico, religioso o kantiano che sia.
    saluti
    leo











    saluti
    leo

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  4. Purtroppo in questi giorni sono occupato e non riesco a seguire in modo attento la discussione (ho anche abbandonato quella del post precedente, e mi dispiace). Ma vorrei comunque dire qualcosa.
    In primo luogo, ammetto che la mia accusa di fallacia argomentativa, per quanto corretta, fosse in qualche modo eccessiva. È evidente che la brevità del post non doveva far pensare ad un vero e proprio argomento, ma semplicemente ad una frecciata verso una contraddizione della protesta animalista. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che l’autore avesse argomenti seri ed elaborati né che considerasse il ricorso alla coerenza come un buon argomento. Ciò che mi preme è evidenziare la profondità del problema antispecista, evitando che venga trattato, come molto spesso avviene, come un’assurdità indegna di un’analisi approfondita. Certo, ogni tanto è necessario tagliare le cose con l’accetta. Se qualcuno cercasse di discutere con me su Stamina, ad esempio, di sicuro la mia risposta sarebbe: <>. D’altronde, il problema animalista merita maggiore considerazione. E’ questa la mia motivazione di base.
    In secondo luogo, sulla questione dell’etica “dal basso”, faccio notare che una posizione metaetica che eviti di essere Realista, che eviti cioè di considerare i valori come entità indipendenti ed eterne, non deve essere necessariamente utilitaristica.
    In ultimo, vorrei nuovamente evidenziare la difficoltà intrinseca nel porre la questione in termini di utilità della sperimentazione. Da una parte perché se l’unica clausola vincolante è l’utilità, allora dovremmo, nell’ottica di una giustizia coerente, ammettere la sperimentazione su esseri umani con limitate facoltà cognitive o sensoriali (classico problema dell’utilitarismo). Dall’altra perché si dà per scontato che la ricerca del benessere umano sia un obiettivo totalmente inattaccabile, al punto che ogni questione deve essere valutata sulla scorta di quello. Inoltre, credo che si confondano due questioni; vi sia, cioè, un’equivocazione riguardo l’idea di “utilità”. Possiamo intenderla come utilità materiale riguardo il progresso della medicina, e qui quasi nessuno avrebbe da obiettare. La nozione di utilità dell’utilitarismo, tuttavia, è più ampia, non è, cioè, solo materiale ma prende in considerazione altre caratteristiche rilevanti per la valutazione morale. Se quindi ragioniamo per analogia, evitando di porre una separazione inesistente tra l’uomo e le altre specie umane, dovremmo ammettere (con Singer) che SE consideriamo vincolanti le caratteristiche per le quali riteniamo sbagliato sperimentare su certi umani, allora dobbiamo estenderle anche agli esseri non umani che similmente le possiedono. Questo non significa che allora non è mai legittimo uccidere gli animali. Semplicemente lo è se il principio vale (in linea con un certo ideale di giustizia) a parità di condizioni rilevanti (fisiche, cognitive…) per OGNI specie, a meno di dare per assunto ciò che bisogna dimostrare. Credo che questa condizione sia difficile da accettare a causa dell’errata considerazione che si dà delle tesi animaliste. La questione, insomma, non è NOI-LORO perché non c’è alcun NOI-LORO. Siamo tutti esseri animali con infinite caratteristiche, alcune delle quali consideriamo di importanza etica. Alcune di queste sono possedute in pari grado da individui appartenenti a specie diverse. In un bel dialogo che si trova su youtube, Singer e Dawkins concordano nel ricordare che l’insegnamento migliore di Darwin è stato quello di insistere sul continuum tra i cavolfiori e gli umani. Credo che anche le questioni di etica debbano basarsi su un simile assunto e, in quest’ottica, credo che la domanda stessa sia sbagliata. Non si può essere contrari o meno alla sperimentazione simpliciter: c’è sperimentazione e sperimentazione. Ed è indubbio che abbiamo sempre più eliminato inutili sofferenze (ad esempio, riguardo i cosmetici). Questo, però, non deve spingerci a considerare la questione chiusa.

    Carlo

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    1. «Da una parte perché se l’unica clausola vincolante è l’utilità, allora dovremmo, nell’ottica di una giustizia coerente, ammettere la sperimentazione su esseri umani con limitate facoltà cognitive o sensoriali (classico problema dell’utilitarismo)».

      Non conosco l'obiezione e come si sia risposto, se si è risposto. Prendendo le parti dell'utilitarismo "rivisitato a modo mio", provo però a ribattere che sarebbero necessarie tutta una serie di altre condizioni contingenti alle limitate capacità per giustificare eventualmente tale sperimentazioni, quasi impossibile che si realizzino, tipo pressoché totale isolamento affettivo dalla comunità umana. Mi spiego: può essere utile non solo che io abbia diritti, ma anche che qualcuno mi garantisca che gli stessi diritti riguardino le persone a me più vicine, specialmente se parte della mia famiglia (in caso contrario il patto utilitaristico chiaramente non reggerebbe, tipo: "a te pentito di mafia riconosco l'onore delle armi, ma lascia che ti stermini la famiglia e siamo amici come prima"). In questo senso penso che quasi nessuno abbia obiezioni al fatto che a me possa essere vietato di fare sperimentazione medica sul roditore che tieni in casa e cui sei tanto affezionato. Ciò può benissimo essere inteso come conseguente ad un principio utilitaristico. Figuriamoci, quindi, quando si è fortemente legati ad un essere umano, anche quando questo viva in condizioni di privazione sensoriale o cognitiva: torna ugualmente utile stabilire un principio etico a sua difesa, prima ancora si disquisire comunque di quanto anche in quelle condizioni si possano vivere esperienze comunemente dette "umane".

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  5. per me è difficile argomentare così bene come fa lei, signor castaldi, in genere scrivo solo qualche battuta.

    innanzitutto, molti nei vari blog sono per lo più troll e il diktat anglosassone suggerisce: don't feed the troll.

    sono convinta che in qualche modo anche le piante abbiano un "sentire" e perchè ucciderle e cibarcene? ai vegetariani convinti che non sia giusto lo sfruttamento animale nelle filiere della produzione della carne, perchè non sostengono anche lo sfruttamento ingiusto di ortaggi in serre che producono dodici mesi l'anno tutti i tipi di frutta e verdura di qualsiasi stagione.

    per quanto riguarda i topi, siamo sicuri che nessuno ucciderebbe un topo che entri in casa? tempo fa, ho ucciso uno scarafaggio che era entrato nel mio salone e un buddhista mi ha accusato se ricordo bene di non curarmi del creato e di distruggere l'ecosistema. mi dispiace io gli scarafaggi a casa non li voglio, fuori possono vivere quanto vogliono. l'ultimo aneddoto le formiche hanno invaso qualche anno fa casa mia e si sono mangiati il parquet, mi dispiace ho cacciato anche loro da casa, che vivano solo sul balcone.



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    1. Più che sanzionare lo sfruttamento in serra - allo scopo attendiamo gli specifici talebani - sarà meglio provvedere prima all'educazione alimentare
      di quell'infanzia cittadina e non, dal gusto devastato.
      Auspico una tregua tra vegetariani e iperproteinici per un fronte comune 'climatico' : il bestiame produce il 18 per cento delle emissioni di gas serra,complessivamente più di tutti i mezzi di trasporto,vale a dire il 65 per cento delle emissioni di protossido d'azoto rilasciato dalle attività umane,37 per cento di tutto il metano riconducibile alle attività delle stesse..
      Ogni tentativo di imbottigliamento alla fonte ha dato risultati negativi.

      L

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    2. Comincio io, ho un ottimo sistema: mangiandolo

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    3. C'è un solo modo per evitare di far soffrire chicchessia: il respirianesimo.

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  6. Prima di tutto dovrebbe spiegare perché non è giusto provocare sofferenze agli animali?

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  7. leggendo questo post mi pare di avvertire lo stridore tipico dell'arrampicata sugli specchi. e non tanto perché si vuole argomentare l'eticità -- dal basso?? -- della sperimentazione animale, quanto perché si elude il problema principale: in virtú di quale principio, che non sia appunto una mera petizione di principio, si sostiene che la sperimentazione sull'uomo debba essere vietata? nel caso non lo fosse, infatti, allora la sperimentazione animale diverrebbe inutile -- e la sua eticità dal basso andrebbe a farsi fottere...

    bene, allora vediamo: perché la sperimentazione sull'uomo deve essere vietata? per via di un sovrappiú di diritti che a costui spetterebbero? e in virtú di quale logica -- etica dal basso -- ciò avverrebbe? forse che l'«è offensivo sostenere verso le persone umane malate che gli animali hanno i loro stessi diritti» deriverebbe dal «non è scientificamente fondato sostenere che gli animali hanno un livello di coscienza equivalente a quello umano»? mi pare che l'argomento sia fallacie, perché ogni "coscienza" è un alcunché di relazionale: si prenda un embrione e, tecnologia permettendo, lo si allevi privo di ogni contatto "umano"... che differenza vi sarebbe tra la coscienza di costui e quella di un topo sottoposto a eguale trattamento? e perché allora non alleviammo cavie umane per usarle a scopi di ricerca? in virtú di quale principio? non sarà mica quell'imperativo categorico in base al quale l'uomo è sempre fine e mai mezzo? e cosa sarebbe questa, etica dal basso?

    (spiacente ma non ho avuto il tempo di leggere tutti i commenti -- alcuni molto interessanti -- al presente post: se riprendo argomenti già utilizzati me ne scuso)

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    1. Io qualche esperimento sull'uomo lo farei. Perché uno che usa "fallacie" come aggettivo dovrebbe avere più diritti di un criceto?

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    2. "... che differenza vi sarebbe tra la coscienza di costui e quella di un topo sottoposto a eguale trattamento?"
      Un essere umano anche se "allevato" un condizioni di gravissima deprivazione avrebbe comunque un livello di coscienza assai superiore a quello di qualsiasi topo; un topo pur se superstimolato intellettualmente e socialmente non sarebbe mai in grado di raggiungere nemmeno il livello di coscienza di un neonato umano...
      Sulla sperimentazione umana: dove e quando sarebbe vietata? Tutti i protocolli sui farmaci prevedono una fase in cui questi vengano poi sperimentati su un gruppo di persone come ultimo test prima della commercializzazione, e anche in seguito le performance e gli effetti collaterali/avversi sugli umani vengono monitorati (e infatti quanti farmaci già in commercio rivelatasi pericolosi sono stati poi ritirati?).

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  8. @dink: un neonato ha vissuto nove mesi nell'utero della madre, con la quale ha condiviso un'infinità di esperienze. si immagini un caso di totale deprivazione: quale livello di coscienza produrrebbe? ll mio era ovviamente un paradosso, ma la negazione della natura relazionale della coscienza dovrebbe essere meglio argomentata, credo.

    quanto al dedurre giudizi sulla capacità -- in questo caso giuridica -- delle persone a partire dagli errori ortografici da queste compiuti, beh, dà la misura dell'intelligenza di chi ci si cimenta. una volta esisteva la netiquette che forniva utili suggerimenti in merito e a questa si era soliti rimandare i correttori di bozze.

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    1. Il suo non era un refuso, ma una bestialità lessicale. E ritengo che abbiano fatto bene a farglielo notare, peraltro cogliendo al balzo, e con una soluzione che mi è parsa assai felice, l'occasione per liquidare con la sola ironia l'argomento zoppo al quale si appoggia. Legga la lettera di Nane Cantatore cui ho riservato un post qui sopra: troverà il resto. Saluti.

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