venerdì 29 marzo 2019

Spezzare una lancia in favore di Radio Radicale


È da decenni che la ascolto per diverse ore al giorno, ma soprattutto amo perdermi nel suo sterminato archivio. Poi cè che certe sue rubriche mi sono diventate appuntamento fisso, inderogabile: Cindia di Claudio Landi, Prime pagine di Enrico Rufi, Derrick di Michele Governatori, giusto per citare le prime che mi vengono in mente. E poi le voci: ci sono voci – Lembo, Jannuzzi, Punzi... – che ormai mi sono diventate familiari come i ronf-ronf di Steve e Brian (a chi non lo sapesse, sono i miei gatti). Fosse a pagamento, insomma, pagherei, e anche molto, se necessario. Mi è dobbligo, quindi, spezzare una lancia in favore di Radio Radicale, che a fine maggio potrebbe interrompere le sue trasmissioni. Non lo farò, però, unendomi al coro di quanti pensano che questa sciagura – perché di vera sciagura si tratterebbe – si possa scongiurare con i piagnucolosi appelli dellonorevole acondroplastico o dellattricetta col birignao: ma vi pare che i barbari possano essere sensibili a una tal perdita? Non so quali siano i reali motivi che stanno dietro alla scusa del dover fare economie, potrebbe trattarsi di una mossa nel più generale piano di dare una stretta alla libertà di informazione, ma pure di un calcio nei coglioni a chi ogni mattina dà del «Truce» a questo e del «Giggino» a quello, in ogni caso temo che i gialloverdi procederanno senza ripensamenti, e dunque urgono soluzioni daltro genere. A questo mira il post: a esporre una proposta. Che però necessita di una premessa, senza la quale potrebbe sembrare balzana. Non stupisca quanto sto per dire dopo aver dichiarato la mia dipendenza da Radio Radicale: una valida soluzione del problema può essere trovata solo sgombrando il campo da passioni e pregiudizi. E dunque.

Nel panorama radiofonico italiano, che oggi è dato da poco più di 250 emittenti tra pubbliche e private per un totale di radioascoltatori in media di 34.703.000 al giorno (Radio Ter 2018), Radio Radicale assume un ruolo analogo a quello del giornalista politico così come descritto da Enzo Forcella in Millecinquecento lettori: «Un giornalista politico, nel nostro paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende trecentomila copia. Prima di tutto non è accertato che i lettori comuni leggano le prime pagine dei giornali, e in ogni caso la loro influenza è minima. Tutto il sistema è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di lettori privilegiati. Trascurando questo elemento, ci si esclude la comprensione dellaspetto più caratteristico del nostro giornalismo politico, forse dellintera politica italiana: è latmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono fin dallinfanzia, si offrono a vicenda le battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano, si vogliono bene. Si recita soltanto per il proprio piacere, beninteso, dal momento che non esiste pubblico pagante».
Lanalogia è innanzitutto nei numeri: nel 2013, su un totale di 34.853.000 radioascoltatori al giorno, Radio Radicale ne aveva 294.000; lanno dopo ne aveva 244.000 su 34.314.000, con un calo del 20,5%; nessun dato dal 2015 in poi, per la decisione di sospendere liscrizione alle indagini di ascolto (occhio non vede, cuore non duole).
Altra analogia è quella dei «lettori privilegiati», come è evidente dallelenco dei bei nomi che in queste ultime settimane si stanno spendendo perché venga ritirata la decisione del governo di dimezzare i fondi da decenni assicurati a Radio Radicale per la trasmissione delle sedute parlamentari, che la costringerebbe a chiudere i battenti: al momento mancano solo gli «alti prelati» al trasversalissimo parterre des rois, ma non è detto che in extremis non vogliano dare anchessi il loro aiuto, visto che spesso sono stati tra i «protagonisti» di quelle «recite in famiglia» in cui si finge di detestarsi, in fondo volendosi un gran bene.
Recite in cui Radio Radicale ha sempre avuto lagio di interpretare sulla stessa scena il doppio ruolo di «organo della Lista Marco Pannella» e di «impresa radiofonica che svolge attività di informazione di interesse generale», godendo della vantata contraddizione di stare «dentro, ma fuori dal Palazzo», sfruttando le opportunità offerte dal «fuori» e dal «dentro», come dimostra la legge che nel 1990 le fu cucita addosso su misura risparmiandole il taglio del finanziamento pubblico per leditoria che colpì ogni altro «organo di partito», consentendole così di continuare a prendere quasi quattro milioni e mezzo di euro ogni anno. In tal senso andrebbe precisato che la decisione del governo di dimezzare i fondi da decenni assicurati a Radio Radicale per la trasmissione delle sedute parlamentari non ridimensionerebbero le sue entrate da dieci a cinque milioni di euro, ma da quasi quattordici e mezzo a quasi nove e mezzo.
Ma questo è solo il tratto più prosaico della contraddizione che a Radio Radicale è concessa more et iure, perché cè quello assai più redditizio sul piano del prestigio e dellautorevolezza: essere – insieme – «istituzione» e «voce libera», bon ton e j’accuse. Ma anche qui possiamo farlo dire a Enzo Forcella: «Cè quasi sempre un angolo dal quale si può fare un po di anticonformismo riscuotendo lapprovazione di altri conformisti».
Da quellangolo, secondo come mette la stagione, si può alternare un «no taliban, no vatican» a un «viva il papa», dare del «buono a nulla» a Tizio e del «capace di tutto» a Caio per allearsi prima con luno e poi con laltro, scatarrare sarcasmo sulle battaglie culturali de Il Foglio e poi diventare fogliante in servizio attivo permanente. Ma si diceva: «protagonisti che si conoscono fin dallinfanzia, si offrono a vicenda le battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano, si vogliono bene».
Punto di rottura nellanalogia: «si recita soltanto per il proprio piacere, beninteso, dal momento che non esiste pubblico pagante». Qui un pubblico pagante cè, ed è il contribuente, che, tornando ai numeri, tiene in piedi una radio che ogni giorno fa poco più di 200.000 ascoltatori su oltre 34.000.000. Se non sbaglio, saremmo intorno allo 0,7%.

Col taglio del contributo per la trasmissione delle sedute parlamentari da dieci a cinque milioni di euro il governo vuole la chiusura di Radio Radicale? Si accetti la sfida e si rinunci anche agli altri cinque. Di più: si rinunci anche ai quattro milioni e mezzo che le arrivano dai contributi per leditoria. Si apra una sottoscrizione e i duecentoquarantamilaedispari ascoltatori di Radio Radicale si dichiarino disposti a pagare una quota annua: sessanta euro (14.500.000/244.000≃60). Per quanto mi riguarda – ma sono certo che cè chi la ama assai più di quanto la ami io – sono disposto ad accettare che quanti amano Radio Radicale siano anche solo 122.000, assumendomi quindi limpegno di pagarne 120. Sono disposto ad accettare pure che siano solo 61.000, pagandone 240. Se sono meno di 61.000, vuol dire che me ne farò una ragione: Radio Radicale non aveva ragion dessere.

4 commenti:

  1. Sottoscrivo la proposta per continuare a sentire David Carretta, che hai immeritatamente lasciato indietro.

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  2. E' da più di trent'anni che sento piangere per una perdita di cui non si accorgerebbe nessuno e che, comunque, non è mai avvenuta.
    Se cinque milioni all'anno vi sembrano pochi per trasmettere le sedute in diretta, dateli a me: con mille euro annui metto dieci telecamere in diretta streaming dalle due camere giorno e notte, e gli altri quattromilioninovecentonovantanovemila me li tengo.
    P.S: se il pubblico è come si dice nell'articolo, la maggior parte di quelli che la ascoltano sono molto benestanti (per non dire ricchi), e il ricco è quello che non ti da' mai una lira. E' più facile che sessanta euro all'anno li scuci da un povero che si leva il pane di bocca piuttosto che da uno per cui rappresentano sì e no il costo di un aperitivo.
    Ha avuto la sua ragione di esistere in passato, ma i tempi cambiano ed è di questo che bisogna farsi una ragione.

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  3. https://phastidio.net/2019/04/28/radio-radicale-prioritario-preservare-la-continuita-di-un-servizio-pubblico/

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