lunedì 18 maggio 2015

Appunti

Un fondo di giacobinismo è presente in ogni populismo dal basso, ma nel tratto peculiare che ne fa un modello dei processi di commutazione di una democrazia in dispotismo è presente anche in quella declinazione della post-democrazia nota come populismo dallalto, che al carattere disgregante del populismo dal basso somma quello normalizzante del potere istituzionalizzato, piegando così il malcontento degli oppressi al disegno degli oppressori, nella logica che è tipica della rivoluzione restauratrice, sicché potrà apparire grottesco, ma ha una sua ratio, che in questi casi lautoritarismo riesca ad essere ottimamente spacciato come espressione della volontà popolare finalmente liberata da freni ad essa posti da superflue procedure di garanzia, che una controriforma riesca ad essere ottimamente spacciata come riforma, che al vecchio basti un maquillage nemmeno troppo elaborato per essere ottimamente spacciato come il nuovo. In entrambi i casi, che il populismo sia dal basso o dallalto, chi si intesta il merito delloperazione deve invariabilmente vestire i panni di un uomo in cui siano rappresentati in sommo grado tutti i tratti caratteriali della platea dalla quale aspira a raccogliere il consenso, riuscendo a dare forma di virtù a ogni difetto che in quella cerchi aspirazione ad un avallo, accreditandosi così come mero strumento della volontà popolare in ogni passaggio che sia contraddistinto da una resistenza alla sua azione, sicché possa agevolmente trovar modo di rappresentare ogni conflitto che ne possa sorgere come il capitolo di un’epopea di liberazione. Ogni diritto che intenderà negare a una parte della società dovrà assumere l’aspetto di un privilegio lungamente e ingiustamente goduto da una minoranza a scapito dell’intera collettività, in modo tale che il più generale processo di negazione dei diritti acquisiti dall’intera società venga diffratto in episodi che possano essere narrati come vittorie contro caste, lobby, corporazioni, categorie che fin lì erano riuscite a difendere i propri egoistici interessi a danno del bene comune: ogni volta, contro ciascun settore che si intenderà colpire si chiamerà a sostegno tutto il resto della società, reclutato contro un nemico pubblico, e non sarà neppure necessario che la chiamata ottenga un reale sostegno perché questo sarà sempre dichiarato solido, ancorché surrettizio, per il solo fatto che l’azione isolerà il bersaglio dell’attacco. Di qui la necessità di non esplicitare mai nel dettaglio il progetto di società cui si mira, ma di tenerlo invece nel vago di un felice organicismo che può essere raggiunto solo se saranno espunti i particolarismi che ne impediscono la realizzazione: un miraggio di società, quindi, nella quale i conflitti siano annullati in una generale condiscendenza, dalla quale possa sottrarsi solo chi coltivi pulsioni antisociali, vuoi nella forma degli estremismi politici di opposto colore, che si delegittimano per il solo fatto di avere un colore (ideologismi), vuoi in quella della devianza morale o psichica (gufi, rosiconi, ecc.), comunque a prezzo della condanna di un senso comune incoronato a buonsenso. Giocoforza, perché il diritto sia inteso come privilegio, il vecchio presentato come nuovo, la critica liquidata come disfattismo, lopposizione come sabotaggio, larroganza promossa a decisionismo, il cinismo e lopportunismo a metodi dalta politica, è opportuno che venga dispiegato tutto larmamentario della mistificazione semantica, che sortirà il miglior esito quanto più i processi di formazione dellopinione pubblica verranno piegati al servizio del disegno populista, con l’acconcio dosaggio di minaccia e di blandizie, di furto e di mancia, di spietato ricatto e di condiscendenza complice. In ciò, col singolare paradosso di una democrazia formale a paravento di un regime autoritario che si autolegittima come governo di salute pubblica, siamo dinanzi ad un altro aspetto del giacobinismo: laffermazione della legittimità a piegare le leggi, secondo una incontestabile logica, ad un incontestabile stato di necessità, che sul piano semantico trova piena rispondenza nel sopruso della distorsione dei termini più comunemente usati nel dibattito pubblico, per piegarli a strumento di persuasione occulta. Chiunque si azzardi a segnalare e a denunciare questo sopruso dovrà aspettarsi di essere trattato almeno come con un petulante scassacazzi, se non addirittura come un guastatore della rinascita della nazione. 

4 commenti:

  1. Io continuo a pensare che il meccanismo che descrivi bene nel finale sia la prova provata della supremazia dell'economia sulla democrazia, che poi Renzi ne approfitti e si faccia scudo di questa realtà è chiaro. Ma il primo nemico della democrazia è la tecnocrazia economica. Sarò petulante ma così è.

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    1. Ammesso e non concesso, quale sarebbe la soluzione? Rivoluzione, dittatura del proletariato, eccetera?

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    2. Eh, le soluzioni. Non esistono allo stato attuale delle visioni del mondo in grado di imporsi sul primato dell'economia, l'idea di benessere si identifica prima di tutto nella disponibilità di denaro. Renzi sa che per mantenere il consenso deve puntare sulla rinascita economica, quando ci si renderà conto che non può nulla, tanti saluti e avanti il prossimo. E' il destino dell'economia che lo tiene in pugno, tiene in pugno lui come tutti gli altri che verranno. Il popolo, dal canto suo, sarebbe ben disposto a sacrificare la democrazia in cambio dei “quattrini”, questi sono i veri ideali del popolo sovrano, mica la pace nel mondo o l'elevazione del tenore civile del paese, e sulla difesa della roba Salvini ci ha costruito il suo successo elettorale. La democrazia è una scatola vuota, è appunto la forma che si presta all'interesse che via via emerge nella società.

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  2. Tutto giusto, pero' appunto le leggi dell'economia reale, ovvero la disponibilità di beni e servizi (non di cartamoneta o titoli di stato, chè la carta non si mangia), prendono il sopravvento sulle leggi della democrazia, nello stesso modo in cui le leggi della termodinamica prendono il sopravvento sulle illusioni di risolvere tutto con "innovazioni" tecnologiche e scientifiche - come se i mulini a vento non esistessero già da secoli, ma mica hanno fatto miracoli. La termodinamica non si può cambiare. E ci dice che le risorse che abbiamo sono quelle, e basta. Semplicemente, cominciano a scarseggiare le risorse materiali, energetiche, lo spazio per vivere. Non ce n'è abbastanza per tutti. E chi sta in alto alla scala sociale non vuole rinunciare, e fa le leggi per togliere a chi sta sotto. Ma non si può rimediare con le leggi della democrazia, è solo questione di tempo. La popolazione aumenta, le risorse no: anzi stanno rapidamente diminuendo. E' brutto dirlo, ma nemmeno una rivolta popolare da cui scaturisse un sistema egualitario e giusto, non risolverebbe il problema. Semplicemente verrebbe spalmata la povertà in misura uguale per tutti. Un po' come nel socialismo reale, insomma.

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