giovedì 7 aprile 2016

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Quando ho saputo che Mario Calabresi passava dalla direzione de La Stampa a quella de la Repubblica, ho pensato a quella volta che Graziano Delrio fu pizzicato mentre usciva dalla residenza romana di Carlo De Benedetti. Silvio Berlusconi era ormai un uomo finito e il giornale che lo aveva combattuto per vent’anni non aveva più senso, doveva tornare di altra utilità, e con Matteo Renzi al governo la sua conduzione doveva cambiare mano. Chi era il più renziano dei direttori sulla piazza? Mario Calabresi. Del tutto irrilevante che lo fosse perché stregato dalle strabilianti virtù del Rottamatore o perché è così che voleva Sergio Marchionne: ora che la Repubblica doveva cambiare linea, Mario Calabresi era l’uomo giusto a Largo Fochetti.
Scelta che può dirsi più che azzeccata, basta prendere in mano il numero mandato oggi in edicola: la notizia che tutti gli altri quotidiani mettono in prima pagina – la pessima accoglienza che Napoli ha riservato al Presidente del Consiglio – scivola dopo il caso Vespa-Riina. Al primo colpo di vanga col quale Matteo Renzi comincia a scavare la sua fossa corrisponde l’ultimo col quale può dirsi definitivamente seppellito il giornale-partito di Eugenio Scalfari: intatta resta solo la testata, e tanto basta a Enrico Porro, che da anni cura il blog Pazzo per Repubblica, per continuare a esserne un fan, senza neppure riuscire a cogliere la strana gerarchia che oggi è data alle notizie.
È proprio vero: la lettura dei giornali è la preghiera del laico, ma a forza di recitare il rosario tutte le mattine si finisce per perdere il senso delle parole che fanno lAve Maria. Più sei fedele ad un quotidiano, meno riesci a coglierne gli scarti, neppure più taccorgi delle inversioni a U. 

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