Il
29 gennaio 1998, a Montecitorio, era riunita la Commissione
bicamerale per le riforme costituzionali, quella presieduta da
Massimo D’Alema. Tre giorni dopo Silvio Berlusconi avrebbe di fatto
stracciato il «patto della crostata» col quale sei mesi
prima, a casa di Gianni Letta, Pds, Ppi, FI e An si erano messi
d’accordo per una Repubblica semipresidenziale: aveva cambiato
idea, ora voleva il cancellierato e il proporzionale, e sul punto
rimase inflessibile, finendo per mandare all’aria tutto, in giugno.
Nulla di
tutto questo era prevedibile, quel 29 gennaio, quando nel corso della
seduta della Commissione prese la parola Sergio Mattarella, in forza
ad uno dei partiti che avevano sottoscritto il patto, il Ppi. Pur
manifestando il suo pieno favore a un’elezione diretta del
Presidente della Repubblica, che era uno dei pilastri della riforma,
tenne a precisare che, pur essendo evidente il ruolo politico che
così il Capo dello Stato avrebbe assunto, fosse opportuno fare
chiara distinzione con la funzione di governo, che doveva rimanere
esclusiva dell’esecutivo, tenuto a renderne conto solo al
Parlamento.
«Taluni – diceva – confondono talvolta il
ruolo politico, anche ampio e incisivo, con la funzione di governo.
Non sono necessariamente la stessa cosa. Il Capo dello Stato ha già
oggi, da cinquant’anni, ne avrà di più con
l’investitura diretta, un ampio e incisivo ruolo
politico, ma non di governo»; e chiariva che tale investitura
«non [doveva comunque essere immaginata come un mandato] a
governare, ma a interpretare, nella vicenda politica e istituzionale,
il ruolo di arbitro, che è proprio dell’elettorato
[qui teneva a precisare che il ruolo di arbitro era rivestito
dall’elettorato
nel momento del voto e che con l’elezione
diretta del Presidente della Repubblica avrebbe assunto continuità
nella sua figura]; l’altro ruolo, pur esso
assegnato dall’elettorato, quello di governo,
è rimesso all’asse Governo-Parlamento».
Sulle
obiezioni che da qualche voce in seno alla Commissione si erano
levate a mettere in discussione l’elezione
diretta del Capo dello Stato, col rischio che in tal modo andasse a
perdere la sua posizione super partes,
così si esprimeva: «Perché mai un Presidente della
Repubblica scelto dai partiti tramite i parlamentari col loro voto,
con le abitudini che di frequente abbiamo conosciuto, sarebbe meno
politicizzato di un Presidente scelto dai cittadini?».
Ottima domanda. Che però ne legittima altre. Perché mai dovremmo
considerare Sergio Mattarella meno politicizzato che se fosse stato
eletto direttamente? Chi lo ha proposto al Quirinale? Il Pd di Renzi.
Lega e M5S l’hanno
votato? No. Cosa lo costringe ad essere politicamente neutro nel
ruolo che la Costituzione gli assegna nella nascita di un Governo?
Nulla. E allora cosa gli impedisce di acconciare in ruolo
istituzionale quello che di fatto è un ruolo di attore politico?
L’articolo
della Costituzione che gli attribuisce funzioni nella nascita di un
Governo non è abbastanza ambiguo per consentirgli un efficace
ostruzionismo nei confronti di una maggioranza parlamentare?
Può
darsi ci metta pure un po’
di buonafede, in fondo ha mosso i primi passi nel mondo accademico
all’ombra
di Pietro Virga, che tra i costituzionalisti del tempo era uno di quelli che leggeva
piena discrezionalità del Quirinale nella «nomina»
del Presidente del Consiglio e dei Ministri. A dispetto della
stragrande maggioranza dei costituzionalisti? E che fa? Ognuno si
sceglie i maestri che gli più gli garbano.
Il 4° capo dell’art.
65 del testo della riforma costituzionale che tanto piaceva a Sergio
Mattarella in quel 1998, anche se poi finì nel cesso, recitava:
«Assicura [il Capo
dello Stato] il rispetto dei trattati e degli obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia
ad organizzazioni sovranazionali».
Cosa gli impedisce, oggi, di far finta che sia stata approvata
comunque? Cosa gli impedisce di sentirsi a capo di una Repubblica
semipresidenziale? Fra gli emendamenti che proponeva in quella seduta
del 29 gennaio 1998 c’era
pure quello di non sciogliere le Camere all’indomani
delle elezioni di un nuovo Presidente della Repubblica. Bene, anche
in questo mostra una qual certa coerenza: si comporta da Capo dello
Stato eletto da una maggioranza di italiani diversa da quella che lo
scorso 4 marzo ha votato Lega e M5S. In fondo non è stato eletto da
un Parlamento in cui Lega e M5S erano in minoranza e all’opposizione?
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