Dinanzi
al problema posto dal numero estremamente alto di ginecologi che in Italia oppongono
obiezione di coscienza alla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza,
da un lato, e dall’obbligo da parte dello stato di assicurare che tale
prestazione medica sia effettuata nei casi previsti della legge 194, dall’altro,
io penso esista un modo per salvare capra e cavolo, anzi, penso ne esistano
addirittura due: la modifica dell’art. 8 della suddetta legge al punto in cui
recita che la prestazione medica può essere fornita esclusivamente da una
struttura pubblica o il prepensionamento obbligatorio dei ginecologi obiettori operanti
in strutture pubbliche e il loro rimpiazzo con ginecologi non obiettori.
Non
faccio fatica a cogliere quali possano essere le perplessità riguardo a queste
due soluzioni, ma credo non abbiano ragion d’essere entrando nel dettaglio.
Nel
primo caso, le perplessità saranno relative al rispetto dei limiti che la legge
pone alla possibilità di un’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi
90 giorni (art. 4) o dopo tale epoca (art. 6): si può sospettare che consentire
alle strutture private di fornire la prestazione possa indurre a violare tali
limiti per basse ragioni di profitto. È sospetto che concedo abbia ragion d’essere,
ma il rischio che questo accada può facilmente essere evitato con l’inasprimento
delle sanzioni penali attualmente contemplate per chi si renda responsabile di
analoghe violazioni o semplicemente fornisca la prestazione fuori dal circuito
delle strutture pubbliche, anche se nel rispetto delle indicazioni e dei limiti
temporali contemplati dalla legge. A questo si potrebbe aggiungere un ulteriore
deterrente sanzionatorio, stavolta a carico della struttura privata dove si è
materialmente compiuto l’illecito, fino al ritiro delle autorizzazioni all’esercizio
e alla chiusura di ogni attività sanitaria. Prim’ancora, tuttavia, è da considerare che il rischio di illeciti sarebbe minimo nel caso di strutture private convenzionate, praticamente uguale a zero nel caso in cui la concessione della convenzione preveda che le interruzioni volontarie di gravidanza siano assicurate dalla carta di servizio.
In quanto alla seconda soluzione,
suppongo si sollevi la questione della gestione organizzativa del comparto fino
all’ottenimento del ricambio di personale. Anche qui penso si tratti di un
problema facilmente risolvibile. Da un lato, infatti, c’è da supporre che il
fenomeno dell’obiezione di coscienza abbia a trovare un drastico
ridimensionamento dinanzi alla scelta imposta ai ginecologi che operano in
strutture pubbliche. Avanzo dubbi sulla genuinità dell’imperativo etico che li
induce all’obiezione di coscienza? Avranno modo di smentirli decidendo di
dedicarsi alla libera professione. D’altro canto, il ricambio sarebbe
progressivo e non impatterebbe eccessivamente sulle carriere professionali dei
ginecologi obiettori, consentendo peraltro uno svecchiamento delle piante
organiche, immobili da decenni.
Nulla, ovviamente, potrà impedire che un nuovo assunto
divenga obiettore dopo l’assunzione, ma anche qui sarà possibile minimizzarne
le conseguenze con meccanismi di natura retributiva che scoraggino il
prepensionamento: non sarà da intendere come misura ritorsiva perché indotta da ragioni legate esclusivamente all’efficienza di un servizio, né sarà una tragedia perdere il posto fin lì occupato in una
struttura pubblica con una liquidazione e una pensione di entità irrisorie a
fronte di aver dato sollievo a un assillo d’ordine morale, potendo peraltro
continuare ad esercitare nel privato. Perché su una cosa credo occorra intendersi: quando la propria coscienza è in attrito anche indiretto con le leggi dello stato, si ha il diritto di darle ristoro nel modo che meglio si ritiene, ma senza poter pretendere che tale ristoro sia a carico della comunità che nel suo insieme è tenuta al rispetto formale e sostanziale delle leggi dello stato. Si può considerarle ingiuste, ma occorre si paghi un prezzo personale alla decisione di osteggiarle col sabotaggio.
Questo ovviamente vale anche per i farmacisti obiettori che si rifiutino di fornire i farmaci per la contraccezione di urgenza ai clienti che ne facciano richiesta dietro prescrizione medica: liberi di farlo, ma rinunciando al convenzionamento col sistema sanitario pubblico. Nessuno ti obbliga alla carriera militare, ma se la scegli, e la Costituzione vede riforma dell’art. 11, e il Parlamento decide di entrare in guerra, hai solo due possibili scelte: dimetterti per tempo dall’esercito o dichiararti disertore e assumertene la piena responsabilità. Nessuno ti vieta di essere un Testimone di Geova, ma questo non ti dà diritto, da medico, di rifiutare una trasfusione a chi stia crepando per una emorragia.
Questo ovviamente vale anche per i farmacisti obiettori che si rifiutino di fornire i farmaci per la contraccezione di urgenza ai clienti che ne facciano richiesta dietro prescrizione medica: liberi di farlo, ma rinunciando al convenzionamento col sistema sanitario pubblico. Nessuno ti obbliga alla carriera militare, ma se la scegli, e la Costituzione vede riforma dell’art. 11, e il Parlamento decide di entrare in guerra, hai solo due possibili scelte: dimetterti per tempo dall’esercito o dichiararti disertore e assumertene la piena responsabilità. Nessuno ti vieta di essere un Testimone di Geova, ma questo non ti dà diritto, da medico, di rifiutare una trasfusione a chi stia crepando per una emorragia.
Mi
pare sia chiaro che qui ho messo sullo stesso piano due esigenze cui penso sia
opportuno dare lo stesso peso: la libertà del ginecologo di praticare o meno
interruzioni volontarie di gravidanza e l’obbligo dello stato di assicurare che
una sua legge sia applicata a dovere. Personalmente penso abbiano peso diverso,
ma da legislatore in erba mi sono imposto un profilo equanime.