martedì 21 giugno 2022

Propaganda (VII)

 
VII. Non c’è da stupirsi che anche nel campo cosiddetto democratico ci sia chi ritiene che «i metodi [propagandistici] adottati dai nazisti sono i migliori possibili» e che non sia proficua un’informazione che consenta di «soppesare, verificare e riflettere», operazioni che sono oggettivamente un freno alla diffusione di un messaggio che per fine ha la suggestione ipnotica, la mobilitazione emotiva, la fidelizzazione e il reclutamento; né c’è da stupirsi che questo valga tanto per la propaganda di guerra che per quella di mercato (non è un caso che le centrali propagandistiche attive nel mondo occidentale nel corso della seconda guerra mondiale si avvalsero di esperti già attivi in campo pubblicitario), per la semplice ragione che la logica del profitto economico è la stessa della conquista bellica.
Possiamo con ciò concludere che non ci sia alcuna differenza tra la propaganda totalitaria e quella cosiddetta democratica? No, qualche differenza c’è, e non da poco, ma attiene esclusivamente a modo in cui esse affrontano la resistenza alla penetrazione del messaggio propagandistico, che in entrambi i casi tuttavia è criminalizzata, anche se la pena comminata è diversa: lo stato totalitario punisce il rigetto della sua narrazione propagandistica con la persecuzione, la reclusione e perfino con la morte; lo stato cosiddetto democratico con la messa all’indice, la discriminazione e l’emarginazione. Questa differenza di trattamento riservata a chi si oppone a far propria la narrazione propagandista di regime (cui qui si dà il significato originario di «forma di governo», che consente di usare il termine per ogni forma di governo) non è certo irrilevante, come si diceva, ma nulla implica relativamente ai mezzi e ai fini che muovono la logica propagandistica.
È legittimo tuttavia porsi un problema: cosa ha prodotto, dal 1941 ad oggi, un uso sempre più frequente dei «metodi adottati dai nazisti» anche da parte dei regimi cosiddetti democratici? Cosa ha portato i regimi cosiddetti democratici a ritenere che i «metodi adottati dai nazisti» siano «i migliori possibili»? Ma, prima di tutto, è davvero così? Quali sono i «metodi adottati dai nazisti»? Kris dice che, a differenza di quella democratica, la propaganda totalitaria è ripetitiva e martellante, ma solo dopo aver affermato che, in ciò, esse mostrano solo una «differenza di grado». Tutto qui? No, perché una differenza che dovrebbe essere sostanziale emerge proprio dalla descrizione del contesto in cui si articola la sua riflessione: «Molti osservatori hanno denunciato il fatto che lentusiasmo in questa guerra sembra essere sospetto nelle democrazie. La febbre spionistica o le campagne d’odio sono rifiutate dalla gente […] Tendono a un’apprensione sempre più ragionevole, a un’informazione maggiore e migliore». Un contesto assai meno attossicato di quello odierno, si direbbe, il che confermerebbe quanto abbiamo detto in conclusione al precedente paragrafo: dal 1941 ad oggi la pratica propagandistica è diventata sempre più uniforme di qua e di là dalla linea che separa le società cosiddette democratiche da quelle in vigono regimi totalitari, dittatoriali, autocratici, ecc.
E allora torna la domanda: cosa ha prodotto questa uniformità? La risposta a me pare estremamente semplice: le società cosiddette democratiche sono diventate sempre meno democratiche; il ridurre i cittadini a consumatori ha reso sempre più efficace il messaggio propagandistico che meglio s’attaglia alla logica del mercato; la persuasione, come il profitto, non può più porsi scrupoli nel perseguire il suo fine, che o è illimitato o è destinato a deflettere e ad estinguersi. Con ciò concedo che il lettore abbia pieno diritto di chiedersi: dunque tu affermi che la deriva neoliberista delle società liberaldemocratiche occidentali implichi un pericolo totalitario? Sì, ne sono sempre più convinto.
La crisi pandemica mi ha dato modo di trovare piena conferma di ciò che Michel Foucault affermava nelle sue lezioni al Collège de France del 1979-80 (Du gouvernement des vivants), e cioè che il paradigma ordoliberale è intrinsecamente repressivo e totalitario. La crisi ucraina, poi, ha ulteriormente rafforzato la convinzione che ha mosso su queste pagine la mia polemica avverso la presunzione di superiorità morale e culturale di certa sinistra: quando la liberaldemocrazia ha smesso di essere metodo per diventare ideologia, ha assunto logica imperiale. In entrambe le crisi, ho visto confermate le tesi di Debord sulla relazione tra potere e società dello spettacolo, quelle di Perniola sulla sensologia, la forma di nuovo potere che dà per acquisito il consenso plebiscitario su fattori affettivi e sensoriali, quelle di Agamben sulla permanentizzazione dello stato di eccezione.


4 commenti:

  1. non conoscevo il concetto di sensologia. Mi è stato utile conoscerlo perché mi ha permesso di dare un nome a quella che percepivo confusamente come una violenza, per esempio essere "obbligati" a provare simpatia per gli ucraini. Ma, per citare un passo del post: come fa la liberaldemocrazia a trasformarsi da metodo ad ideologia ? O meglio: cosa rende possibile la vittoria dell'ideologia liberaldemocratica sulle altre ideologie ? Secondo me essenzialmente un fattore: la sottrazione allo stato del potere di agire direttamente sull'economia. A partire da questo si puo' spiegare, secondo me, tutto il resto. Posso chiedere a Malvino cosa pensa di questa mia tesi ?

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    1. Sì, sono d'accordo con lei. Ed è questo spiega perché è stato il neoliberismo a uccidere la liberaldemocrazia. L'ordoliberalismo di scuola tedesca e il liberismo di scuola austriaca, al netto dei contrasti, sono stati solidali nel sottrarre potere alla democrazia rappresentativa: (bio)tecnica coniugata all'organicismo, tecnocrazia come potere neutro al di sopra della politica, e tutto in nome di quel "there is no alternative" apposto sul delirio di una "fine della storia" che vedeva imperare su un mondo globalizzato quella che si voleva come verità ultima.

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  2. Fresco fresco, dal Foglio di oggi, le propongo l'intervento in merito di persona a lei nota. Qui però si parla, rigorosamente, di propaganda russa. D'altra parte, lui è obiettivamente un esperto.
    La propaganda non è più quella di un tempo, come la nostalgia. Secondo un analista ex Nato, Ben Nimmo, la sua regola è quella delle quattro Ds: distort (distorci), dismiss (nega), distract (depista), e dismay (sgomenta il nemico). Difficile in una società aperta distinguere tra opinioni legittime e disinformazione mirata. Scrive Lucas: verità fatti logica sono concetti che possono risultare scivolosi, basti pensare alla sovrapposizione tra Ufo, aggiungiamo noi scie chimiche e terrapiattismo, no vaxismo enegazionismo climatico estremo (il mio, più o meno). Servono epistemologi, aggiunge, studiosi della conoscenza.

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  3. a me incuriosiscono alcuni aspetti irrazionali e difficilmente smascherabili, che con un mezzo di massa sono più devastanti delle bombe: fin quando è il tizio che in TV spara a raffica le sue fallacie (ultimamente ho visto un Fubini che rispondeva ad Orsini, mentre annaffiavo le piante carnivore) allora con i ragionamenti ce la giochiamo alla pari, ad armi pari, ma nel caso ad esempio di un montaggio video con una musica strappalacrime o d'assalto: la propaganda è già entrata nel cervello senza alcuna barriera razionale! Senza consenso, una violenza sistematica (non so se Goebbels era arrivato fino a questo punto, lo ignoro, ma con la tecnica attuale è tutto amplificato). Non a caso, nel mito greco, Ulisse si fa legare all'albero della nave: non c'è ragione che tenga.

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